
Hai mai sentito dire di stare attento a cosa pensi e a cosa provi? Lo so sembra una affermazione strana ma se ci fai mente locale scopri che si tratta di qualcosa di molto comune. Tutti sappiamo in un qualche modo che avere emozioni negative persistenti non è qualcosa che fa bene, allo stesso modo sappiamo che vedere le cose in prospettiva può essere utile (cioè non in modo negativo) tutto ciò ha un fondo di verità…
Che tu conosca o meno questi temi scommetto che la puntata di oggi ti sorprenderà…
Dislaimer: se stai provando difficoltà ad avere a che fare con le tue esperienze interne la cosa più semplice che tu possa fare è rivolgerti ad un professionista della salute.
Scappare da se stessi
Tutta la nostra cultura ci insegna in modo diretto o indiretto di stare particolarmente attenti a ciò che proviamo dentro di noi. Se hai ascoltato l’episodio sai che con questo intendo il rapporto con le nostre esperienze interne, che significa con pensieri, emozioni e sentimenti. Per secoli abbiamo nascosto le nostre emozioni, in alcuni casi anche con una certa ragione e poi abbiamo iniziato a temere anche i nostri pensieri… e di questo, la colpa, ricade in parte anche sui miei colleghi o meglio su una certa divulgazione della psicologia.
Lascia che mi spieghi meglio: è vero che se ti metti a pensare a tutte le cose brutte, a crogiolarti eccessivamente in emozioni negative esse possono farti male? Si in parte è vero. Tuttavia la cosa peggiore che possiamo fare non è proprio quella di restare a contatto con queste esperienze ma è il contrario: cercare di evitarle. L’interpretazione banale della psicologia o di certe forme di buddismo in: “stai attento a cosa pensi perché questa cosa ti condurrà a comportarti in tal modo” ha creato una sorta di evitamento dilagante nei confronti del propri mondo interiore.
Abbiamo già visto come questo sia insito nella nostra cultura ma credo che oggi le cose siano messe ancora peggio. Complice il famoso pensiero positivo ma di certo lo è anche un modo sbagliato di interpretare come funzioniamo in generale. Qualcosa che è fomentato dal tentativo di sentirsi costantemente bene, che se per caso ho qualche sensazione negativa, qualche pensiero di un certo tipo, allora significa che forse ho dei problemi, che forse non sia normale sentirsi in quel modo.
Queste cose non sono facili da spiegare, soprattutto a chi soffre ed ha realmente un cattivo rapporto con la propri interiorità. Ma in realtà la stessa identica cosa vale per chiunque. La complessità risiede in uno strano paradosso, prendiamo come esempio il tema della ruminazione e del rimuginio: cioè pensare eccessivamente al passato o al futuro. Oggi sappiamo che questo meccanismo sostiene ogni forma di problema psicologico, dunque è sacrosanto lavorarci, ed è qualcosa che percepiamo soggettivamente senza bisogno di studiare alcun ché.
Quindi intuitivamente e anche bazzicando tra i social è facile giungere alla conclusione che sia sbagliato “pensare troppo o avere un cattivo rapporto con certe emozioni”, dunque qual è la soluzione? La più immediata è quella di cercare di fare l’opposto, se penso troppo devi tenermi occupato con altro, prendendo una strada diretta verso l’evitamento. Oppure al contrario, se penso troppo forse dovrei capire come mai succede e pensare a tutte le eventuali cause del perché mi sento in questo modo… e anche questo, per quanto possa sembrare strano, può farci male… allora che fare?
Le esperienze interne
Per capire cosa fare è stato necessario un lungo tragitto che ha dovuto abbandonare diverse tra queste convinzioni comuni: cioè il fatto di dover pensare positivo, il fatto di dover riuscire a comandare i propri pensieri a bacchetta, il cercare di sentirsi sempre bene ecc. Le due strade intraprese inizialmente dalla psicologia sono state da un lato l’analisi meticolosa di queste esperienze, in particolare alle esperienze negative del passato. Poi siamo passati al tentativo di metterle in discussione, cercando di comprendere in modo (più o meno) razionale che “è stupido pensare in quel modo”.
