
Non è solo il faccione di Freud a ricordare a tutti l’esistenza della psicologia ma è spesso una piramide! Chiunque abbia mai aperto un libro di psicologia degli ultimi 50 anni si sarà imbattuto nella famosa “Piramide dei Bisogni” di Ahbram Maslow. Oggi parliamo di quel modello, vedremo perché effettivamente non è una piramide e neanche una gerarchia e di come questo nuovo modo di vederla può migliorare la vita…
I bisogni
Per anni, in qualsiasi corso di psicologia o crescita personale, avreste trovato la piramide dei bisogni di Maslow. Oggi è un po’ meno frequente perché la gente pensa che parlare di “valori” ci esenti dell’argomento sui bisogni, ma la verità è che si tratta di due cose diverse e collegate tra loro. Senza un buon appagamento dei bisogni difficilmente riusciamo a perseguire i nostri veri valori, anche se ovviamente c’è sempre un margine di manovra (come abbiamo visto e come vedremo). Per capire come mai per anni sono stati così famosi dobbiamo fare un rapido salto nella storia del pensiero umano.
Non tutti sanno che c’è una persona che ha letteralmente spianato la strada alla moderna psicologia (e con essa anche tutte le sue derivazioni, comprese le neuroscienze) questo personaggio non è né Freud né Wundt (il padre della psicologia sperimentale) ma è stato Charls Darwin. Sì hai capito bene, quello che studiava gli animaletti sulle isole e che ci ha detto che siamo tutti, in un qualche modo, imparentati, che tu e io siamo animali esattamente come il gatto che in questo momento mi si struscia sulle gambe mentre scrivo!
Dunque essendo animali condividiamo qualcosa con quel regno, cose che per molto tempo non ci sono piaciute, come ad esempio l’aggressività e la sessualità (discorso che poi Freud recupererà per parlare dei suoi istinti nell’ES). Per sopravvivere, ogni essere vivente deve provvedere (o qualcuno per lui) alla soddisfazione di alcuni bisogni di base come: l’alimentazione, acqua, respirare, la protezione, il calore, la sessualità ecc. Tali bisogni sono per così dire “primari” e per anni abbiamo studiato (io stesso l’ho studiato all’università di Padova nel 1999) che si tratta di una gerarchia, cioè se non soddisfi questi non puoi soddisfare quelli superiori.
Questa faccenda suona proprio bene: è ovvio che se non hai da mangiare e da bere non puoi pensare ad auto-realizzarti, giusto? Sì da alcuni punti di vista è giusto ma non del tutto, soprattutto con altri bisogni. Tutti abbiamo amici che a causa di una pesante delusione d’amore hanno smesso di mangiare. Non intendo che si siano fatti morire per la fame (cosa descritta comunque in molta letteratura) ma che un bisogno più alto come “l’essere amati”, che apparentemente non è fisiologico, possa in un qualche modo ribaltare le cose fino a superare il bisogno fisiologico.
Potrei fare altri 1000 esempi ma nessuno è più potente di un contemporaneo di Maslow, sto parlando di Harry Harlow e delle sue scimmiette. Harlow è stato uno psicologo americano che voleva capire una cosa semplice: se metto un cucciolo di scimmia in una gabbia e gli metto, da un lato un dispensatore meccanico di cibo (uno scheletro di ferro con un biberon) e dall’altro un fantoccio, caldo e simile alla mamma, cosa farà? Pensaci, se non hai mai sentito parlare di questo studio (il che è strano se mi segui) chiediti, cosa fa il cucciolo? Resta tutto il giorno appiccicato al biberon?
Il cibo non basta
I ricercatori rimasero a bocca aperta nel constatare che il cucciolo si recava sulla “mamma biberon” solo quando aveva fame ma per tutto il tempo restava in contatto con quella che sembrava più vicina ad una madre vera. Ci sono molte interpretazioni, la prima è che il pelo finto ed il calore ingannino facilmente l’animale che crede che quella sia una madre vera. Sicuramente quando vediamo questo studio è facile antropormofizzare la scena e vederla come una ricerca di amore sopra quella del cibo, ma alcuni etologi non sarebbero d’accordo con noi.
