
Perdonate questa blasfemia ma amo immaginare le persone (per me) difficili come “Buddha personali”. Forse influenzato da qualche studio del passato ma mi piace chiamarli così. Sono quelle persone in grado di attivare dentro di noi trappole antiche che tendono a risuonare nel presente. Di solito sono relazioni intime e ravvicinate, perché solo chi ti è molto vicino è in grado di fare questo piccolo ingorgo emotivo che, da un lato può nuocerci e da un altro lato può guarirci e farci crescere. Oggi parliamo di questo…
Tutto quello che leggerai probabilmente si può riassumere in poche righe. Così come è possibile riassumere in pochi concetti ogni episodio del podcast ma la verità è che, dietro ad ognuno di essi si nasconde una complessità affascinante. Non hai bisogno di conoscerla ma se sei curioso/a come me… allora tuffarti nella lettura del post sarà un grande arricchimento.
La variabile fissa sei tu
Come faccio a capire se quella relazione può essere un mio “Budda”? La risposta più semplice è, la reazione che stai avendo, il conflitto più frequente è specifico di quella interazione oppure è qualcosa che ti capita più spesso? Non parlo solo di emozioni, le quali sono spesso simili (tendiamo ad avere emozioni che esprimiamo con più frequenza in quei casi: rabbia, paura, tristezza, ecc.) ma parlo di veri e propri copioni comportamentali. Spesso si dice che se una persona chiude tutte le relazioni nello stesso modo, litiga sempre per gli stessi motivi, allora probabilmente la variabile fissa è lei.
In realtà questo detto è efficace ma non del tutto realistico, le nostre reazioni sono le stesse, le quali possono generare a loro volta risposte simili. Ma la verità è che la relazione non è una cosa né mia né tua, è “cosa nostra”:-) Perdona la battua, la relazione emerge dalla interazione di due o più persone. Tale interazione appartiene ad ogni partecipante, che sia più o meno attivo, che parli o che stia zitto, che si presenti o meno ad un appuntamento, ogni membro influenza tutto il gruppo. Quindi di conseguenza ognuno ha il proprio pezzetto di relazione da curare.
Sì è ancora il tema della responsabilità, nel momento in cui ci dimentichiamo del nostro pezzetto di relazione smettiamo di curarla e puntiamo il dito verso l’esterno. Chi più e chi meno siamo tutti portati a questa cattiva abitudine per diversi motivi, ciò che sappiamo dalle ricerche (sia cliniche che sperimentali) è che se impariamo a prenderci cura di queste nostre parti interne, migliorano anche le nostre relazioni esterne. Quando ti accorgi, per esempio, di avere una certa tendenza in diverse relazioni differenti, potresti iniziare a notarle e cercare di osservarle senza reagire.
Questa faccenda è super interessante: quando osserviamo qualcosa di automatico tendiamo a de-automatizzarlo. Come quando qualcuno ti fa notare che stai guidando male: “devi alzare di più la frizione”, e questo commento aumenta la consapevolezza dei tuoi piedi facendoti perdere per qualche istante l’automatismo. Quando riesci a NOTARE quello schema, quel pattern, quella ricorrenza dentro e fuori di te, ecco che stai iniziando a gettare la luce della consapevolezza su quella abitudine. Questo non fa alcun miracolo immediato, ma se questa operazione viene ripetuta con gentilezza può fare una enorme differenza!
Questo è l’apparente centro di tutte le pratiche che oggi funzionano di più. Le quali vengono spesso fraintese perché sembra facile farlo, ma in realtà è sempre la dicotomia “facile-semplice” che ci frega! Tutti possono notare che quando si accorgono di una certa cosa ne diventano maggiormente padroni, perché aumenta la loro capacità di scelta, però non è per niente facile riuscirci. Quindi il processo è semplice, come è semplice per molte persone correre, ma non è facile, diventa tale solo quando l’azione viene ripetuta diverse volte (facile deriva da “facere-fare”, diventa facile farlo quando l’hai fatto diverse volte).
Le cicatrici relazionali
Come abbiamo visto in diverse salse la psicologia ha creato numerose mappe e categorie di tali cicatrici del passato. Perché? Perché sono mappe utili per capire noi stessi (e gli altri). Quando ci accorgiamo di una trappola che si attiva dentro di noi, come ad esempio la sensazione di essere esclusi e notiamo che è “sempre la stessa”, in quel preciso frangente abbiamo la possibilità di reagire in modo differente. Lo so mi sto ripetendo ma questi passaggi sono molto importanti: diventare consapevoli di questi passaggi non significa scavare dentro di noi alla ricerca di un colpevole del passato ma significa cercare di reagire in modo diverso.
E per reazione intendo qualcosa che può accadere anche solo dentro di noi, senza che nessuno si accorga di nulla. Ad esempio ti accorgi di sentirti escluso da un gruppo di amici mentre parlano di una festa in cui tu non eri presente, ed invece di scollegarti dalla situazione, magari mettendoti a guardare il cellulare (o peggio andandotene), ti metti a fare domande. Diventi curioso della loro serata, ti accorgi che quella sensazione di stizza è qualcosa di tuo, non dipende da loro. Non vogliono escluderti, sei tu che tendi a sentirti escluso…ma perché non facciamo fatica a notarlo? Perché fa male in alcuni casi molto male.
