
I miei colleghi lo ripetono da quasi 2 secoli: se agisci intenzionalmente le sfide della vita cambiano. Questo significa che se in questo momento sei qui a leggere questo post i casi possono essere diversi: ti sei imbattuto per caso in questo post e stai leggendo in automatico le prime righe per farti un’idea. Oppure conosci il mio lavoro ed hai deciso di leggere il post e di ascoltare la puntata… oppure, qualcuno ti ha costretto a leggere queste parole..
Subisci, gestisci o scegli?
Torniamo alle 3 diverse condizioni di chi è atterrato su questo post. Converrai con me che il peggiore dei casi è il terzo, cioè quello nel quale, per qualche strana ragione, qualcuno ti ha obbligato a leggermi; un po’ come quando a scuola ci obbligavano a leggere romanzi bellissimi ma solo per il fatto di “dovere” non ci sono piaciuti affatto. Non hai bisogno di essere uno psicologo per capire che la costrizione rischia di rendere qualcosa di piacevole spiacevole, ma la ricerca ci dice di più: la costrizione trasforma un normale compito in un compito stressante.
No, non è solo questione di interesse! E’ chiaro che se adori il mio lavoro, sei interessato a conoscere meglio queste cose tu sia intento a capire ciò che dico con poco stress, è la forza della passione per queste materie che ti spinge. Di certo l’interesse ti porta naturalmente a fare compiti con meno sforzo, ma la verità è che quando una cosa ci interessa molto rischia a sua volta di stressarci. Se vuoi capire a tutti i costi queste parole, magari perché poi vuoi raccontarle a qualcun altro, magari perché hai un esame e ci tieni molto al suo esito, ecco che anche in quel caso può risultare stressante.
La vera differenza non è tanto tra passione o meno ma tra il decidere intenziolmente o meno di fare qualcosa. Come abbiamo visto diverse volte sono stati gli psicologi appassionati di “attribuzione causale” a comprendere questo meccanismo, dal famoso Locus of Control di Rotter in poi. Avevano capito che quando tu, ti senti agente attivo in qualcosa, non solo la fai meglio ma quella specifica sfida tende a trasformarsi in uno stress positivo. Più di recente abbiamo capito che scegliere qualcosa, anche di molto stressante, è in grado di trasformarla da “stress negativo” (distress) in “stress positivo” (eustress).
Scegliere di alzare pesi fino allo sfinimento (tecnicamente si dice al cedimento) è qualcosa che molte persone fanno quasi ogni giorno in allenamento. Se non sei interessato all’allenamento pensare di alzare pesi fino a quando non ci riesci proprio più può sembrare una cavolo di tortura. E in effetti se qualcuno ti costringesse a farlo o dovessi farlo per motivi di forza maggiore, ecco che sarebbe una vera tortura. Ma se lo fai perché ami vedere il tuo corpo che migliora, che cambia, che aumenta di forza e di volume, probabilmente la qualità dello stress sarà decisamente diversa!
Ora la vera critica a questo modo di vedere le cose non è di tipo psicologico ma strettamente filosofico, ed è una diatriba millenaria sul tema del libero arbitrio. Lascia che mi spieghi meglio: sono moltissimi i pensatori che hanno abbracciato un’idea di determinismo, la quale suona più o meno così: dato che in realtà ciò che fai dipende da una infinità di cause che ti hanno preceduto (personali, sociali, biologiche ecc.) non è possibile stabilire se davvero hai deciso tu di leggere questo post. Oppure se sono state tutta una serie infinita di cause (anche prevedibili o rintracciabili) che ti hanno condotto a questo lettura.
Il libero arbitrio
Rispondere al tema del libero arbitrio non è di certo facile, è una questiona molto più complessa di quanto possa apparire. Tuttavia una cosa è certa, a livello psicologico, sentirci causa degli eventi che ci capitano, sentire di avere “agency”, fa una differenza enorme. Non solo come dicevamo cambia il modo con il quale affrontiamo lo stress, ma cambia in generale come affrontiamo la vita. I suoi effetti, anche se per qualche filosofo potrebbero essere dati da cause inventate (nel senso che non decidiamo davvero noi) sono reali, la stessa neuroplasticità è influenzata da questo tema.