E infine siamo giunti alla conclusione apparentemente banale che, la maggior parte delle nostre esperienze interne viene peggiorata e mantenuta proprio da tali tentativi. Cioè più cerchi di analizzarle, razionalizzarle e combatterle e più tendi a stare peggio e a farle proliferare. Lo so che questa cosa per chi mi segue (o per gli addetti ai lavori) è palese ma non lo è per tutti, non lo è soprattutto per chi segue la crescita personale. Si, perché questa si aggiorna sulla base delle scoperte che facciamo ma sembra essersi persa questo passaggio… sai perché? Perché è terribilmente controintuitivo.
Se in questo momento ti facessi pensare ad una esperienza negativa (non troppo intensa) e ti chiedessi di metterla in prospettiva, razionalizzando e ristrutturando il senso di ciò che hai vissuto, probabilmente ti sentiresti subito meglio. Lo stesso vale per una analisi approfondita delle cause, se raggiungi la sensazione che ti fa dire “ah ecco perché soffro perché quel giorno sono successe quelle cose”, anche questa cosa ti farà sentire subito meglio. Ma la verità è che se applichi male queste procedure rischi di peggiorare la situazione creando una sorta di FOBIA per il tuo mondo interiore.
E la crescita personale e in modo particolare il pensiero positivo hanno fomentato questo processo: così ti viene detto che devi essere positivo e roba del genere, che lì per lì è qualcosa di vero ma non se utilizzato a caso. E’ vero che cercare di mettere le cose in prospettiva (la ristrutturazione) ci fa bene, che riportare alla mente momenti in cui siamo stati bene o ricordi di successi ci fa bene, ma se lo facciamo nel tentativo di smorzare una qualche emozione o sensazione negativo, ecco che non funziona. Non solo non funziona ma inizia a generare continui conflitti interiori che nel caso migliore ci drenano solo energie.
Nei casi peggiori il cercare di compensare ogni sensazione negativa, ogni pensiero negativo, ogni esperienza interiore negativa diventa un modo per generare evitamento da noi stessi. Quindi la storia del “pensare positivo” assume tutt’altro aspetto, non si tratta di inutili fandonie, è vero che possiamo coltivare le nostre parti positive ma se lo facciamo in modo compensatorio, la cosa genera più danni che benefici. Invece la maggior parte delle persone poco esperte o che si fingono tali, credono che sia il modo con il quale noi operiamo nel nostro studio (se sei triste mi basta farti pensare a qualcosa di felice… eh non proprio!).
Regolare il volume
Questa faccenda è diventata ancora più insidiosa da quando le persone credono che tutto possa essere spiegato nominando alcune molecole del nostro corpo. Come i neuropeptidi, gli ormoni e le catecolamine ecc. intendo le famose: serotonina, dopamina, ossitocina, ecc. E’ chiaro che se penso che sono triste allora forse mi manca “la serotonina”, come posso rimediare? Semplice, svolgendo attività che alzino questa molecola dentro di me, che se ci pensi è la versione biologica del dire: se mi sento triste allora mi basta guardare qualche video comico per sentirmi subito meglio.
Attenzione non sto affermando che gli equilibri di quelle molecole non abbiano effetti sul nostro umore, anzi! Tuttavia ti assicuro che sono riduzionismi estremi quelli che vedi spesso online. Ti faccio un esempio: tutti sappiamo che l’ossitocina è la molecola dell’amore, della connessione, giusto? Eh beh, in realtà si e no, dipende dal contesto, se ad esempio hai a che fare con uno sconosciuto aumentare artificialmente la presenza di questo neuropeptide può renderti più aggressivo nei suoi confronti. Perché aumenta il tuo senso di affiliazione con il tuo gruppo e dato che lui è “fuori dal gruppo” non diventi più simpatico!
Tutto sembra ridursi ad un regolare il volume: se il volume della radio interna ti dice che stai male, ti basta alzare intenzionalmente quello che invece ti dice quanto è bella la vita per sentirti meglio. La verità è che prima dovremmo ascoltare con attenzione la parte negativa e lasciare che essa si possa auto-regolare (o etero-regolare con un amico, un parente o un professionista) da sola. In quel processo difficile di accettazione della nostra esperienza interna, di andare verso di essa piuttosto che sfuggirvi di continuo compensando, alzando il volume delle cose positive.
