Il titolo di questo post è una nota frase che Manzoni mette in bocca a Don Abbondio e sta ad indicare quanto sia facile giudicare e/o prendere decisioni dopo che gli eventi sono accaduti e se ne conoscono le conseguenze. Ma in realtà il senno di poi è un vero e proprio Bias in grado di mostrarci alcuni dei funzionamenti più affascinanti della nostra mente. Ci siamo già occupati di questo tema ma forse mai da questo punto di vista…

Il bias retrospettivo

Questo bias ha a che fare con la nostra memoria, con la nostra attenzione (selettiva) e con il modo in cui diamo senso alle cose che ci capitano. In poche parole, questo fenomeno è in grado di rivelarci molto su come funziona la nostra mente, su come tendiamo a modificare i ricordi affinché siano coerenti. Su come tendiamo a selezionare specifiche parti per dare senso a ciò che pensiamo sia accaduto. E su come facciamo tutto ciò per continuare a raccontarci storie in grado di mantenere una coerenza interna della nostra personalità.

Ecco perché ho deciso di parlare di questo fenomeno dopo anni (pezzo di storia di Psinel)! Infatti i primi studi su questo tema risalgono al 1975 perché se ci pensiamo bene è qualcosa che capita sotto i nostri occhi molto spesso. Gli esseri umani amano fare previsioni e anzi, oserei dire che sono costretti a farle anche se non vogliono, per questo spesso sentiamo cose del tipo: “quando andrà al governo vedrete cosa riuscirà a fare” e poi la stessa persona, dopo alcuni mesi affermare: “Lo sapevo io che era un buono a nulla”. Sì affermando prima una cosa e poi il contrario di essa… siamo impazziti?

No, se ci pensi è qualcosa di abbastanza evidente. Immagina di essere in montagna, di essere non troppo esperto e guardando una vetta stimare il tempo del percorso. Guardandola potresti pensare siano necessarie 4 ore, così dici a tutti i tuoi compagni di camminata che tra poche ore sarete su quella vetta a piantare la vostra bandierina. Ma in realtà ci mettete 7 ore. Dato che la cosa è contingente diventa chiaro l’errore di previsione, tuttavia se questo non viene confutato subito e lasciato tacere (non per volontà di chi ha fatto la previsione ma per gli eventi) è possibile accada qualcosa di molto particolare.

Se nessuno confuta la differenza tra 4 e 7, è possibile che al cercare di ricordare quella passeggiata tempo dopo vi convinciate di aver stimato circa 7 ore di cammino. Perché? Stiamo cercando di difendere la nostra previsione? In un qualche senso sì ma non volontariamente ma per motivi funzionali, evolutivi. Il fatto che il dato 4 venga sostituito con il dato 7 migliora la vostra capacità di muovervi in quello spazio e nel tempo, pensate se al contrario non accadesse questo aggiornamento. La volta successiva sarete ancora pronti ad affermare che servano 4 ore per arrivare in quel punto.

E’ come se il dato di realtà (le 7 ore) si sovrascrivesse su quello previsto (le 4 ore) e se ci pensiamo è del tutto plausibile che avvenga qualcosa del genere. Tuttavia, ad uno sguardo più ristretto sembra un modo della nostra mente di prenderci in giro, di difenderci dalla vergogna di aver sbagliato previsione. A me piace di più la versione legata alla evoluzione, la quale se ne frega della coerenza e della verità e preferisce invece ciò che funziona, ciò che massimizza la sopravvivenza… poi di certo esiste la tendenza ad esagerare e mentire per vedersi più belli o migliori degli altri, ma questo è un altro discorso.