Ritrovarti a strimpellare la tua chitarra, magari perché è vicina a te, perché quel giorno avevi la possibilità di farlo (magari non eri a lavoro ma in ferie) e suonarla in modo automatico, sovrappensiero, come se fossi un automa, può essere un bel passatempo ma non migliora il tuo modo di suonare. Se vuoi migliorare devi scegliere intenzionalmente di prendere la chitarra e suonare in un certo modo, applicare certe cose per te difficili, cercare di farle sempre meglio, insomma il tema della pratica deliberata. Anche se di colpo ti ritrovassi in automatico con la chitarra tra le braccia ma iniziassi a pensare: “ok ora questo lo faccio per migliorare” ecco che l’impatto fisico sul tuo apprendimento cambierebbe e non di poco!
Dire a te stesso: “ok anche se sono finito per caso su questo post ora lo leggo perché voglio capire meglio” può cambiare l’eventuale situazione del casuale incontro con questo contenuto. E’ una scelta attiva che compiamo determinata da una sorta di consapevolezza (o meta cognizione) su cosa sta succedendo: la maggior parte delle cose che facciamo durante la giornata le facciamo in modo semi-automatico. Lo facciamo per diversi motivi, il principale è il risparmio energetico ma c’è anche il fatto che spesso non c’è bisogno di reinventare la ruota, sarebbe non solo una perdita di energia ma anche stupido. Per leggermi in questo momento non devi reimparare l’italiano, lo sai già!
Quindi abbiamo una macchina straordinaria in grado di fare la maggior parte delle cose importanti in modo automatico. La forza di questi processi automatici è simile ad una sorta di inerzia, ci piace farci cullare dalle cose che sappiamo già fare, quando alziamo di poco l’asticella poi possiamo anche entrare in stati di flusso (leggi qui per vedere le differenze tra flow e presenza). Se lasciamo tutto così, senza sbattimenti, funzioniamo bene ma abbiamo diversi effetti collaterali: se stiamo troppo nel lato automatico dell’azione e soprattutto del pensiero, tendiamo a svolgere peggio azioni complesse e ad imparare molto meno.
Serve consapevolezza per riuscire a cogliere i feedback delle cose che ci circondano, proprio come quando hai iniziato a guidare l’auto, all’inizio eri molto attento a ogni risposta dall’ambiente, mano mano che sei diventato più bravo te ne è servita sempre meno. Queste osservazioni, unite alle ricerche di Freud hanno contribuito a costruire un’idea della psicologia fatta da pensieri inconsci, flussi nascosti di elaborazione mentale dalla quale siamo esclusi. Psicoanalisti e psicologi filosofici forse non la vedevano in tal modo ma erano dei sostenitori del determinismo: Tu sei già determinato, dunque è inutile che ti agiti, tutto ciò che sei non dipende da te ma da un insieme infinito di co-fattori di cui tu sei consapevole solo di una piccolissima parte.
Sei uno zombie
Nel campo della filosofia quando si parla di queste tematiche, cioè come facciamo a capire se possiamo scegliere liberamente, entra necessariamente il tema della coscienza. Come facciamo a sapere di essere coscienti? Tra le diatribe più accese c’è proprio questa: e se in realtà facessimo tutti finta di essere consapevoli ma in realtà non lo fossimo? Cioè se in realtà fossimo degli zombie, delle marionette che fingono di essere consapevoli ma in realtà sono guidate da forze superiori? Queste domande affascinanti non hanno risposta ma una cosa la sappiamo:
Per restare sani di mente, poter accedere pienamente al proprio potenziale e vivere una vita appagante dobbiamo pensarla in modo totalmente opposto: dobbiamo sentirci, percepirci e vederci come agenti attivi della nostra esperienza! So che per molti pensatori tutto questo è solo una frottola che ci raccontiamo ma, in tal caso, sarebbe una bugia utile alla nostra sopravvivenza. Per i filosofi sarebbe una sorta di posizione compatibilista, cioè quella che afferma che, sì è vero siamo determinati da milioni di variabili che ci precedono ma abbiamo, seppur piccola, una possiblità di scelta e di manovra in tutto questo.
Insomma se non estremizziamo e vediamo le cose con equilibrio scopriamo che anche gli antichi erano giunti a conclusioni simili. Nessun pensatore del passato era convinto di poter agire con la consapevolezza su tutto, di poter gestire se stesso come gestisce un oggetto esterno: “non mi piace qual vaso, lo ricostruisco” ecco la nostra mente o la nostra vita interiore non funziona così. Forse anche perché erano convinti che molte cose fossero in mano a forze metafisiche, divinità, demoni, ecc. tuttavia erano anche consapevoli del fatto di avere la possibilità di scegliere.
