Ti è mai capitato di provare “amore e odio” per una persona o per una situazione? No tranquilli non si tratta dell’inizio di una qualche forma di malattia mentale ma del normale funzionamento del cervello. Per quanto chi si è occupato per la prima volta di ambivalenza affettiva (il termine tecnico dell’amore e odio) sia partito dall’osservazione degli schizofrenici oggi sappiamo che tale meccanismo fa parte del modo con il quale funziona il nostro cervello. Comprenderlo apre letteralmente la mente…

Sentimenti e funzionamenti comuni

Immaginiamo che le nostre valutazioni affettive sul mondo siano coerenti e sempre identiche, proprio come ci piace pensare. Una volta che decido che una persona è degna di stima ed affetto, ecco che continuo a pensarla per sempre in quel modo. Oppure, una volta che ho capito che un certo cibo è il mio preferito, ecco che continuo a mantenere coerenza e mi piace sempre allo stesso modo. Se ci pensiamo bene una cosa del genere non solo è poco auspicabile ma sarebbe una vera e propria tortura: infatti il nostro amico potrebbe rivelarsi meno simpatico di quanto abbiamo notato all’inizio e quel cibo potrebbe nel lungo andare faci male ecc.

Ma allora perché ci stupiamo di provare emozioni contrastanti? I motivi sono diversi ma quelli di base sono ancora legati a come funziona la nostra percezione e il nostro cervello, i quali sono limitati. Ma non è solo una questione di limiti è anche una questione di azioni, se infatti non ci innamorassimo di una cosa in modo (quasi) totalizzante, difficilmente ci dedicheremmo a quella faccenda. Pensaci, è quando sei sicuro di ciò che provi nei confronti di una persona che inizi ad immaginare ad un futuro con lei, di certo prima di firmare un mutuo non ti metti a pensare che prima o poi i tuoi sentimenti cambieranno.

Il funzionamento della ambivalenza affettiva è molto noto, probabilmente lo hai già sentito nominare e forse lo hai studiato da qualche parte, ma probabilmente nessuno ti ha spiegato quanto esso sia “normale”. Cioè il fatto che sia un meccanismo naturale che ci aiuta e preserva, non si tratta di una anomalia, come spesso viene descritto nei libri. E anzi, più una persona è in grado di ospitare dentro di se tali stati contrastanti e più è mentalmente flessibile. Il che non significa che cambia idea più velocemente o che si faccia trascinare con più facilità in direzioni diverse ma significa che è conscia che nessuna sentimento è mai solo di un certo tipo!

Questa cosa si comprende con la maturità personale, quando spesso si dice che più si cresce e più si è in grado di gestire il proprio mondo emotivo (almeno fino ad una certa età) credo che sia legato a qualcosa del genere. Il fatto di aver fatto molte volte esperienza di questi fenomeni interni ci aiuta ad essere maggiormente consapevoli e meno auto-accusanti quando dovessero emergere in forma intensa. Si, perché è vero che quando non stiamo bene essi emergono con forza ed è altrettanto vero che per alcune persone sono proprio tali dubbi a farli trascinare in spirali discendenti della esistenza.

Ma ecco cosa abbiamo capito: più ne diventiamo consapevoli, più guardiamo in faccia a questi meccanismi e più ne diventiamo padroni. Se per caso non ti ho ancora convinto allora le ipotesi sono 2: non mi sono ancora spiegato sufficientemente bene e/o (le due cose non si escludono) sei ancora eccessivamente identificato con i tuoi stati interiori. Cioè pensi di essere i tuoi pensieri, quelle cose che ti dici nella testa quando pensi e non hai ancora compreso di essere molto di più… di essere il luogo dove quelle narrazioni sorgono e tramontano costantemente e che le tue azioni non derivano solo dai tuoi pensieri!

Decisioni e pensieri

La gente è convinta che ciò che decide le proprie azioni sia un pensiero deliberato interno, cioè se decido di amare mia moglie è perché ho deciso deliberatamente di farlo. Lo so che è assurdo ma alcuni pensano che le cose funzionino proprio così, siamo come convinti che sia un pensiero esplicito a decidere per noi. Ora la cosa diventa complessissima se tiriamo in ballo i concetti di libero arbitrio (lasciamoli lì), ti invito piuttosto a vedere ciò che ti passa per la testa non tanto come la voce della tua coscienza che si traduce in azioni ma come una previsione di ciò che potresti fare.

