In un recente articolo che ho commentato tra i miei video è emersa una delle differenze fondamentali tra l’intelligenza artificiale e quella “umana”. Ora ti chiederai, ma è davvero così importante questa differenza?
Assolutamente si! Tra pochissimi anni la maggior parte dei lavori attuali verranno sostituiti dalla macchine e conoscere quali sono i nostri “punti di forza” (in quanto umani) mi sembra essenziale.
Non solo, l’analisi e lo studio di come costruire una intelligenza artificiale ci sta facendo comprendere sempre di più che cosa è davvero “l’intelligenza umana”, oggi parliamo di questo… buon ascolto:
Che cosa è l’intelligenza?
Come recita oramai la fonte ufficiale del web, wikipedia, una vera e propria definizione univoca di intelligenza non è ancora stata convenuta, anche perché ogni ricercatore ha dato la propria.
Ma in linea di massima possiamo dire che un organismo è intelligente quando riesce ad affrontare i problemi legati alla propria sopravvivenza risolvendoli, in un modo o nell’altro.
Sotto questo punto di vista ogni essere vivente è intelligente a modo suo, dai micro organismi alle piante, dagli insetti agli animali più evoluti, tutti hanno modalità di risoluzione dei problemi.
La differenza con tutti gli altri esseri viventi è la nostra capacità di manipolare il significato delle cose, cioè di creare delle mappe astratte su cui poter operare attivamente. Quello che chiamiamo ragionamento.
Lo so, anche gli animali a noi più vicini hanno tale abilità, anche se in forma molto molto ridotta, ma allora quale è la differenza tra noi e gli animali? Ti vedo alzare la mano e dire “il linguaggio”, ma non basta.
Il linguaggio e relazione
Di certo il linguaggio è uno degli aspetti peculiari degli esseri umani, ma non è altro che una conseguenza del potere di astrazione e di manipolazione dei significati. Non è una piccolezza intendiamoci però è un’abilità presente anche in certi animali non umani.
La differenza più importante è ciò che ha fatto nascere il linguaggio ed è ciò che consente al “linguaggio” di avere un senso per noi, cioè la possibilità di entrare in relazione con tanti altri esseri umani.
Se prendi 10 scimmie queste probabilmente sapranno organizzarsi in piccole tribù funzionanti e funzionali. Ma se ne prendi 100 ecco che le cose cambiano, la nostra intelligenza ci consente di operare in grandi gruppi.
Si, anche altri animali riescono a convivere in grandi gruppi ma non a cooperare per un bene comune. Lo so anche noi umani non siamo bravissimi a farlo però siamo in grado di convivere in modo più o meno funzionale tra di noi.
E questo super potere è la differenza che fa la differenza anche nelle macchine e nella intelligenza artificiale… guarda questo video:
Nel video che hai appena visto mi hai sentito parlare di questo post di Psychology Today scritto da Bobby Azarian uno “scienziato cognitivo” che si occupa spesso di temi tecnologici.
Come hai visto Azarian da un titolo molto esplicito al proprio articolo: “l’intelligenza sociale robotica necessita di una teoria della mente”. Vorrei farti notare che nel titolo c’è già qualcosa di particolare, si parla di “intelligenza sociale robotica”.
Nel suo titolo è già presupposto che la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale sarà “relazionale”. In realtà sta già accadendo, se per caso stai usando i famosi assistenti virtuali come Alexa, è già una forma di interazione.
Ma siamo davvero davvero ancora lontanissimi dall’essere di fronte ad un sistema che dia una reale sensazione di relazione. Quando parlo con il mio Echo dot provo la stessa identica emozione sociale di quando scrivo al computer, né più né meno.
Nello studio si parla di “sguardi” che sicuramente sarà ciò che aiuterà le nuove tecnologie ad apparire via via sempre più umane, ma questo gradino è ancora molto alto.
E’ un bene?
Perché dovrebbe essere “un bene” sapere che la IA non ha ancora raggiunto tali livelli? No, non è perché temo che potrebbe sterminare il genera umano (anche se il dubbio c’è sempre) ma perché questo ci mostra ancora una volta il nostro vero “quid”: la relazione.
