L’altro giorno stavo facendo un po’ di ordine e mi spunta fuori un bellissimo libro di Steve Andreas “la costruzione del significato”, un super pippone fra logica, PNL e psicologia del cambiamento, davvero bello. Lo sfoglio rapidamente e vedo che in una pagina, almeno 8 anni fa avevo sottolineato con 3 asterischi (per segno di ultra rilevanza), un paragrafo intitolato “la fallacia della teoria aritmetica degli stati”. L’ho trovato talmente interessante che ho deciso di condividere discuterlo con chi è appassionato dell’argomento.
Come probabilmente saprai una delle metodologie più utilizzate in PNL (e non solo) è quella di andare a recuperare degli “stati risorsa” che siano in grado di contrastare, migliorare e/o risolvere una situazione problematica. Se ad esempio non sei motivato a fare la cosa X, si cerca nel tuo passato un’altra situazione dove eri fortemente motivato, si elicita (si stimola) un vecchio ricordo, per far si che il tuo cervello si senta “motivato come in quella esperienza passata”.
Questo modello è stato preso da Erickson che ha fatto di quest’arte, cioè quella di andare a pescare le risorse passate uno dei capi saldi del suo operare. Ma non solo, Erickson non era partito dal nulla, perché altre forme di terapia già lo facevano ma in modo diverso. In particolare si tratta delle allora nascenti teorie cognitive che attraverso desesibilizzazioni e rafforzamento dei comportamenti di coping faceva qualcosa di molto simile, ma diverso.
Per cui se in PNL abbiamo da una parte una sensazione sgradevole che puoi valutare come d’intensità 7 (su una scala che va da 1 a 10) dall’altra parte dovrai trovare una sensazione gradevole di valore simile (cioè 7) o superiore.Io la chiamo teoria del caffè, se il caffè è troppo amaro che cosa fai? ci metti più zucchero 😉 Ed è proprio contro questo modo di vedere che si scontra Andreas facendoci notare un aspetto fondamentale, cioè che non è importante l’intensità emotiva della risorsa quanto ilsuo essere adatta alla soluzione.
Per cui se voglio contrastare la paura di volare, invece che cercare sensazioni di sicurezza da un’esperienza casuale sarà necessario trovarne una simile, cioè che contenga degli elementi il più possibile comuni (isomorfici) alla situazione problematica (o meno) di partenza. Un po’ quello che Erickson chiamava “tayloring” cioè la capacità del terapeuta di escogitare soluzioni “tagliate su misura”del cliente. Andreas spiega questa “fallacia” con la sua teoria logica molto bella e affascinante, ma lascia che timostri come la vedo io…
…per me non si tratta solo di una confusione di livelli logici ma di due paradigmi differenti. Nel primo caso quello che vige è un paradigma meccanicistico dove se manca l’ingrediente X, lo scovo, lo amplifico e cerco di generalizzarlo in altre situazioni, indipendentemente dalla sua natura. Questo approccio è tipico di quelle forme di terapia comportamentali, stimolo-risposta. Mentre nel secondo caso il paradigma è relativistico costruttivista-cognitivo*, dove insieme al cliente costruisco una nuova realtà osservando quali “modalità di pensiero” esistono alla base.
Mentre il primo paradigma può essere applicato anche ad un animale, che “non dovrebbe avere pensiero” (anche se in realtà lo possiede), se è stato ferito emotivamente (gli manca la cosa X) la si cerca e la si aggiunge. Mentre il secondo paradigma vede l’attore come un essere attivo con dei propri modi di pensare, convinzioni, bisogni e modalità di azione.
Trovare uno “stato risorsa” significa cercare lo stato migliore per quel determinato individuo e per quella determinata situazione.
Detta così sembra che abbia proprio ragione Anderes, ed effettivamente sono d’accordo con lui. Ma c’è un”però”, un dubbio che nasce in me. E’ certamente vero che una risorsa così specifica e precisa sia la soluzione migliore, ma non è anche vero che il contrario, in una qualche misura funziona? Non è forse vero che se sei affamato (situazione problematica) e stai passeggiando per strada e vedi del vomito per terra questo ti fa passare un po’ l’appetito?
Si è vero, se ci pensi il “vomito” potrebbe far passare l’appetito a chi già di base odia il vomito. Ma se la personaè una abituata a vedere il vomito per terra (magari per ragioni professionali, mamma che brutto mestiere ;)) la cosa non sortirà lo stesso effetto. Per cui caro amante e praticante della PNL, se vuoi ottenere dei cambiamenti ecologici e duraturi segui il buon consiglio di Steve Andreas, evita di pensare che un qualsiasi stato risorsa che valuti come d’intensità uguale e contraria allo”stato problema” sia la soluzione. Cerca un o stato risorsa che sia adatto a modificare quello stato problema.
Il lettore più attento si sarà reso conto che c’è molto di più da dire a proposito. Si perché le scuole si dividono in modo netto proprio a partire da questo spartiacque; e il comprendere a fondo questa logica può darti un vantaggio davvero competitivo se ti occupi di aiutare le persone per lavoro. Per questo t’invito a dirmi che cosa ne pensi e a farmi sapere se “mi sono spiegato” per bene.
In questo video vedi Steve Andreas all’opera in uno dei suoi tanti video didattici. Giusto per mostrarti come lavora uno dei miei “trainer di PNL” preferiti.
A presto
Genna
* Il passaggio dal comportamentismo al cognitivismo è segnato dall’ammissione che fra stimolo e risposta vi siano dei processi mentali di mezzo; appunto i processi cognitivi. Prima si credeva che fra lo “stimolo” e la “risposta”vi fosse una “scatola nera” inconoscibile e che si potesse esclusivamente operare su ciò che vediamo con i nostri sensi, cioè lo stimolo e la risposta.