Ora se questa faccenda vale per i nostri pensieri (quelli che qui chiamiamo contenuti mentali: dialogo interno, immagini, aspettative, piani per il futuro, ecc.) vale ancora di più per un altro tipo di contenuti che chiamiamo emozioni, all’interno dei quali in prima istanza ci sono le nostre valutazioni affettive. Cioè se una cosa ci piace o non ci piace, se è il caso di restare oppure di andarcene, risposta che condividiamo con tutto il regno dei viventi (e secondo alcuni, in parte anche con la materia inorganica). Tale risposta ci aiuta, ci salva la vita nei casi di pericolo ma non si tratta di una risposta precisa ma solo efficace (perché ci salva).

Lo abbiamo visto un sacco di volte, al nostro cervello non frega niente se è vero o meno che in quel bar malfamato ci accoltelleranno, meglio non andarci proprio. Per usare un esempio più semplice: non gli frega sapere se quel ramoscello la in fondo si è mosso perché è in realtà un serpente, l’organismo si allerterà come se fosse un cobra pericolosissimo. Perché tale valutazione ci salva la vita, anche se su 100 volte ci becca una volta sola, va benissimo per sopravvivenza! Tuttavia il nostro mondo emotivo e il nostro muoverci nel sociale è molto più complesso di un ramoscello confuso e necessita di maggiore precisione.

Il mondo che ci circonda è polisemico, cioè ha molti significati, solo che per comodità ne scegliamo uno e agiamo di conseguenza. Ad esempio, sei al bar e vedi che il tizio accanto a te solleva una bottiglia di birra, di certo non penseresti mai che potrebbe tiratela in testa, anche se è una delle molte cose che potrebbe fare con quella bottiglia. Non ci pensi perché il contesto è adeguato ma se vedessi una scena del genere altrove, diciamo in mezzo alla strada da un tizio visibilmente ubriaco che ti guarda male ecco che potresti iniziare a far entrare altri significati nelle tue interpretazioni.

Quando guardi tua moglie, i tuoi figli, i tuoi animali domestici, di certo non pensi (almeno spero): “Ecco, ma perché mi sono sposato? Ma perché ho fatto dei figli? Ecc.” a meno che le cose non vadano particolarmente male. Tuttavia il fatto che normalmente tu non ti ponga queste domande non significa che non vi possano essere problemi relazionali con loro. Il fatto che tu non ti chieda se quel tizio berrà dalla bottiglia (di vetro) o te la tirerà in testa non dipende solo dal contesto ma dipende anche dal fatto che quella situazione (così come le tue abitudini e le tue e nostre capacità cognitive) ti impediscono di vedere la moltitudine di significati possibili in quel momento.

Un meccanismo naturale

Pensa che Cristoforo Colombo prima di salpare per le “Indie” avesse pensato a tutte le sfighe possibili che gli sarebbero potute capitare in mare, come ad esempio sbagliare rotta, non sarebbe neanche partito. Di certo sapeva che c’erano dei rischi, allo stesso tempo però era maggiormente fiducioso nella riuscita della propria impresa. Le due facce della medaglia: riesco e non riesco, non si scelgono sulla base di dati oggettivi ma sulla base di scelte, decisioni che prendiamo anche in assenza di una consapevolezza piena.

Colombo non si aspettava di scoprire un nuovo continente, voleva trovare una via più semplice per le Indie. Tuttavia non era stupido e sapeva che le cose sarebbero potute andare male ma per riuscire, doveva avere più fiducia sulla riuscita che sul fallimento. Quando inizi una nuova relazione non pensi a quando tutto finirà e genererà un sacco di sofferenza, altrimenti non inizieresti neanche a parlarci con quella persona. Quando inizi a leggere un libro non pensi che potrebbe annoiarti o che potresti perdere tempo nel farlo, insomma devi fare una sorta di scelta di campo, nascondendoti a volte i lati negativi per evitare di scoraggiarti.

La mancata consapevolezza di tale meccanismo è solitamente tipica dei bambini, i quali fanno molta fatica a pensare che quel loro amico potrebbe tradirli. Che quello sport che tanto li affascina lo abbandoneranno dopo una settimana di prova, partono sempre in quinta. Un adulto fa la stessa cosa ma in teoria dovrebbe anche essere maggiormente consapevole del fatto che le cose non saranno sempre “rose e fiori”. Non è solo questione di reggere a lungo, come nella metafora del professore che entra in classe e chiede: “quanto pesa questo bicchiere?”, alcuni si lanciano in valutazioni; “Pesa 58 grammi” ecc. Il prof. li guarda e dice: “Dipende da quanto tempo lo state reggendo”.