Tutto ciò si mescola con il noto Bias della disponibilità che ci porta a prendere in considerazione solo le informazioni che sono, per l’appunto, più disponibili. Quando facciamo una qualsiasi previsione essa resta (più o meno) disponibile fino a quando non arriva l’esito vero e proprio, a quel punto può avvenire anche una sovrascrizione immediata. Più passa del tempo da quando abbiamo avuto il reale responso e più è probabile che il ricordo sia stato in un qualche modo modificato dall’esito stesso. Sembra un fenomeno assurdo ma lascia in realtà lo conosciamo molto bene.

La memoria

La nostra memoria è molto particolare, come abbiamo detto molte volte gli studi su questo tema partono proprio dalla mia Città adottiva: Padova. Vittorio Benussi, psicologo sperimentale dello scorso secolo, insieme a Cesare Musatti, avevano iniziato alcuni studi per dimostrare quanto la nostra memoria fosse fallacie. In particolare si concentrarono sulla incapacità delle persone di riportare eventi vissuti: facevano vedere filmati, foto, leggere resoconti e poi ponevano semplici domande. Quasi mezzo secolo prima di Elizabeth Loftus avevano capito che non ci si poteva fidare del ricordo.

Quando dico queste cose ai non colleghi la gente strabuzza gli occhi: “ma come è possibile non fidarsi dei ricordi? Non è una cosa che fa impazzire le persone?”. Il punto non è cercare né cosa siano e né dove siano i ricordi (in questi studi sulla memoria si dimostra che non sappiamo un granché su dove siano) ma a cosa servano. In modo prosaico possiamo affermare che servano per sopravvivere, dunque non gliene frega niente alla natura di averci dotati di apparecchiature in grado di riportare fedelmente la realtà, ciò che gli interessa è che ciò che viene ritenuto sia utile alla vita.

Sarà poi la super citata (qui su Psinel e non solo) Elisabeth Loftus ha definire una volta per tutte che i ricordi non sono delle tracce fisse nella nostra testa ma sono in costante rimescolamento con la nostra esperienza. Anche la Loftus ha dimostrato che non siamo bravi a ricordare e soprattutto che il ricordo è suscettibile a modifiche anche istantanee, date ad esempio da domande tendenziose (per questo nei tribunali non si possono porre domande suggestive: “Che arma ha usato per uccidere il sig. Mario” è una domanda tendenziosa che presuppone ad esempio che si sia compiuto l’atto).

Non so se ti è mai capitato di vedere un film o leggere un libro che non hai compreso solo in parte, poi parlandone con altre persone, leggendo recensioni inizi ad averne una idea più chiara. Poi, quando ripensi a quella narrazione dopo i confronti è come se fosse cambiata. Un po’ come capita in quelle storie alla “Fight Club” dove un dettaglio finale modifica tutto ciò che hai visto prima. E quando ripensi al film non lo rivedi dal punto di vista del finale, hai presente? Ecco è la stessa cosa che succede con “il bias retrospettivo”.

Quando non sai cosa farà l’Italia hai prossimi mondiali e spari una previsione, a meno che tu non sia un esperto che si segna i pronostici, una volta conosciuto il vero esito, questo fungerà un po’ come il finale del film: modificherà anche il ricordo del tuo pronostico. E’ come se qualcuno ti chiedesse di indovinare come finirà quel film a metà, prima di sapere la scottante verità (il plot twist lo chiamano i narratori) ed è abbastanza plausibile che sia una previsione sbagliata. Può sembrare davvero strano ma dobbiamo concludere che un evento del presente sia in grado di “cambiare il passato” (abbiamo un bellissimo Percorso per imparare a farlo intenzionalmente).

L’Attenzione selettiva

Se a questi scherzi della memoria ci aggiungiamo un sistema percettivo “fazioso” il gioco è fatto. il termine fazioso viene usato sia come sinonimo di intransigenza ma anche come tendenza o preferenza politica. Ecco senza saperlo noi abbiamo delle preferenze percettive che nascono dalle nostre esperienze passate e ovviamente dai nostri propositi. Se prendiamo un architetto ed un nutrizionista e li mandiamo in un luogo è facile che il primo noti tutti gli edifici e le costruzioni ed il secondo invece noti i ristoranti e/o le abitudini alimentari.

