Quante volte ti è successo di dire “lo faccio domani” e poi non l’hai più fatto? E’ una cosa normale, procrastinare fa spesso parte delle nostre abitudini, in alcuni casi anche sagge. Ma il senso del termine con il quale ci approcciamo alla procrastinazione oggi non è quello positivo, di chi riesce a dilazionare il piacere per poter avere qualcosa di meglio nel futuro. Ma di chi rimanda costantemente ciò che sa di dover fare, spesso al di là di ogni ragionevole presa di coscienza, capita a tutti… ed è un po’ la sfida che ogni psicologo ha di fronte nel proprio lavoro. Oggi vedremo una tecnica… testata con i mezzi della ricerca davvero semplice e affascinante…

Carota e bastone

Lo sappiamo da sempre di essere motivati da una carota e da un bastone anche se la analogia non calza pienamente. Perché il bilanciamento di cui si parla nello studio, quello tra i costi emotivi attuali e i vantaggi futuri è qualcosa di leggermente più complesso del tema di premi e punizioni. Si tratta di fare ciò che nel colloquio motivazionale viene usato spesso per aiutare le persone ad uscire dalla naturale ambivalenza nei confronti del cambiamento: tutti sappiamo quanto ci farebbe bene iniziare a fare attività fisica ma non tutti lo fanno. I motivi sono molti alcuni direbbero “pigrizia” ma le cose sono più sottili…

Certo alcune persone sostengono che la gente non fa ciò che dovrebbe fare per pigrizia, indolenza, stupidità ed ignoranza. E a volte è vero. Ma non sempre e anzi direi la maggior parte delle volte le persone non fanno le cose per motivazioni invisibili a occhio nudo. Immaginiamo un nostro collega che conosciamo poco bene, lo vediamo solo a lavoro, di tanto in tanto ci dice che il medico continua a chiedergli di iniziare un po’ di attività fisica. Noi magari gli diamo dei consigli, cerchiamo di coinvolgerlo ma lui per qualche motivo rimanda ecc… è facile pensare “è solo pigro”!

Se magari lo conoscessimo meglio scopriremmo che è divorziato, ha 3 figli, un cane e una madre malata. E che l’unico momento che può dedicare a se stesso è risicatissimo. Questo non significa che non possa trovare davvero una routine efficace per il proprio benessere, noi con Lifology e il nostro programma Move Motivation l’abbiamo visto accadere molte volte. Ma significa che non possiamo sapere perché la gente non fa certe cose, anche quando sembrano semplici ai nostri occhi. Come facciamo nei nostri programmi?

Iniziamo a lavorare come nello studio, cercando di dare valore a piccoli interventi strutturati o semi-strutturati da adattare in base alla vita personale. Si tratta di fare piccoli passi ma nella direzione di iniziare a dare un nuovo senso a ciò che si sta compiendo, non solo “perché me l’ha detto il dottore o perché devo fare la prova costume”, si tratta di iniziare a vedere quel procrastinare (nell’esempio che stiamo facendo l’attività fisica) non come mancanza di strategie ma come mancanza di regolazione attentivo-emotiva. In altre parole non fai quello che dovresti fare perché non ci sono emozioni contrastanti e perché non ci stai mettendo la giusta attenzione (oppure la stai mettendo nella direzione sbagliata).

In pratica non fai ciò che dovresti fare perché una parte di te crede, pensa o anticipa una certa sofferenza emotiva implicata in quella azione. Si tratta di un meccanismo di difesa molto comune che nasce spesso dalla nostra tendenza a risparmiare energia. E’ per questo motivo che amiamo le nostre abitudini, la famosa zona di comfort di cui tanto spesso si sente parlare, nasce proprio da questi meccanismi di base. Ora se mi segui lo sai, io adoro parlare di “meccanismi” perché quando li conosci puoi davvero lavorarci, al di là di tirare in ballo neurotrasmettitori e/o ormoni e/o zone del cervello (che, spoiler, tra qualche anno cambieranno radicalmente).

Cambiare senza cambiare

Nonostante si sia naturalmente risparmiatori energetici (chi più e chi meno) la verità è che la costante del nostro mondo non è lo status quo, la fermezza, ma è il cambiamento continuo. Ora qualcuno potrebbe dire: “si certo una bella frase filosofica alla Eraclito ma a ben vedere sembra che tutto cambi per restare tutto uguale”. Eh si, la verità dietro al tema del cambiamento è proprio questa e chi si è occupato di cibernetica applicata alla mente umana (come qui fenomeni del M.R.I. di Palo alto tra gli anni 50 e 80) conosce questa sottile differenza ad opera soprattutto di Gragory Bateson.

