Tutti oggi sanno (più o meno) cosa significa ClickBait e nessuno lo sopporta. Tutti sappiamo che la gente crea titoli incredibili per attirare la nostra attenzione, tutti odiamo questo modo di fare eppure, blogger, giornalisti ed esperti continuano ad usarlo, perché? Oggi cercheremo di rispondere a questa domanda e anche ad una ancora più interessante: perché funziona il clickbait quali sono i meccanismi psicologici?

Non crederai mai a cosa hanno scoperto i miei colleghi

Ecco un titolo del genere ha già un forte potere di attrazione dell’attenzione, ma non solo, attiva dentro di noi una sorta di curiosità particolare. Quando funziona davvero bene attiva il ben noto “effetto Zeygarnik” di cui ci siamo occupati molte volte su questo sito, cercherò di riassumerlo brevemente per chi non l’avesse mai sentito prima. Il metodo più interessante per spiegarlo è raccontare la sua storia…

Siamo agli inizi del secolo scorso quando una giovane ricercatrice di psicologia è in un ristorante di San Pietroburgo. Sta osservando un comportamento particolare dei camerieri: Bluma, questo era il suo nome, si accorge che i camerieri hanno una memoria straordinaria, riescono a tenere a mente ordinazioni molto lunghe e complesse. Ma non appena il conto viene saldato, puf, di colpo sembra che questi zelanti lavoratori, perdano totalmente (o quasi) la memoria degli ordini effettuati. Perchè?

Bluma Zeigarnik formula alcune ipotesi molto facili da intuire (per noi moderni, dopo mi spiego meglio) cioè l’idea che fino a quando c’è un compito in corso esso resti attivo, come un programma del computer che non abbiamo chiuso (ecco perché per noi è più facile), il quale si termina solo quando la procedura finisce. I camerieri tengono a mente le ordinazioni fin tanto che è utile farlo, non appena i clienti pagano non è più necessario allocare energie su quel processo che viene chiuso. E se ne dimenticano.

Ora, cosa c’entra sta roba con il clickbait, semplice: se dentro di te attivo un qualche processo di pensiero con una frase, una domanda, che ti attira, è come se avviassi un programma che non si placa sino a quando non è terminato. Si potrebbe pensare sia un semplice meccanismo di curiosità, e in effetti sfrutta proprio questo principio, tuttavia è qualcosa di ancora più potente e sottile. Perché fa leva sul principio per attivare dentro di noi stati di insoddisfazione che vanno leniti solo attraverso “il click”.

Che è la stessa cosa che capita quando una serie Tv finisce in modo tale da lasciarci “appesi”, non a caso nel cinema viene chiamato “cliffhanger“. Questo restare appesi fa si di generare non solo curiosità ma anche una sorta di disagio, fin quando il processo non termina è come se non ci sentissimo completi, è come se non riuscissimo a dare senso alle cose. E come ricorderai noi siamo amanti del dare senso alle cose.

Lasciami appeso ma…

Il Clickbait è come restare appesi, il problema non è che si crei tale effetto ma è cosa si cela dietro quel restare appesi e a cosa “restiamo appesi“. Io ci resto appeso ma solo se ne vale la pena, ciò significa che la gente è disposta a cliccare su un link che attira l’attenzione ma allo stesso tempo desidera che dietro a quel click vi sia qualcosa di valido. Cioè che ciò che c’è scritto sia poi esaudito, altrimenti (come dicevamo nella puntata) è come una bella scatola ma con un contenuto farlocco.

E’ questa l’interpretazione moderna del termine ma se ci pensiamo bene nessuno crea un prodotto o un articolo per poi fregarsene di come lo presenta, perché la presentazione è troppo importante. Purtroppo non è mai la consapevolezza del contenuto a far acquistare o cliccare ma sono le “scatole” e le confezioni che ci attirano. Ora si potrebbe pensare ad una legge che impedisca di sparare troppo in alto ciò che si dice, come succede per il commercio (le immagini sono solo di repertorio) ma sarebbe a dir poco impossibile farlo.

Quindi non stiamo parlando di “truffe”, cioè di chi ti dice che nella scatola ci trovi una macchina fotografica e invece c’è un mattone, ma stiamo parlando di chi ti dice che dentro c’è un oggetto del genere ma ci trovi dentro una videocamera degli anni 90′. Secondo il canale Veritasium, da cui ho tratto la puntata, sono due le variabili del clickbait: attirare l’attenzione o sensazionalismo ed il misleading, cioè quanto è fuorviante quel sensazionalismo, cioè quanto si mantiene ciò che si promette.