Tuttavia abbiamo un dato interessante, tutte le scimmie che sono state usate per questi esperimenti (che si svolgevano in un periodo nel quale non vi era un grosso controllo etico a riguardo, gli anni 60 del 900), quando venivano reintrodotte nei gruppi di simili avevano difficoltà relazionali. Non a caso Harlow si ispirò agli studi di Bowlby (e viceversa) sul tema dell’attaccamento, tuttavia in studi peggiori in cui i cuccioli venivano lasciati solo con la madre “non calda ma dispensatrice di cibo” avevano maggiori difficoltà relazionali rispetto a coloro i quali erano stati a contatto con una madre maggiormente “calda e pelosa”.
Ciò implica che i bisogni di alimentazione e di amore sono uguali? Assolutamente no ma che esiste di certo una certa sovrapposizione tra questi, e che la mancanza di cure, amore e scambi relazionali ha effetti reali sullo sviluppo, e a quanto pare effetti forse peggiori di una cattiva alimentazione. Certo, è ovvio che se non ci fosse stato proprio cibo questo sarebbe diventato la priorità ma a quanto pare il cibo da solo non basta, l’essere umano ha bisogno di altro. E penso che questo esperimento sia l’esempio perfetto per spiegare come è stata rivisitata la piramide di Maslow.
Partiamo dicendo che questi concetti non li ho trovati su un testo accademico ma su un libro divulgativo di un collega che si chiama Scott Barry Kaufman (ed il libro “Transcenden”) che, come hai sentito nella puntata, si è studiato tutti gli scritti di Maslow, compresi quelli inediti. Scoprendo per prima cosa che l’immagine della piramide non era sua, era una rielaborazione del suo lavoro che non apprezzava particolarmente. E neanche la gerarchia era sua, la quale rende il modello poco dinamico e mostra il fianco alle varie critiche che abbiamo appena sollevato.
Bisogna sottolinearlo: tutto ciò non significa che non esistano dei bisogni fisiologici e che altri siano più sociali ecc. Ma significa che pensare che esista una gerarchia rigida è sbagliato ed anche pensare che tutto ciò lo si fa per se stessi. Ecco perché il libro di Barry si chiama “trascendenza” non perché parli di spiritualità ma perché vede le persone impegnate nel cercare di rendere migliore il mondo in cui sono arrivate. Per usare una metafora molto nota (si era nota già decenni fa prima che alcuni amici la facessero propria e credono di averla scritta loro, si chiama “effetto ikea” unito a quello del “senno di poi”): piantare alberi alla cui ombra non siederemo.
La barca
Kaufman propone quindi un’altra metafora, un’altra immagine molto potente, non più la piramide ma una barca. Nella quale lo scafo rappresenta i bisogni di sicurezza e la vela quelli di esplorazione, di coraggio e di crescita. Devono esserci entrambi affinché la barca possa navigare, possiamo avere uno scafo perfetto e resistente ma senza vela resterà ancorato in porto. Possiamo avere una vela pazzesca ma senza uno scafo sicuro affondiamo anche solo restando in porto. Insomma servono entrambe le cose, diciamo che per stare in acqua serve per lo meno avere uno scafo senza troppe falle!
Non è una novità se ci pensiamo, già diversi pensatori avevano contrapposto l’idea di sicurezza e coraggio, sicurezza e varianza. Perché sono due poli della nostra natura, dobbiamo ricercare sicurezza per sopravvivere ma allo stesso tempo senza il coraggio di abbandonare il porto non creiamo ricchezza per noi e per i nostri figli. Come vedi Darwin non lo togliamo dall’equazione, cioè anche la nostra barca può essere vista in termini evolutivi, ci tengo a dirlo perchè sembra quasi che prima abbia detto che seguire Darwin fu un errore. No è la sua cattiva interpretazione ad esserlo e non solo in ambito psicologico purtroppo!
La scoperta, il viaggio, il coraggio di partire sono evolutive quanto i bisogni di cibo e protezione. Perché senza la vela prima o poi le risorse finiscono e si rischia grosso. Mi rendo conto che trasformare molti bisogni complessi in 2 semplici sembra un riduzionismo estremo ma posso assicurati che assolve con maggiore forza il suo intento. Lo scopo della piramide era quello di spiegare la gerarchia, gli strati, i livelli da sbloccare, quasi fossimo in una sorta di videogame – Livello 2 completo, ora puoi passare al livello 3 – ma le cose non funzionano in questo modo. Noi tendiamo a perpetrare più strati della piramide insieme e a volte anche contemporaneamente.