Dopo che siamo riusciti ad accogliere e ad integrare possiamo anche dedicarci alla costruzione di cose positive. Anzi in realtà possiamo farlo anche durante il periodi di accettazione, l’importante è non usare questa fase come compensazione. Cioè dobbiamo essere consapevoli che c’è l’altro volume acceso, senza aspettarci che decresca perché stiamo lavorando su altre parti di noi. Ok, anche questa mia versione è una semplificazione, in realtà tutto questo lungo discorso serve per liberarci dal timore dei nostri contenuti interiori.
Un timore di cui alcuni di noi non sono neanche così consapevoli. Perché? Perché tendiamo a nascondere a noi stessi quelle cose che ci suonano strane nella testa. Quel pensiero negativo, quella immagine di aggressione, quei pensieri impuri, ecc. che “non dovrebbero esserci nella mia testa”, ecco sono quelli di cui voglio liberarti dicendoti che è del tutto normale averli! E mi piacerebbe urlarlo con forza ma poi arrivano i soliti a dire: “ehi ma i pensieri intrusivi?”. Portando il tema su un piano molto più clinico che non di crescita personale… e sai una cosa, in verità i pensieri intrusivi sono pericolosi nella misura in cui non li accogli!
I pensieri intrusivi
Ormai ho lanciato il sasso e non posso nascondere la mano. Secondo la APA: “I pensieri intrusivi sono eventi mentali che interrompono il normale flusso di pensieri nonostante gli sforzi per evitarli. Le intrusioni minori sono normali e diffuse. Le intrusioni disturbanti sono invece possibili dopo un trauma e nel disturbo ossessivo compulsivo“. Come dice la definizione stessa capita normalmente che arrivino pensieri che ci rompono le scatole e questa è l’esperienza della maggior parte delle persone. Una cosa che non viene menzionata in questa dicitura è che anche quelli “normali” possono nuocere se combattuti.
Prima di commentare il “combattimento con i pensieri” diamo un’occhiata rapida ai due casi patologici descritti: i traumi e il disturbo ossessivo compulsivo. Ora devi sapere una cosa, per quanto ci siano situazioni particolari, se hai uno di questi due problemi lo sai. Certo possiamo aver avuto tutti dei traumi nella vita ma il problemi non sono quelli sono quando si riscontra un quadro di PTSD, allo stesso modo tutti possiamo avere momenti di ossessione ma una cosa è controllare ogni tanto se abbiamo chiuso il gas. Un’altra è cambiare la propria vita perché dobbiamo controllare il gas…la differenza, fidati, è davvero forte (anche se non sempre così netta, come in tutti i fenomeni della natura).
Inoltre aggiungerei anche problemi più gravi come le psicosi e la schizofrenia, nei quali possono emergere voci imperative che oltre a farci stare male possono pure dirci di fare delle cose. Ecco in questi casi è ovvio che quelle esperienze vanno affrontate con un professionista, è bene vedere quelle esperienze come qualcosa con cui lavorare, ma ti sembrerà assurdo il lavoro da fare con i miei colleghi, richiede alla fine che voi facciate pace con quelle esperienze. Alla fine lo scopo è sempre quello di fare in modo che si possa avere un sano rapporto con il nostro mondo interiore. E non ci rendiamo conto di quanto la psicologia ingenua del pensiero positivo abbia fatto l’esatto opposto!
Il mio invito dunque non è di sottovalutare eventuali sintomi della nostra vita ma di cercare di iniziare a prendere in considerazione che le nostre esperienze interne (anche quelle dolorose) non sono lì per farci del male. Spesso sono lì perché richiedono la nostra attenzione o meglio la nostra presenza, la stessa presenza che richiede un bambino al genitore, la quale non deve essere troppo assillante e controllatrice. Ma deve essere accogliente, propositiva e fiduciosa… ecco cosa ti auguro, di avere sempre più fiducia nel tuo mondo interiore.
A presto
Genna