Ora è bene sapere che anche alcune delle più grandi menti del passato sono state tacciate di “sofismo” nelle loro opere, come ad esempio Cartesio, Galileo Galilei e molti altri. Ai quali è stato detto: certo avete fatto delle scoperte pazzesche ma gran parte del vostro successo è dovuto a come le avete presentate. Quindi sarebbe stato meglio avere un Galielo meno persuasivo? Per quanto mi riguarda, assolutamente no, è un bene che lo sia stato. Altrimenti ci avremo messo ancora più tempo per comprendere le sue idee e soprattutto per accettarle a livello sociale.

Dunque il clickbait cioè attirare l’attenzione in vista di avere un click non è di per se sbagliato, così come non è sbagliato fare una bella scatola per un prodotto, la cosa sbagliata è legata al contenuto della scatola. In realtà sono secoli che lottiamo contro queste cose, per questo esistono dei titoli che si prendono solo dopo lunghi percorsi, esistono controlli qualità, esiste l’anti-trust e altre tutele del genere che nel mondo del web sembrano non esistere.

Il web che disintermedia e livella tutto

Il web come grande disintermediario ci ha illusi che tutto fosse possibile, un mondo anarchico e franco in cui ognuno può fare ciò che gli pare. In parte è ancora così ma come sai il web è diventato “sempre più vero”, fino a quando postavamo solo cavolate personali, il blog come diario, il social come le “foto della scuola”, andava tutto bene. Ma oggi le cose sono più complesse di così e il web è diventato un posto reale, esattamente come un negozio, una casa e una piazza.

Così come nel mondo reale non puoi fregare le persone lo stesso dovrebbe accadere sul web, tuttavia questa sensazione di libertà e il basso “livello di accesso” a determinate cose, ha ingolosito così tanto la gente da aver creato un sacco di confusione in molti ambiti. Ti parlo del mio dato che è quello che conosco meglio di tutti e dato che io uso il web per parlare di psicologia dal 2005 e credo di aver visto come è cambiato il paesaggio degli ultimi 20 anni.

Immagina di essere un mio amico e che ti dica che sabato sera vorrei andare a teatro a vedere un tizio che parla di alimentazione e benessere. Il biglietto costa qualche euro per cui quale sarebbe la prima domanda che mi faresti? Se fossimo nel mondo fisico sarebbe molto semplice: “Ma chi è costui? E’ un medico? Un nutrizionista?”. Sarebbe molto strano non ricevere domande in proposito, vero? Nel web non succede.

Vedo un bella anteprima su YouTube dove leggo: “Ecco i 3 cibi che ti salveranno la vita”, ci clicco sopra e se il contenuto mi piace non solo inizio a seguire il creator ma a volte non mi chiedo neanche se sia un medico o un nutrizionista. Per molti questo è il segno della modernità, dove ognuno può, raccogliendo le giuste informazioni, fare contenuti validi e informativi in ogni campo. Questo è in parte vero, non hai bisogno di essere uno psicologo per parlare bene di psicologia, ma purtroppo non sono tutti così.

Cioè non tutte le persone che non sono mie colleghe capiscono abbastanza bene la psicologia da poterla divulgare senza fare “pasticci” e lo stesso vale per ogni professione complessa. Il problema è che la salute, così come il benessere, si soldi ed il sesso, sono ancora tra i driver più potenti del nostro comportamento e dato che la maggior parte dei “clicbait” nascono per fare visualizzazioni, ecco che la frittata è fatta!

Incompetenti che imitano la competenza

Ecco questo forse dovrebbe essere il titolo di questa puntata ma non attirerebbe troppi click, semmai attirerebbe l’ira di chi divulga cose senza averne la qualifica. Ripeto, non è sbagliato, non è che Alberto Angela (per fare un esempio) è laureato in tutto ciò che racconta. Tuttavia sia Alberto e sia il suo compianto padre, hanno una redazione di esperti che vagliano la qualità delle informazioni che stanno per veicolare. Ecco questo non capita sul web o capita molto raramente.

So che potrà sembrarti strano ma su 10 creators che parlano molto di psicologia (non colleghi), ne salverei 2 o 3 al massimo. Gli altri 7, solitamente, spiegano male la materia e fanno un sacco di confusione e purtroppo, sono spesso quelli che fanno più rumore, che la sparano così alta non per cattiveria ma perché non l’hanno capita. Non hai idea di quante richieste di feedback, da parte di “divulgatori psicologici” ricevo ogni giorno! A molte non risposto e ora mi spiego meglio…

Molti creator che si occupano della mie materie mi scrivono senza conoscermi: “ciao apprezzo molto il tuo lavoro, ho fatto un video sul tema di cui parli spesso, puoi dargli un’occhiata e dirmi cosa ne pensi?”. Mi spiace che sia così, io sono il primo consumatore di contenuti psicologici ma purtroppo l’80% delle cose che mi vengono proposte sono pessime, per non usare altri termini troppo scurrili, di chi non ha capito davvero il tema e si limita a ripetere stereotipi e paroloni presi qui e là.