In realtà abbiamo questo “quid” sotto agli occhi da sempre, o per lo meno da quando è apparso l’homo sapiens sulla terra. Potrei stare ancora qui ad elogiare il potere evolutivo di tutto ciò ma voglio usare un esempio molto più concreto.
Quante volte ti è capitato di vedere che all’interno di un gruppo (organizzazione, squadra, band, ecc.) che il successo personale non sembra legato alla classica “intelligenza”?
Ti è mai capitato di vedere un tuo collega, nettamente meno competente di te sugli aspetti tecnici da gestire, scalare i vertici aziendali?
Tutto questo capita perché in realtà noi diamo grande importanza all’intelligenza relazionale o sociale. Anche se no ce ne rendiamo conto, spesso la scambiamo per “favoritismi”.
“Quello li è più simpatico di me”
Restando sull’esempio “aziendale”, togliendo i nepotismi e i favoritismi in campo lavorativo, ti sarai accorto che chi stringe migliori relazioni ha anche spesso ruoli migliori, al di la della competenza.
Lo so che questo può sembrarti triste (e spesso lo è) ma è praticamente inevitabile che sia così. Io scelgo come collaboratore una persona di cui possa fidarmi, con cui vado d’accordo prima come persone e poi come professionista.
Se invece scegliessi i collaboratori solo sulla base delle loro competenze potrei ritrovarmi ad avere “dei campioni in squadra” che però non riescono a perseguire obiettivi comuni.
Ci sono addirittura studi che provano quanto sia importante, all’interno di una collaborazione, la capacità di entrare in relazione, il semplice “andare d’accordo”.
Ed è per questo motivo che negli ultimi anni le aziende si sono svegliate (non tutte e spesso non proprio nel modo giusto) ed hanno iniziato a fare corsi sulle così dette “soft skills”.
Che cosa è l’intelligenza relazionale?
Sicuramente è un tipo di “intelligenza” come dicevamo all’inizio del post e come tale “non è una cosa” ma è un processo. Per cui possiamo solo cercare di comprenderne alcune parti nel suo insieme.
Il suo aspetto basilare è di certo la capacità innata di entrare in “comunicazione” con un altro essere vivente. Quella che il ricercatore descrive come “joint”, unione, connessione.
E’ quella che provi quando incroci lo sguardo di un’altra persona che desidera comunicare. Noi leggiamo le intenzioni comunicative degli altri, come hanno dimostrato gli studi sul sistema specchio.
Questo, ad un livello cognitivo (potremmo dire più “alto”) si trasforma in mappe concettuali che ci consentono di anticipare le intenzioni altrui, la famosa “teoria della mente”.
In base a ciò che vediamo, ascoltiamo e ricordiamo di ciò che ci viene comunicato, costruiamo una teoria della mente delle altre persone. Possiamo immaginare: desideri, passioni, valori e intenzioni della gente che ci circonda.
Poche informazioni
Questo super potere ha anche dei grossi limiti, uno di questi è legato al famoso effetto “prima impressione”. Il fatto che tendiamo a farci un’idea rapidissima di chi abbiamo di fronte, basandoci sulle poche informazioni presenti.
E’ qualcosa che può salvarci la vita, quando vediamo un “brutto ceffo” oppure il portafogli, quando ci accorgiamo che quel venditore sembra mentirci e/o manipolarci.
Ma in altre situazioni può impedirci di mentalizzare correttamente l’altro fermandoci al primo “pre-giudizio” che ci salta in mente. Come sai il cervello “è pigro” per cui cerca spesso la strada facile.
Non fraintendermi, quando dico che è pigro intendo che tende a risparmiare energia per sopravvivere, è un bene che lo sia, ma come abbiamo visto in questa puntata porta diversi Bias.
Ogni volta che hai “poche informazioni” su una certa persona sappi che ciò che manca “lo riempi tu” con le tue ipotesi che sono quasi sempre “semplificazioni” che andrebbero approfondite.
Da Freud ad oggi…
Nel Qde di oggi approfondiremo l’aspetto relazionale nella vita delle persone, perché so che alcuni di voi stanno storcendo il naso a pensare che in certi ambiti valga di più la relazione che la competenza.
