Facciamo un gioco, risolvi questa semplice operazione: 22 + 23, in caso sia complesso ti dico che fa 55. Ora ti chiedo di fare qualcosa di un po’ diverso: dimentica quel numero. Puoi farlo? Ovviamente la risposta è no ma come mai? Come è possibile che così come immettiamo dei dati madre natura non ci abbia anche dato il tasto cancella? Ecco questa faccenda non ci spiega solo come funziona la nostra mente ma anche come gestirla al meglio… buon ascolto:

Aggiunge e non toglie… perché?

Perché la mente dovrebbe comportarsi come indicato? Tra le molte spiegazioni che ci da la teoria dell’ACT c’è un nostro cavallo di battaglia: la mente come macchina predittiva. Dato che la mente continua a fare previsioni sul mondo si comporta come una macchina bayesiana, cioè per riuscire fare buone previsioni deve continuamente aggiornare le proprie aspettative sulla base della realtà. In pratica non può predirre questa frase e leggerla tutta di colpo ma dovrà predire pezzo per pezzo adattandosi ad ogni parola che trova thus se trova una parola in inglese può cercare di aggiustare il tiro.

Quindi non ha bisogno di togliere ma di aggiungere per migliorare la previsione precedente, dato che la nostra macchina interna ha bisogno di aggiungere commenti, valutazioni, esperienze emotive a quei dati essi diventano subito parte di noi. Quindi è come se non potessimo più revocarli ed infatti, una delle cose peggiori che possiamo fare con il nostro mondo interiore è cercare di cancellarlo e non sentirlo. E’ noto a tutti ormai che cercare di non sentire le emozioni o non pensare a qualcosa ne aumenta la probabilità di emersione. Non si tratta di cercare solo di controllare l’incontrollabile ma di andare contro un processo che non prevede l’eliminazione diretta di dati.

Siamo ormai talmente abituati a comparare il nostro cervello ad un computer che la cosa ci stupisce, ma ragazzi per quanto l’analogia sia bella e per certi aspetti anche feconda il nostro cervello è molto molto molto più complesso di un computer. Per quanto adori gli studi sulle famose reti neurali, come ha detto una volta un neuroscienziato: “paragonare le reti neurali artificiali con quelle vere è come paragonare lo schizzo di un bambino con la Gioconda” (o qualcosa del genere). Questo non significa che prima o poi non riusciremo a modellizzare dentro un computer come funziona la mente (o il cervello) ma per ora siamo molto lontani.

Questa faccenda diventa rilevante quando soffriamo magari proprio a causa dell’emergere di un certo contenuto mentale: un giudizio negativo su noi stessi, un senso di colpa che continua a bussare, ecc. Ma ecco la verità come abbiamo visto tante volte, se vogliamo a vere a che fare davvero con i nostri contenuti mentali dobbiamo imparare ad accoglierli, riconoscerli e lasciarli transitare nella nostra consapevolezza. Il che di solito non implica nulla di particolare quando i pensieri non sono troppo forti, ma quando sono carichi emotivamente tendiamo a non volerne “sentir parlare” e questo tentativo di fuga (l’evitamento esperienziale) si può trasformare in maggiore sofferenza (anzi può addirittura cronicizzarla).

Comprendere questi meccanismi ci aiuta a fare chiarezza sul perché le tecniche classiche dello sviluppo personale (che sono mutuate dalla CBT di prima e seconda ondata) non funzionino e a volte peggiorino addirittura la situazione. Magari facendo sentire in colpa la persona proprio perché non riesce a fare a meno di tornare a pensare, sentire e percepire qualcosa. Invitando direttamente o indirettamente all’evitamento. Non mi credi? Beh chiunque abbia mai letto un libro sul pensiero positivo (che non è la psicologia positiva) ha sentito dire che è bene NON avere pensieri negativi, evitare proprio di averli (che è quasi come chiedere ad una persona di smetterla di respirare).

Il Vuoto e la predizione

Come avevano già intuito gli antichi la natura non ama il vuoto e tende a riempirlo sempre con qualcosa. Anche lo spazio che c’è tra te e lo schermo che stai usando per leggere queste parole è in realtà pieno. Oltre all’aria, i corpuscoli di qualsiasi cosa, le onde radio, il wi-fi, c’è la famosa “schiuma quantica”, insomma sembra che il vuoto non esista. La nostra mente fa qualcosa del genere, è in costante lavorio, ma che tipo di lavoro? Semplice: prevedere ciò che sta per accadere. Meglio riesce a fare questa operazione e più sono alte le probabilità di sopravvivenza dell’organismo che custodisce questo fantastico cervello: noi esseri umani e molti altri nostri cugini animali.

Ormai è noto da decenni, se ti metto dentro una risonanza magnetica e ti chiedo di non pensare a niente, dopo pochi istanti inizierà un’attività strana di alcune aree del cervello, la famosissima Default Mode Network (DMN). Hai presente quando non stai facendo niente di particolare e ti sembra di passare da un pensiero all’altro, a volte senza continuità, senza soffermarti su nulla ma continuando a pensare? Ecco quella è la DMN, cosa fa di preciso non lo sappiamo al 100% ma sappiamo che agisce in un modo molto singolare ed interessante: parla di noi, cioè parla a noi di noi in rapporto con gli altri ma soprattutto con noi stessi.

