
Esiste un’abilità psicologica che i miei colleghi studiano da decenni e che è stata riconosciuta come una delle più importanti in assoluto per vivere in modo sano, felice e appagante.
L’abilità regina
Nei nostri giorni quando si sente parlare di flessibilità la gente scappa! Perché è solitamente collegata all’idea di una vita flessibile, di un lavoro flessibile che ormai sappiamo tutti significare: poco sicuro. Ma in realtà il termine flessibilità è non solo qualcosa di positivo ma anche di auspicabile, secondo gli studi effettuati negli ultimi 30 anni da Setven Hayes e dagli autori della ACT, la flessibilità mentale è il fattore predittivo più importante per: la salute mentale e le prestazioni in ogni ambito della nostra vita.
L’esempio riportato nella citazione è un esempio di quella che viene chiamata defusione, cioè il contrario di “fusione” con i nostri contenuti mentali. Questa viene definita come una abilità a se stante nell’ACT (che significa Terapia attraverso l’accettazione e l’impegno o Acceptance end committed Therapy) e che riguarda proprio la capacità di accorgerci che tendiamo (tutti) a fonderci con ciò che pensiamo. Ciò non è un male di per se, lo diventa quando tali contenuti sono a loro volta limitanti: ad esempio se di colpo inizi a dire a te stesso che non vali niente.
Una psicologia un po’ datata ed anche quella ingenua ci porterebbero ad ingaggiare una lotta interna: “no, non è vero che non vali niente, zittisci quella voce e dimostragli quanto vali”. Secondo gli studi più recenti su come gestiamo il nostro mondo interiore, questo è uno dei metodi peggiori per farlo, certo può essere utile in specifici contesti ma solitamente arreca più danni che vantaggi. Le abilità di flessibilità mentale sono state studiate per riuscire a farci cambiare il nostro rapporto con l’esperienza interna non per cambiarla.
In altre parole non dobbiamo cambiare il contenuto di ciò che ci diciamo (lo so questo sorprende molti) ma il rapporto che abbiamo con quel contenuto. Per capire questa faccenda è necessario afferrare come funziona la nostra mente la quale è una sorta di simulatore di realtà interno che continua a generare scenari futuri e a rivivere eventi del passato (da cui prende spunto per elaborare il futuro). Se mi segui conosci questo tema da decenni, qui uno dei nostri primi podcast sulla defusione è tra le prime puntate del nostro progetto e conosci questi termini astrusi, tipo ACT, se hai letto i miei libri.
Secondo questo approccio quindi la flessibilità mentale non è una cosa ma è un processo costituito da 6 macro abilità, tra le quali c’è la defusione (e come avrai ascoltato, almeno spero), l’accettazione, la presenza, il sè come contesto, il valori e l’azione impegnata. Tutto ciò può davvero essere riassunto nell’aforisma iniziale, quando siamo flessibili con noi stessi ci accorgiamo che ciò che ci passa per la testa sono solo pensieri (presenza e defusione) li accogliamo per ciò che sono (accettazione) e scegliamo di fare azioni di valore (i nostri valori con l’azione impegnata) piuttosto che reagire ai contenuti stessi.
I due grandi insiemi
Se mi hai ascoltato probabilmente non ti sarà sfuggito che ho cercato di riassumere tutte queste abilità in 2 macro insiemi: la consapevolezza e l’azione impegnata. Il primo racchiude: defusione, accettazione, presenza e sè come contesto mentre la seconda i valori e le azioni impegnate. Ora mettiamoci nei panni di chi desidera avere questa fantomatica qualità nella propria vita (sarebbe meglio dire avere più di quella cosa ma lasciamo perdere) perché si sente sempre giudicato male dagli altri. Il primo passo è quasi completo, chi sente di dover fare qualcosa perché non sta bene è già a buon punto sulla consapevolezza.
Infatti la cosa peggiore è pensare che sia colpa degli altri. Come ti ho già raccontato molte volte senza questo passaggio nessun approccio funziona davvero neanche quello più passivo, come ad esempio quello rappresentato dalla somministrazione di una terapia farmacologica. Se uno va nello studio dello psicologo ed inizia a dire che sta male perché il capo lo tratta male, la moglie anche, la suocera pure e anche i suoi amici non lo rispettano… ecco è molto difficile aiutarlo. Questo significa che mente? Magari non mente al 100% ma è davvero difficile che tutti lo giudichino male se lui non fa assolutamente niente.