Galimberti dice spesso che se mando in un bosco un appassionato di natura o un boscaiolo vedranno due cose molto diverse. Il primo si farà sorprendere dalle creature meravigliose, dalla armonia della natura ecc. Il secondo vedrà i tipi di alberi ed immaginerà un sacco di tavoli, sedie e armadi da costruire. Questo fenomeno che mette insieme il tema dell’attenzione selettiva (il fatto che noi sempre selezioniamo solo porzioni della realtà) con le tendenze a selezionare cose specifiche, viene fuori che quando facciamo una valutazione su qualcosa, quando la richiamiamo alla mente, tenderemo a vederla sulla base di ricordi selezionati da noi.

Solitamente selezioniamo aspetti della realtà che ci diano ragione, non quelli che confutano le nostre opinioni. La cattiva notizia è che lo facciamo tutti, anche chi ama il pensiero scientifico come me, per questo la gente fa fatica a comprendere il vero valore della falsificabilità popperiana… perché ci suona male! Oltre all’ovvio Bias di Conferma (cioè la tendenza a cercare, interpretare e favorire le informazioni che confermano le nostre ipotesi e credenze) ho una teoria personale sul perché la falsificabilità. Essa non ci piace, non solo perché mette in crisi le nostre idee e quindi noi stessi ma anche perché la mente è additiva, cioè ama di più aggiungere e fa molta più fatica a togliere.

Cioè se ti chiedessi di aggiungere alla tua mente una rappresentazione strana, non so come un elefante blu con scritto sopra Psinel mentre fa il podcast, serve un pizzico di fantasia ma potresti immaginarla, vero? Ok adesso smettila di pensarci, elimina questo pensiero dalla testa! Se sei come la maggior parte della gente non ci riuscirai a meno che tu non possa sostituire quel pensiero con un altro, tecnicamente “aggiungendo qualcosa invece di toglierlo”. Falsificare è un processo complesso che a volte prevede delle aggiunte ma è composto più che altro dalla capacità di “togliere”. (Sono mie ipotesi, non sono provate in alcun modo).

Siamo bravissimi a trovare prove a conferma, che aggiungano potere alle nostre affermazioni e siamo altrettanto incapaci di fare il contrario, cioè togliere per confutare. O meglio, non è che siamo incapaci, facciamo decisamente più fatica nel secondo caso e come sai, al nostro cervello la fatica non piace per nulla. Tutto ciò fa sì che quando dobbiamo cercare dentro noi stessi cosa avevamo previsto lo si faccia andando alla ricerca certosina delle informazioni in grado di avvalorare le nostre ipotesi scartando tutte le altre. E come lo facciamo?

Ci raccontiamo storie coerenti

La maggior parte dei nostri contenuti interni sono storie che ci raccontiamo, le quali servono per rappresentare il mondo esterno e per comunicarlo (non solo agli altri ma anche a noi stessi). Le storie che raccontiamo sono soggette a continui cambiamenti, proprio come le nostre memorie, poiché vengono aggiornate ogni volta che ci passiamo sopra (ogni volta che le richiamiamo, perché tecnicamente anche loro sono nella memoria). Non possiamo fare a meno di dare senso, coerenza e razionalità alle storie che ci raccontiamo.

Per questo il “senno di poi” è così presente nelle nostre vite. La cosa pazzesca che emerge da quanto detto sino a qui è che mentre noi non siamo consapevoli di questi errori, gli altri possono accorgersi che li facciamo e a loro volta non essere consapevoli dei propri. Quindi se io ti dico che l’Italia vincerà i mondiali è più probabile che sia tu a ricordare questa mia affermazione rispetto a me e viceversa. Ciò ci mostra una sorta di potere della relazione nel dare forma al nostro modo di vedere il mondo, infatti potrà sembrare strano ma la verità è che da soli, magari come asceti in una caverna, rischiamo di raccontarci più frottole che verità.