Alcuni credono che questa faccenda sia facilmente risolvibile attraverso un controllo attento delle proprie aspettative: se non mi esalto per il nuovo probabilmente non ci resterò male quando mi deluderà. Potrebbe essere un buon modo per far fronte alla nostra ambiguità affettiva ma potrebbe anche trasformarsi in un boomerang, diventando una profezia che si auto-realizza. Penso che prima o poi andrà male e inconsapevolmente appena vedo che qualcosa traballa, abbandono la nave o addirittura la faccio affondare prima che sia troppo tardi. Tuttavia lavorare sulle aspettative è sempre una buona cosa ma non nel senso di abbassarle ma nel senso di osservarle!

Proprio come facciamo nella pratica meditativa, impariamo ad osservare come valutiamo ciò che ci passa per la testa e quando ci rendiamo conto che sia immersi in una valutazione, la lasciamo andare e torniamo gentilmente al nostro focus sul presente. Ecco possiamo imparare a fare qualcosa del genere: sapendo che i nostri entusiasmi sono sempre alti all’inizio possiamo ricordare a noi stessi che ogni percorso ha alti e bassi (quindi lavorare sull’aspettativa) e imparare ad osservare quando “la moneta tende a rovesciarsi esageratamente”.

Equanimità e presenza mentale

Nella pratica della meditazione si fa esattamente questo: si cerca di non attaccarsi a ciò che ci piace, alle sensazioni piacevoli che potrebbero emergere durante la sessione e allo stesso tempo si cerca di non evitare le sensazioni spiacevoli. Sembra una cosa strana ma in realtà è un processo molto semplice da capire ma difficile da mettere in pratica, come tutte le cose che funzionano per davvero (correre, mangiare bene, ecc.). Qui su Psinel usiamo da anni la metafora del maestro di Vipassana S.N. Goenka, il famoso “Gioco delle sensazioni“.

Durante la meditazione non ci attacchiamo alle sensazioni piacevoli perché il nostro scopo è restare nel presente. Sappiamo che quelle sensazioni saranno inevitabilmente transitorie, prima o poi scemeranno. Se ci attacchiamo non solo iniziamo a cercarle attivamente durante la pratica (cosa che non riguarda la pratica) e quando non le proviamo pensiamo di star meditando nel modo sbagliato. Al contrario cerchiamo di non evitare le sensazioni negative per lo stesso motivo, perché altrimenti stiamo scappando dal momento presente e così come la sensazione positiva prima o poi se ne andrà, lo stesso farà quella negativa. Lo scopo della meditazione è riuscire ad osservare questa transitorietà cercando di non attaccarsi e non evitare.

Quando stai vivendo un amore di certo puoi crogiolarti nelle belle sensazioni, ma pensare che saranno sempre belle e sempre della stessa intensità rischia di farti creare criteri di valutazione irrealistici. Per non parlare di quando pensiamo di sapere come ci dovrebbe far sentire una persona ancora prima di averla frequentata, il che non significa che la gente ci possa trattare male ma significa che dobbiamo stare attenti a credere che una cosa complessa come una relazione possa avere solo lati positivi. E peggio di tutto, iniziare ad evitare quelle persona non appena ci fa provare qualche sensazione negativa.

Ora l’equanimità perfetta non esiste, si tende a quello, durante la pratica ci accorgiamo di quando ci attacchiamo ed evitiamo. Cioè non è che non accada, accade di continuo e la pratica è accorgersene per tornare al presente. Tutto ciò è davvero molto simile a come funziona il nostro sistema valutativo nella vita quotidiana, infatti molte persone che iniziano a meditare si spavetano all’inizio dicendo cose del tipo: “ma non è che poi non sarò più in grado di giudicare se una cosa mi fa bene o male?” la risposta è assolutamente no. Perché presenza mentale non significa non vivere le emozioni, anzi, significa viverle pienamente ma solo nella loro transitorietà.

Quando mediti e provi gioia, sei presente alla gioia di quel momento. Se provi tristezza, sei presente a quella tristezza. In realtà questa qualità non ti rende meno capace di giudicare ma maggiormente libero dalle maglie ristrette del nostro sistema valutativo. Cioè se il tuo partner ti tratta male, e tu sei pienamente presente a quegli atti, prima o poi ti renderai conto che non fa per te. Se il tuo partner ti tratta bene, succede la stessa cosa. Insomma aumentare la presenza mentale è la chiave per riuscire a vivere al meglio questo mondo che è per sua natura ambivalente, ambiguo e polisemico.

Ciò che serve davvero è la nostra amata Flessibilità Cognitiva!

Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.