Per sentirci responsabili dobbiamo diventare consapevoli e questo processo, solitamente è doloroso! E quando qualcosa fa male ecco che tendiamo ad identificarci sempre di più con la risposta dolorosa, cioè con la nostra esperienza interiore. Iniziamo a credere alle ipotesi che emergono da dentro di noi soprattutto se sono compensatorie, esempio: “La gente mi tratta male perché sa quanto sono intelligente (oppure) perché mi temono (oppure) perché la mia presenza li turba e non sono capaci a gestire una personalità esplosiva come la mia (oppure) perché la società fa schifo ecc.”.
Capiamoci l’ambiente e le relazioni fanno tantissimo ma se pensiamo che la responsabilità sia solo all’esterno ecco che non noi letteralmente smettiamo di fare qualsiasi cosa. Al massimo proveremo a fare qualcosa di molto difficile: far cambiare idea alle persone intorno a noi. O ancora più di frequente, farle sentire in colpa per come ci trattano. Ecco per riuscire a fare tutto ciò serve consapevolezza, accettazione, defusione, empatia (o se come contesto) e soprattutto sapere cosa è importante per noi per perseguirlo.
Nota per nerd della psicologia: L’ACT ha suddiviso le abilità in 3 insiemi: Apertura, consapevolezza e impegno. La mia è un’ulteriore semplificazione della struttura. Nella consapevolezza, intesa come la pratica della meditazione e l’atteggiamento mentale che ne deriva, è presupposta l’apertura verso l’esperienza interna ed esterna.
La flessibilità naturale
Immaginiamo una scena di vita quotidiana: è primavera, l’aria e calda ma non troppo e tu stai andando a trascorrere una serata con i tuoi amici. Sei allegro e spensierato, di colpo passa un tizio che inizia ad urlarti contro, tu non sai chi sia, neanche i tuoi amici sanno chi sia. Come ti senti? Be di certo non è una cosa piacevole, ma se tu ti senti bene, stai passando un bel momento, sei consapevole che il tizio non lo conosci, sei intenzionato a divertirti, probabilmente dopo un piccolo mal di pancia trascorrerai comunque una bella serata.
Al contrario immaginiamo la stessa situazione ma è una pessima giornata, hai trovato molto traffico, i tuoi amici sono mediamente scazzati e succede la stessa cosa. Ecco in questo caso è molto più probabile che la tua attenzione venga calamitata da quella persona: “perché mi ha parlato in quel modo? Forse è vero sono stato maleducato senza rendermene conto? Sono proprio il solito! e bla bla bla”. Cerchi una spiegazione perché ti sembra che trovandola riuscirai a trovare anche pace, ma le cose non stanno così, più ci pensi e più ti saltano alla mente ipotesi del perché quel tizio si è comportato proprio in quel modo e proprio con te!
Ora immaginiamo lo stesso contesto, stiamo bene e di colpo un nostro amico inizia a dirci che nel nostro ultimo lavoro abbiamo preso una cantonata. Quanto siamo disposti a cercare di capire se è vero e quanto ci difenderemo dipende da molte variabili: dal rapporto che hai con quella persona, da come ti senti e dalla tua capacità di metterti in gioco (la flessibilità mentale). Certo se il tizio che parla è un tuo detrattore farai fatica a dargliela vinta a meno che non mostri chiaramente cosa hai sbagliato. Se non ti senti bene per varie ed eventuali sarai meno propenso ad accogliere la situazione.
Questo ultimo caso potrebbe portarti o a lasciare perdere per non incorrere in ulteriori dolori oppure a non lasciare affatto perdere. Insomma ci sono molte cose che influiscono ma immaginiamo che tu ti renda conto che hai davvero sbagliato. Ora sarà evidente a tutti che la cosa migliore da fare non sarà giustificarsi, mentire, confondere e scappare ma sarà invece ammettere di aver sbagliato, scusarsi e cercare di capire come rimediare, giusto? Ti assicuro che questo passaggio non è così naturale ma se stiamo bene e tutto fila liscio siamo decisamente più predisposti, siamo maggiormente capaci di esporci ecc.