L’impossibilità di scegliere, la consapevolezza che tanto qualsiasi cosa faccia non conta è probabilmente più presente oggi che un tempo. Primo appunto per il collegamento metafisico e religioso ma non solo, anche per le poche conoscenze su come funzionava il mondo. La nostra percezione infatti ci fa sempre (o molto spesso) sentire protagonisti di ciò che accade, anche troppo in alcuni casi, come ad esempio quando siamo bambini e abbiamo quell’egocentrismo che può portarci a pensare che tutto capiti per noi… “guarda fuori piove, forse perché oggi sono triste”.
Dunque l’idea di poter scegliere è forse un inganno della natura? Non lo sappiamo ma a me piace pensare di no, mi piace vederla come i compatibilisti. Perché in fondo sono convinto che abbiamo dato troppa importanza agli aspetti inconsci della mente, il vero mistero non è il fatto di avere un inconscio ma è la coscienza. Tutto l’universo animato e inanimato sembra agire inconsapevolmente e lo fa benissimo, per quale razza di motivo invece noi esseri umani siamo coscienti? Lo siamo da sempre? Oppure tale abilità si è evoluta? E se si è evoluta allora avrà un senso? Ecco queste sono le domande che mi piacciono.
Anche perché se pensiamo che tutto è predeterminato, che tutto è inconscio e tutto è dato da eventi al di fuori del nostro controllo allora il tema della crescita personale non serve a niente. Ma in realtà non serve a niente niente, dato che tutto è, in un qualche modo già scritto. Questo per me conduce al nichilismo non la mancanza di fede in una qualche divinità ma la convinzione che le nostre azioni non contino nulla!
Fare esperienza
Durante gli anni di università per mettere da parte qualche soldino (che spendevo in serate alcoliche con gli amici) davo sia ripetizioni (incredibile a dirsi) che lezioni di chitarra per neofiti. Tra i miei studenti c’era un signora di 68 anni, ok non era proprio un mio studente ma era un portinaio della mia casa dello studente che di tanto mi chiedeva qualche dritta su qualche brano. Non era un grande chitarrista ma aveva passato tutta la vita a suonare la fisarmonica, insomma di musica ne capiva parecchio. Si era appassionato ad una versione di Little Wing di Jimi Handrix che di tanto in tanto facevo.
La prima volta che l’ho visto suonare ho pensato: “non ci riuscirà mai”, aveva dita tozze, piccole e lente e per poco non riusciva a tenere neanche un accordo normale. Ma per fortuna il tempo non gli mancava, così quando passavo dalla portineria lo vedevo spesso con la chitarra a tracolla. Te la faccio breve, nel giro di circa un paio di mesi era riuscito a suonarla abbastanza bene da farmi ricredere rispetto alle mie previsioni. La cosa più assurda era quanto era diventato bravo a farla a fine anno, la suonava, la cantava (in un inglese tutto suo) in modo davvero incredibile.
Ora sarebbe facile pensare che questa persona avesse già le carte per poter suonare e di certo partiva avvantaggiato. Suonare la fisarmonica infatti non è per niente facile, serve una coordinazione pazzesca ed un’ottima conoscenza della musica. Tuttavia non stiamo parlando di un arzillo vecchietto ma di uno di quelli che dimostrava molto più della sua età, i suoi movimenti mentre suonava la chitarra non avrebbero convinto nessuno della possibilità di fare un brano così complesso. Ah è importante sapere che prima faceva a malapena qualche accordo.
Insomma fare esperienza di quanto si possa migliorare in un ambito ha un grande potere. Ha il potere di far esplodere quella sensazione di competenza, di auto-efficacia o agency, che correla con molti aspetti positivi della nostra psicologia. Non si tratta solo di imparare qualcosa per impressionare, si tratta di renderci conto che possiamo imparare e migliorare ma il punto è che, più andiamo avanti nel tempo e più ci servirà intenzionalità e sforzo consapevole per farlo. Più siamo giovani e più questo fenomeno può accadere in modo più o meno passivo (come un ragazzino che impara un’altra lingua perché si innamora di una straniera).
Insomma fare esperienza attiva del fatto che possiamo gestire e non subire ciò che accade è davvero una sorta di super potere. Certo questo non significa che possiamo gestire tutto, non significa che possiamo imparare tutto o migliorare in ambiti super complessi a tutte le età. Ma significa che, iniziare a vederci come maggiormente protagonisti delle nostre azioni ci fa bene e fa bene anche alle persone che abbiamo accanto. Questo è un altro discorso, forse ancora più complesso che magari lascio per un episodio futuro.
A presto
Genna