Sono molti i neuroscienziati che l’hanno definito come meccanismo di costruzione e mantenimento del Sè, una sorta di auto narrazione che facciamo a noi stessi per continuare a sentirci e pensarci in un certo modo. E lo fa in un modo particolare, senza togliere o eliminare, ma sempre rimpastando ciò che già conosce in forme diverse, a volte meravigliosamente creative e flessibili altre in modo drasticamente rigido. Ma è un meccanismo necessario e fondamentale che ci aiuta a capire perché “eliminare dalla testa” è una pia illusione che può anche portare ad un vero e proprio incastro che va poi aggiustato.

Immagina di essere catapultato in una sorta di sogno che si ripete, come succede in molti romanzi e film nei quali si rivive sempre la stessa giornata. Ed immagina di non poter eliminare nulla di quella giornata ma solo aggiungere di volta in volta qualche passaggio nuovo, che nel tempo si accumula e può anche modificare la narrazione stessa. Come se fosse un romanzo che viene rivisto ogni volta e, ad ogni passaggio, viene aggiunto qualcosa di anche molto piccolo ma che, nel lungo andare può modificare in modo intenso l’intera storia che ci raccontiamo. Ecco la mente funziona più o meno in questo modo.

I miei colleghi mi perdoneranno se sto semplificando ma essenzialmente è questo ciò che accade non solo durante un intervento psicologico ma anche durante la vita stessa. Anche le parole che stai leggendo in questo momento contribuiscono a modificare la direzione della tua narrazione interna, per questo è importantissimo decidere cosa diamo in pasto al nostro cervello. Questa faccenda accade non solo perché la mente ha la tendenza a prevedere ma anche per come attribuisce significato al mondo, e tale situazione ci fa chiamare in causa la nostra ACT o meglio la sua base la Relational Frame Theory.

La Relational Frame Theory (RFT)

Chi ha approfondito ciò che diciamo da ormai quasi 2 decenni sa che la RFT è una sorta di teoria incredibilmente complessa per spiegare cose molto semplici. Ma in pratica ci dice che i significati che attribuiamo al mondo non dipendono dalle cose ma dalle loro relazioni che creiamo nella nostra mente, attraverso tale relazionare possiamo astrarre e costruire narrazioni incredibili sul mondo. E’ una teoria psicologica e linguistica sviluppata da Steven C. Hayes e colleghi (gli stessi che hanno creato l’ACT) la quale sembra spiegare proprio il meccanismo di cui ci stiamo occupando.


In parole semplici, la RFT spiega come il linguaggio umano costruisce la realtà attraverso le relazioni che impariamo tra le parole e i concetti. Non impariamo solo che “cane” = quell’animale che abbaia, ma anche che “cane” è diverso da “gatto”, che “cane” è più piccolo di “elefante”, che “cane” è l’amico dell’uomo” e così via. Tutte queste relazioni apprese formano una rete semantica che si espande continuamente — è qui che entra in gioco la “mente additiva”. La RFT dice che il significato non è nelle cose, ma nelle relazioni che costruiamo tra esse. Ogni nuova esperienza mentale o linguistica non cancella quella vecchia, ma la arricchisce di connessioni.

Ad esempio se da piccolo “mare” significava vacanza, ma poi vivi un trauma in acqua, la parola “mare” non smette di esistere: aggiunge nuove relazioni (“paura”, “rischio”, “attenzione”). La mente, quindi, non elimina i vecchi significati, ma li ricontestualizza creando nuove connessioni nel sistema relazionale. La mente additiva è l’espressione fenomenologica di ciò che la RFT descrive sul piano teorico.  Secondo la RFT: non puoi “disimparare” una relazione simbolica (non puoi dimenticare che 3×4=12, o che “fuoco = caldo”). Puoi però aggiungere nuove relazioni che modificano il contesto in cui quella vecchia informazione agisce.

Quindi, se un pensiero negativo ti perseguita (“sono un fallito”), non puoi semplicemente cancellarlo.  Ma puoi aggiungere nuovi frame relazionali come: “A volte mi sento un fallito, ma questo non definisce tutto me stesso.” o  “Anche il fallimento è parte del processo di apprendimento.” Questi nuovi collegamenti non eliminano il vecchio pensiero, ma lo rendono meno dominante, come se lo avvolgessero in una rete più ampia di significato. La RFT ci mostra che il linguaggio costruisce significati per aggiunta e relazione, non per sottrazione.  La mente additiva ne è la versione esperienziale: non possiamo cancellare pensieri o ricordi, ma solo espanderli, integrarli e arricchirli di nuove connessioni.

Spero di non averti fatto girare troppo la testa con questi termini complessi, la realtà è che sono ancora più incasinati di come appaiono ma sono utilissimi per spiegare ciò che sta sotto al nostro modo di pensare. Ti dirò di più, questi concetti che sono noti a chi si occupa di ACT (quindi di solito ai miei colleghi) non sono così famosi all’esterno, il motivo è semplice “la crescita personale classica” si è fermata al modello mentale del cognitivismo di prima e seconda generazione (quello fondato sulle convinzioni) e si è persa questo treno. Sono pronto a scommettere che prima o poi invaderà anche quel campo…

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.