E’ proprio ciò che fanno i nostri pensieri “si impossessano della nostra mente” (come dice l’aforisma iniziale) ed è in quel momento che servono tutte le abilità di flessibilità di cui abbiamo discusso. Non sempre, non è necessario essere sempre aperti, presenti, accettanti e impegnati possiamo anche non pensarci affatto, quando tutto fila liscio. Ma ecco cosa hanno scoperto quei geniacci dell’ACT, che più riusciamo a mettere in campo queste 6 abilità e meno diventiamo prigionieri dei nostri contenuti mentali che invece di essere usati da noi ci usano continuamente.
Perché mi piace? (momento nerd)
Ora vorrei spiegare a chi non conosce questi approcci perché li adoro, il primo motivo è che hanno liberato ME dalla coltre di contenuti interiori che annebbiavano la mia mente. E non faccio solo riferimento alla mindfulness ma in generale a tutti gli approcci chiamati di terza generazione, perché hanno alcune caratteristiche che li rendono davvero meravigliosi: il primo è che sono relativamente semplici da comprendere e utilizzare, e ciò li rende perfetti per il nostro approccio di auto-aiuto. Ma non solo li rende anche molto meno pericolosi di approcci più complessi e maneggiabili solo da mega esperti.
Tra qualche settimana uscirà un episodio dedicato a come interfacciarci in modo sano con i nostri contenuti interiori e li ti racconterò cose che spaventano, come ad esempio il fatto che i nostri pensieri sono (per il 99% delle volte) innocui. Lo so che questo può spaventare, soprattutto chi soffre, chi ha pensieri intrusivi, chi cerca da anni di stare meglio ma le cose stanno davvero così. Nel mio studio ho constatato questa cosa centinaia di volte, quando riesco a far capire ai miei pazienti di non dover temere il proprio mondo interno le cose iniziano a cambiare.
Il fatto che queste cose siano semplici non implica che siano facili da applicare e soprattutto che per comprenderle non siano serviti decenni di studi. Tutte le cose che funzionano bene sono semplici ma non facili (lo so te lo dico un sacco di volte): tutti sappiamo che per dimagrire dobbiamo mangiare meno di quanto consumiamo (il famoso deficit calorico) è un concetto semplice ma difficile da applicare. Tutti sappiamo che se vogliamo essere in forma dobbiamo fare movimento ed esercizio, la cosa non è così complicata eppure è difficile da portare avanti nel tempo e farla sempre meglio. Potrei continuare all’infinito!
Allo stesso modo accogliere, essere presenti, defonderci, seguire i nostri valori non è complicato ma è difficile! Accogliere certi pensieri senza trattarsi male è difficile! Rendersi conto di essere incastrati in una convinzione non è complicato ma è difficile! E lo stesso vale per tutte le abilità menzionate nel costrutto di flessibilità mentale secondo la ACT. Inoltre, ultima nota nerd, mi piace questo approccio perché in fondo moltissimi approcci di crescita personale del passato ci erano già arrivati ma avevano confuso le cose, perché si erano fermati alle prime intuizioni del cognitivismo (e dello stoicismo).
Mentre un tempo ti dicevano che se avevi una idea sbagliata dovevi cambiarla, come se avessi dentro dei software da riscrivere oggi sappiamo che le cose non stanno così. Non riscrivi proprio nulla semmai espandi la tua prospettiva rendendoti conto che quella cosa non è così forte come pensavi. Quelle stesse tecniche per cambiare i pensieri funzionano? Si, ma non perché cambiano i pensieri ma perché ci consentono di accedere ad uno o più cardini della flessibilità mentale.
Ok mi fermo qui con le cose da nerd della psicologia, anche perché dovrei scrivere un trattato su questo tema e non basterebbe! Anche solo il fatto che tu possa avere avuto risultati straordinari lavorando al contrario di quanto detto potrebbe essere un ulteriore argomento da trattare… ma lasciamo stare… anzi fammi sapere che in caso approfondiamo. Intanto ti lascio con queste riflessioni e con la promessa di riprenderle tra qualche settimana.
A presto
Genna