Secondo questi studi esisterebbero diversi tipi di cambiamento, per evitare di rendere la cosa troppo complessa mi riferirò ad un esempio molto chiaro. Immaginiamo un insieme di numeri interi, cioè numeri senza decimali e non negativi, per quanto tu possa applicare ad essi operazioni classiche come moltiplicazioni, addizioni e sottrazioni continuerai ad ottenere numeri interi. Cioè anche se fai molte operazioni, cioè molti cambiamenti ciò che ottieni è solo un cambiamento all’interno del sistema stesso, nessun numero diventerà miracolosamente una giraffa.

Ma se iniziassi a fare divisioni, un’operazione leggermente più complessa delle precedenti potresti iniziare a vedere cambiamenti netti. Come ad esempio la presenza di numeri con decimali e perché no, anche numeri negativi ecc. Ecco la divisione in questo ambito opera una sorta di salto che fa uscire i numeri dal loro insieme, ottenendo un cambiamento di secondo livello. Ed è ciò che tutti noi cerchiamo di ottenere quando vogliamo migliorarci. Anzi in verità ciò che vorremmo è ottenere un cambiamento di questo genere ma usando le operazioni semplici precedenti, quelle che già conosciamo, quelle per così dire “comode”.

Il punto è che per cambiare davvero è bene imparare a fare le cose difficili. Ti faccio un esempio che deriva dall’allenamento fisico che solitamente sono molto chiari: immagina due persone con un fisico molto simile che decidono di iscriversi in palestra. Il primo è orientato a cercare di fare il minor sforzo possibile mentre il secondo è invece anche disposto a sforzarsi. Immaginiamo che queste due persone si allenino per almeno un anno con costanza. E’ chiaro vero chi otterrà più risultati? Potremmo dire di si, quello che ha deciso di sbattersi ma non è detto che il primo non li ottenga ma…

Dato che vuole fare il minor sforzo possibile, cosa anche comprensibile in palestra (non tutti si allenano per diventare enormi), è possibile che ad un certo punto quando raggiunge un certo tipo di forma smetta di impegnarsi. Anche se prima i suoi cambiamenti erano davvero lenti è probabile che non vi saranno nuovi adattamenti. Questa persona non ha capito che nel momento in cui quell’esercizio diventa troppo facile significa che non serve più a niente. Detto in altre parole, se quella zona di disconfort diventa di comfort di certo hai ottenuto un risultato ma se ti ci adagi troppo… torni indietro.

Una altalena

Immaginiamo una altalena (o un pendolo per i fisici) di certo possiamo alterare l’oscillazione della giostra con i nostri movimenti, immaginiamo che il nostro scopo sia quello di farle fare un giro completo a 360° (non fatelo a casa). Ora è chiaro che ogni sforzo volto ad andare in una certa direzione diverrà anche una risposta uguale e contraria. Più cercherò di andare in avanti e più andrò anche indietro con il pendolo, fino a quando non risucirò a dare il giro. La cosa interessante è che quando sono indietro non dovrei vedere quel mio incedere come un errore, ma come una sorta di rincorsa che potrà avvicinarmi a fare il giro completo.

Il nostro cambiamento funziona più o meno così, oscilla e quando siamo da un polo ci sembra che l’altro non esista più. Uscendo dalla analogia con l’altalena quando punti sulla regolazione emotiva ti sembra quasi che i vantaggi di quell’azione svaniscano e ti chiedi: “ma perché cavolo devo soffrire per fare questa cosa? Eppure mi sembra che la gente riesca a farla senza troppi sbattimenti?” ecc. Lo stesso capita quando punti solo sui vantaggi del fare quell’azione, se sei troppo da quel lato evitando il primo rischi di illuderti e non appena emerge un pizzico di emotività scappi subito.

La verità è che dobbiamo vedere entrambi i lati, entrambe le oscillazioni come segnali positivi del nostro cambiamento in essere. Se ci troviamo da una parte o dall’altra dobbiamo semplicemente accogliere il fatto di andare noi, intenzionalmente dall’altra parte per aumentare il nostro momento e massimizzare la probabilità di fare il giro completo. Certo su una vera altalena massimizzare un polo potrebbe garantire il risultato ma nella realtà omeostatica della nostra vita le cose non stanno così, sono leggermente più complesse. Anche perché nel momento in cui cambi qualcosa, cambia anche tutto il resto!