La forza di un modello non è solo quella di essere chiaro ma deve anche aiutare a prevedere cosa accade e deve essere pratico! Cioè pensando a me in questo contesto, ho più bisogno di capire cosa manca nello scafo o nella vela? Oppure nella rotta? Si perché non ci sono solo i bisogni in questo modello ma anche i valori che sono rappresentati dalla rotta che decidiamo di intraprendere. Nella quale, come probabilmente ricorderai non si tratta di una meta ma solo di una direzione come se fosse un punto cardinale della bussola e non “l’isola di Pasqua” (cioè una meta da raggiungere).
Oltre se stessi
Dal tema della Self-Kindness, di cui ci siamo occupati spesso, abbiamo visto che esistono due tipi di circuiti che si bilanciano dentro di noi: quello della minaccia e quello della riparazione e crescita. Quello dell’attacco fuga molto conosciuto e quello tend-and-befriend, nulla di super strano dato che già da tempo sapevamo che nel nostro sistema nervoso autonomo risiedono due meccanismi uguali e contrari: il simpatico (che è poco simpatico dato che è quello che si attiva in relazione alla minacce) ed il parasimpatico (che invece ci aiuta nelle operazioni di crescita come la digestione, il ricambio cellulare ecc.):
Quando ci sentiamo minacciati, quando siamo in pericolo (vero o presunto) tendiamo a comportarci in modo egoistico e a volte anche meschino. Cinicamente potremmo dire che è si tratta di una reazione naturale dato che, dobbiamo salvarci la pelle, tuttavia è ben noto anche il comportamento contrario: quando stiamo bene tendiamo a voler fare del bene, a voler lasciare qualcosa per i nostri cari e occuparci di loro. Ora lasciamo stare se questo è un comportamento eticamente giusto, cioè se lo facciamo per il bene o se lo facciamo per un tornaconto ciò che mi interessa in questo contesto è mostrarti questi due meccanismi contrari.
Per mostrare che quando lo scafo della nave è ben sicuro tendiamo naturalmente a voler esplorare, e quando navighiamo con facilità tendiamo ad accogliere più persone sulla nostra nave e cerchiamo di lasciare qualcosa per i posteri, quello che secondo Kaufman rappresenta la trascendenza, ricordo non in senso mistico ma nel senso di andare oltre se stessi. Anche qui potremmo discutere se si tratta di qualcosa che facciamo perché abbiamo un animo nobile o perché semplicemente non ci va giù l’idea di non essere ricordati in futuro. Anche qui non conta ciò che conta è tenere a mente che lo facciamo da sempre, sia in modo molto generoso che in modo egoistico.
Senza tale bisogno non avremo la storia con tutti i suoi protagonisti, ma se ci pensiamo bene lasciare un segno che altri possano vedere non è una cosa capitalistica del nostro tempo, non è neanche un’azione narcisistica (almeno non sempre). Tra i reperti più antichi che abbiamo dei nostri antenati ci sono una valanga di “negativi di mani”, i nostri antenati appoggiavano le mani sulle pareti delle caverne e, mettendosi un pigmento in bocca (così si ipotizza), lo spruzzavano sulle mani lasciando delle impronte in negativo. Se cerchi online ne trovi un botto, li studiamo da anni per capire temi come il mancinismo ecc. (a quanto pare la percentuale di mancini di allora è identica a quella di oggi, vedi gli studi del prof. Giorgio Vallortigara).
Voglio concludere con l’aspetto sociale, la resistenza delle nostre barche non dipende e non può dipende solo da noi. Certo ognuno ha il compito di trattare al meglio la propria barca ed ha la responsabilità di farlo ma dobbiamo ricordare che siamo tutti nello stesso mare. E che se vivo in mondo dove la maggior parte degli scafi sono rotti probabilmente neanche il mio sarà così sicuro, ecco perché è importante trascenderci e pensarci come membri di una rete più ampia ed interconnessa. La sociologia lo sa da sempre con il tema della finestra rotta… insomma ci sarebbe ancora molto da dire…
Nel frattempo ti lascio con queste riflessioni… fammi sapere cosa ne pensi.
A presto
Genna