E per male non intendo che sia nocivo ma intendo che procura sofferenza. Un male spesso sproporzionato rispetto alla situazione che stiamo vivendo (anche se in certi casi è realmente molto doloroso), sproporzionato perché appartiene al passato. Il fatto che abbia a che fare con un tempo perduto fa spesso preoccupare le persone, oppure le ingaggia in tentativi di auto-archeologia personale, nel tentativo di rinvenire i ricordi e le situazioni specifiche. Se vi piace fare gli archeologi vi invito a farlo con una guida, un mio collega esperto, ma se invece volete lavorare in autonomia, allora il consiglio è ancora quello del semplice “notare” cosa succede.
Ah ed è sempre implicito su Psinel che se il dolore è troppo forte questi consigli andrebbero sempre applicati con una guida. Detto questo puoi imparare a notare le tue trappole, i tuoi schemi, i tuoi temi di vita notando come TU rispondi alle relazioni più difficili che hai affrontato e che affronti. Come racconto nel nostro percorso sulle Trappole Break Free possiamo usare una gentilezza intenzionale per farlo… cioè? Dobbiamo metterci di impegno nella ricerca di tali reazioni, essere disposti a notarle anche quando sono già successe, fenomeno che capita la maggior parte delle volte. Per fortuna se già ogni 10 volte che accade, riusciamo a notarla 1 sola volta, abbiamo già portato a casa un grande risultato.
Se mi segui lo sai, per cambiare serve intenzionalità, devi progettare, programmare, desiderare di migliorare in quell’ambito. Non succede per caso, non succede semplicemente leggendo queste parole (anche se sono di certo il primo passo) ma succede mettendo in pratica questi consigli… ancora, ancora e ancora con gentilezza, intenzione e determinazione. Lo so è noioso ma funziona, molto di più del semplice credere che basti una sbirciatina al libro prima di fare l’esame. Ma come fa la semplice consapevolezza degli eventi ad aiutarci? Non sono cose accadute tempo fa?
I meccanismi implicati
I meccanismi che consentono questo piccolo miracolo riguardano quasi tutti come funziona la nostra memoria. La quale non è composta di immagini fisse, oggetti che abbiamo registrato dentro di noi ma di continue ricostruizioni. Ogni volta che richiami un evento del passato alla mente lo stai tecnicamente ricostruendo, è un’operazione che fai quotidianamente anche in background a vari livelli. Ma quando devi affrontare nodi del passato la cosa risulta leggermente più ostica: infatti la ricerca ha provato che le memorie dolorose sono più difficili da modificare.
In altre parole, mentre per la maggior parte dei ricordi essi si adattano alla tua mente attuale (ricostruendosi in modo congruo con ciò che vivi nel qui e ora) le memorie negative e in particolar modo quelle traumatiche, fanno più fatica ad essere digerite. Ora al di là di situazioni patologiche come il PTSD, possiamo lavorare con quegli eventi in diversi modi: scrivendo con la nostra scrittura espressiva, meditando (come ti mostro in questa puntata dedicata a questo meccanismo di funzionamento) e in diversi altri modi. Ma tutti fanno una cosa fondamentale: ci espongono a quel ricordo.
Tutti i metodi (compresi quelli della maggior parte delle terapie) usano l’esposizione, un meccanismo naturale del nostro cervello per affrontare gli eventi traumatici. Lascia che mi spieghi meglio: l’esposizione è una tecnica comportamentale elaborata dai miei colleghi quasi 2 secoli fa ma in generale credo che sia un funzionamento naturale. Nessuno ci deve spiegare che se siamo caduti dalla bicicletta e ci siamo presi un bello spavento, probabilmente per qualche tempo sentiremo un po’ di timore a tornare in sella e tutti sappiamo istintivamente qual è la soluzione, giusto? Tornare in sella il prima possibile.
Ciò che attiva maggiormente il nostro sistema emotivo, le nostre trappole e tutte le ferite del passato sono le relazioni che abbiamo con le persone a noi vicine. Quindi l’esposizione è necessariamente relazionale, accade quando sei in compagnia di una persona o quando ci stai interagendo (anche solo via email) e a volte anche solo pensandoci (“quel maledetto non mi ha neanche salutato, ma come osa?”). Per questo una delle cose migliori che possiamo fare è andare alla ricerca di quelle persone con le quali abbiamo attriti, magari senza partire subito dal “boss finale” iniziando con una semplice, per cercare di osservare il dolore delle nostre ferite senza fuggire.
Proprio le persone che cerchiamo di evitare possono diventare i nostri Budda. Diventano uno specchio attraverso il quale possiamo vedere meglio noi stessi… chi sono i tuoi Budda? Fai una bella lista, scegli quello più piccolo e parti da quello…
A presto
Genna