Nel momento in cui fingi che non vi sia una emozione bloccante tendi a spingerti solo sull’altro lato. Il che potrebbe avere buoni risultati all’inizio ma non così tanto. Un po’ come quel tuo amico pigro, che solitamente non ama mettersi in forma ma che viene lasciato dalla ragazza e, un po’ per la tristezza un po’ per la rivalsa smette di mangiare e si mette a fare attività fisica. Con il buon intento di rimettersi in forma e magari conquistare una nuova fiamma o (solitamente) far pentire la vecchia. Se lo fa ignorando i sentimenti rischia o di farsi male esagerando o di perdere motivazione non appena la rabbia si stempera un pizzico.

La gente non fa ciò che sa di dover fare non solo per pigrizia ma soprattutto perché non ha analizzato con attenzione le proprie “buone motivazioni”, per questo all’interno dei percorsi che utilizzano il colloquio motivazionale (come i nostri) si cercano altre buone motivazioni. Si cerca di comprendere quali motivazioni mantengano bloccati e quando lo si fa, la maggior parte delle volte è sempre una questione emotiva e valoriale. La ricerca presentata non fa altro che utilizzare questi strumenti ed ancora una volta ci dimostra qualcosa che spesso non ci piace ammettere…

E’ spesso più semplice di come appaia

Spesso crediamo che se da 10 anni abbiamo una cattiva abitudine sia necessario fare un lavoro che duri per lo meno una percentuale considerevole del tempo disperso in quella abitudine. Quindi non 10 anni ma almeno 3 o 5 anni si, questo ragionamento non è del tutto sbagliato: è vero che per far consolidare nuove abitudini e per sostituire le vecchie impeghiamo del tempo ed è anche vero che, di tanto in tanto, si fanno passi falsi verso la vecchia abitudine. Ma non è vero che serva moltissimo tempo per farlo o per creare almeno un pizzico di motivazione, come dimostrato negli esercizi esposti.

Qualche giorno fa un ragazzo ha criticato il fatto che io abbia detto in un video: “fare questi esercizi per 5 minuti al giorno e sicuramente avrete dei miglioramenti”, affermando che fosse una dichiarazione leggermente iperbolica rispetto a ciò che succede. Ha ragione, la maggior parte delle persone che inizia un percorso di cambiamento (soprattutto solitario) non lo porta a termine, ma la verità è che non lo fa non perché i consigli che segue siano sbagliati (nel mio caso i 5 minuti di esercizio al giorno) ma perché ad un certo punto smette di esercitarsi.

Invece sono qui a ricordarti che qualsiasi azione ripetuta, anche solo 5 minuti al giorno, fatta con intenzionalità, apporta cambiamenti dentro di noi, anche grandi miglioramenti in alcuni casi. Lo so, 5 minuti sono davvero pochi, ma se prendi una qualsiasi abilità che si possa esercitare in quel lasso di tempo e trovi un esercizio specifico, ti assicuro che esercitarti ti porterà dei miglioramenti. Di certo non potrai cambiare la tua composizione corporea con 5 minuti di camminata o di palestra al giorno ma sarà un inizio che darà il via a diversi cambiamenti.

Di certo meditare per 5 minuti al giorno non è un granché, ma se non hai mai praticato la meditazione ed inizi da oggi per soli 5 minuti ti assicuro che tra 2 mesi ne trarrai dei benefici. Ti dico già cosa succede se lo fai per bene: all’inizio 5 minuti sembreranno una tortura e mi maledirai. Dopo 2 o 3 settimane inizierai a chiederti se non sia bene farne 7, 8 o addirittura 10 minuti, perché la pratica diventerà più comoda. Man mano che proseguirai avrai la naturale tendenza ad aumentare il tempo, questo non vale solo per la meditazione ma praticamente per ogni tipo di esercizio che non hai mai svolto in precedenza (e che ti fa bene).

Questa storia dei 5 minuti sembra davvero una barzelletta ma ti assicuro (eccomi ancora con le promesse) che se prendi una qualsiasi cosa che tu voglia fare, che ti faccia bene ed inizi a farla per 5 minuti al giorno per almeno 2 o 3 mesi e vedrai. Non solo cose che non hai mai fatto ma anche le cose che dai per scontato: prova a dedicare 5 minuti a come parcheggi l’auto e vedrai che diventerai più bravo nei parcheggi (anche se hai la patente da 30 anni)…ecc. I 5 minuti sono una scusa per iniziare ed anche per ingannare l’aspetto emotivo che se, riconosciuto come nell’esperimento, può trasformarsi in energia motivante.

Insomma non ti resta che provare e farmi sapere com’è andata!

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.