Si perché tutti abbiamo “l’amico simpatico ma non troppo competente” che grazie alle sue doti sociali ha scalato le vette di una certa attività e nell’invidia pensiamo: “c’è bisogno di meritocrazia”.
Ed ovviamente su un certo piano avresti ragione a pensarla così, ma la verità è che l’intelligenza relazionale è una vera e propria abilità che viene premiata profumatamente.
Chiunque studi approfonditamente i movimenti culturali del passato sa che questi sono stati modellati dall’intelligenza relazionale dei membri che vi appartenevano.
Uno degli esempi eclatanti nel mio campo è il movimento psicoanalitico, quel movimento prima filosofico, poi medico e poi sociale che ha investito l’occidente nel secolo scorso.
I movimenti intellettuali che danno forma al mondo
Se interno al 1900 avevi i soldi, la cultura e la possibilità di entrare in contatto con Freud o con qualche suo allievo, la tua carriera era già costellata di successi.
Perché sicuramente all’inizio la psicoanalisi è stata vista “male” dal mainstream dell’epoca, ma successivamente “ha fatto il botto” e se tu eri tra i suoi sostenitori, scalavi la vetta indipendentemente dalle tue qualità.
Si, certamente chi ha scritto bene e molto è arrivato sino a noi, ma sappi che tra quelle fila di intellettuali c’erano anche persone non particolarmente brillanti.
Il loro successo è stata la capacità di comprendere che c’era un nuovo movimento, entrare a farvi parte ed intessere buone relazioni.
Erano tutti molto colti ma non tutti erano realmente competenti nella materia psicologica emergente. Oltre ai nomi noti e geniali della psicoanalisi c’è tutta una schiera di “allievi di” che ha fatto fortuna.
Amico di amici
So bene che non è bellissimo parlare di “intelligenza relazionale” come della tecnica dell’amico dell’amico, soprattutto in un paese come il nostro.
Sappiamo bene che il nepotismo e i favoritismi hanno devastato intere aziende e sono diventati negli anni il marchio di fabbrica dei “furbetti del quartierino”.
Ma ciò di cui sto parlando non è la fortuna di nascere vicino di casa di “Francesco Totti” e diventare così il capo del suo fan club.
Ma parlo di qualcuno che riesce ad avvicinare Totti perché è particolarmente spigliato, simpatico e sveglio da attrarre la sua attenzione.
Al di la delle sue competenze nel mondo del calcio. Conosco personalmente tante persone con questa spiccata intelligenza ma è necessario sapere che neanche questa basta.
“Essere relazionali non basta”
Nella mia vita ho conosciuto sia persone del tipo “A” (molto preparate ma poco relazionali) e sia persone del tipo “B” (super relazionali ma poco preparate). Chiaramente servono entrambe queste intelligenze.
Una persona molto simpatica e relazionale che però riesce solo a farti divertire il sabato sera, o basa la propria carriera su quello (fa il PR nelle discoteche) oppure rischia di non riuscire a sfruttare la propria influenza.
Ne conosco davvero tantissime, persone molto simpatiche e spigliate che riescono a conquistare tutti, gente famosa e non. Ma che di per se sono solo un’ottima compagnia per il sabato sera.
E ho anche amici super bravi nel creare relazioni ma che non riescono a dare loro una sorta di collocazione. Come dire, anche questa intelligenza come quella classica se non la utilizzi nel modo giusto diventa inutile.
Così come una persona intelligente che però si applica solo nel cercare di vincere al “poker online” ha poche chance di sfruttare bene le proprie doti allo stesso modo un “relazionale” che ti porta solo al divertimento.
Le macchine ci parlano di noi
Così come è accaduto al campione di Go battuto da AlphaGo (la IA di google) che ha iniziato a rivedere i propri concetti legati al “gioco del Go” lo stesso accadrà per la nostra psicologia.
Conoscere come si deve programmare una macchina al fine di farla sembrare “umana” ci costringe a capire che cosa significhi realmente essere “umani”.
Probabilmente questa sarà una delle sfide più difficili del XXI secolo… tu cosa ne pensi? Fammelo sapere lasciando un commento qui sotto.
A presto
Genna
Ps. Ho limato tantissimo il discorso perché mi sarebbe piaciuto inserire Bateson e Buddha.