Spesso la gente pensa che fuggendo dalle relazioni e dall’influenza degli altri (i famosi 5 attorno a noi) si possa pensare meglio e invece i dati ci dicono che è più probabile il contrario. Un altro esempio ci arriva dagli studi sull’influenza, nel famoso studio di Asch e delle sue linee (se non sai di cosa sto parlando guarda qui) i soggetti convinti dalla pressione sociale, intervistati a distanza di qualche settimana erano ancora più convinte dell’effetto manipolatorio. Ok anche se ti ho messo un link qui sopra provo a spiegartelo con parole mie.

Auto-convincimento silenzioso

Nel famoso esperimento di Asch i soggetti erano invitati a valutare la lunghezza di 3 linee su una lavagna (A, B e C). Dall’immagine è evidente che una sia la più lunga, ma quando viene posta questa domanda succede qualcosa di strano. Siete 8 soggetti e dovete rispondere a voce uno alla volta in un ordine preciso, guarda caso tu sei l’ultimo. Immaginiamo che la linea evidentemente più lunga sia la B ma c’è anche la C molto lunga, solo che non lo è abbastanza. Lo sperimentatore dice: “Ora in ordine da destra a sinistra ditemi qual’è la linea più lunga tra le tre presentate”.

Tutte e sette le persone prima di te dicono a gran voce: “La C è sicuramente la più lunga”. No, non sono impazziti tutti, in realtà le 7 persone che ti precedono sono complici dello sperimentatore, il loro scopo è cercare di vedere se attraverso questa scelta comune possano influenzare la tua. E se fai parte del 70% della popolazione, tenderai a conformarti alla loro decisione. Ora potresti dirmi: “ma si, chi se ne frega di dare torto a 7 persone. E’ solo uno stupido esperimento”. E in parte avresti pure ragione ma…

La cosa inquietante è che settimane dopo, se ti intervistano, hai come l’impressione che realmente fosse più lunga la C e non la B. O almeno questo è il risultato degli esperimenti che sono stati condotti moltissime volte e in diverse salse. In pratica più passa il tempo senza confutazioni e più una idea, seppur sbagliata, tende a diventare più vera. Se inizi a credere alla terra piatta ma non ti confronti con nessuno, la tua mente farà quel gioco di aggiungere, cioè l’attenzione selettiva pescherà tutte le cose che confermano la tua strampalata ipotesi.

Questo fenomeno (che ha ancora a vedere con la “disponibilità”) è ben conosciuto dai prestigiatori, l’effetto magico diventa più potente dopo che è avvenuto. Quando siamo di fronte al mago cerchiamo di stare attenti, ci chiediamo anche come e cosa stia facendo per creare quegli effetti, in fondo sappiamo che si tratta di trucchi. Ma poi, quando a casa ci ripensiamo e magari raccontiamo a qualcuno cosa abbiamo visto, tendiamo a pescare solo le parti davvero interessanti e a togliere di mezzo gli eventuali dubbi (a meno che non siamo maghi a nostra volta, allora la nostra attenzione selettiva farà come quella del boscaiolo, cercherà trucchi).

Insomma spero con tutti questi esempi di averti illustrato quanto sia interessante questo effetto e quanto sia rilevante parlarne, dato che non ci accorgiamo di metterla in campo. E quando qualcuno ci fa notare che ci siano contraddetti, piuttosto che dargli ragione siamo capaci di inventarci storie sempre più fantasiose per mantenere una coerenza dentro noi stessi. Come avrai intuito si tratta di una valanga di cose che rivelano come siamo fatti, come tendiamo a pensare ecc. Per oggi mi fermo qui perché penso di aver messo fin troppa carne al fuoco… fammi sapere cosa ne pensi tra i commenti del Video Extra che uscirà, come sempre, martedì alle 18.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.