Purtroppo alcuni sono personaggi che hanno 10 volte il mio following, cioè sono super mega seguite, anche se dicono super mega cavolate. Ma sono le cavolate giuste, quelle che fanno sentire gli altri speciali perché in fondo, solo se sei molto preparato nel campo della psicologia puoi distinguere una “bella scatola dal suo contenuto”. Questa è la dura verità in ogni ambito che purtroppo le molte persone che vogliono “sfruttare l’intermediazione” si stanno dimenticando. (La mia è tutta invidia ;-)).

Ma il pubblico non dimentica

Qualche mese fa, insieme al mio team, abbiamo iniziato ad analizzare i canali esteri di colleghi che andavano per la maggiore e abbiamo notato una cosa molto particolare: la maggior parte di loro iniziava a parlare e poco dopo aggiungeva “sono uno psicologo“. Ora devi sapere che chi è vissuto in un web di 20 anni fa come me era abituato all’esatto opposto, al fatto che online siamo tutti uguali e non ti faccio pesare il fatto che io sono “l’esperto” e tu no.

Tuttavia alla luce di ciò che ci siamo detti sino a qui, abbiamo capito che forse c’era un motivo per cui all’estero facevano in questo modo: perché sono più avanti di noi e hanno capito che la gente si è rotta le scatole di farsi ingannare dalle scatole! E vuole subito la garanzia che le informazioni siano date da persone competenti. Per questo da qualche mese trovi su tutti i miei social la dicitura Dr. Gennaro Romagnoli, non è perché mi sono finalmente laureato (come qualche buon tempone mi ha scritto) ma perché fino ad oggi non lo ritenevo necessario.

“Dai ragazzi la gente sa che sono uno psicologo”, ma le cose non stanno così, il web non è proprio una piazza è più simile ad un fiume. Chiunque si sia mai fermato ad analizzare i dati del proprio traffico si sarà accorto che la gente che arriva a guardare i loro contenuti (se sono creator) è quasi sempre “nuova”. E’ gente che non ti conosce e che atterra sui tuoi contenuti, per questo è bene che sappia subito che la fonte da cui arrivano è autoritaria.

Quando ho capito questo passaggio ho accolto a braccia aperte il fatto di mettere il “dr” davanti al nome, anche se non mi ha mai fatto impazzire, e ancora adesso lo ritengo “troppo” aderente alla mia persona. Tuttavia è necessario che una persona, semplicemente guardando la scatola, possa avere dei segnali di autorevolezza a priori. Anche per questo sono nati gli Albi professionali, non solo per aggregare i vari professionisti ma anche (e soprattutto) per dare garanzie al pubblico.

Come faccio a sapere se un tizio ha studiato una certa materia per davvero? Se è iscritto a quell’Albo è molto probabile che l’abbia fatto, che abbia superato tutta una serie di prove che dovrebbero garantire al pubblico un buon servizio. Lo so, lo so, non sempre è così ma qui sul web abbiamo davvero esagerato con sta storia che “è meglio chi nasce imparato”, non è vero per niente e dobbiamo stare molto attenti.

La dinamica professionale

Se non sei un libero professionista o non sei un mio collega starai pensando: “Ok sta storia degli psicologi e degli Albi serve solo per difendere le categorie”, no no, serve proprio per lo scopo principale di questa puntata: smetterla di concentrarci sulle scatole e dare ascolto ai contenuti. So che la fuori è pieno di storie dell’orrore di medici incompetenti, psicologi pessimi e ingegneri che fanno cadere i ponti. Ma la verità è che “fa più rumore un albero che casca di una foresta che cresce”.

E’ una faccenda a cui (da psicologo) tengo troppo e quindi la ripeto ancora: se la fuori ci sono 1000 persone che si sono trovate bene con un mio collega, queste non faranno alcuna notizia e non resteranno nella mente delle persone. Al contrario, una esperienza negativa raccontata resta nella mente delle persone e diventa rappresentativa di una categoria: “tutti gli psicologi non sono capaci, sapessi quante ne ho sentite del genere”.

La verità va ricercata ancora una volta tra le pieghe della mente, questo è un effetto psicologico dato dalla nostra spinta evolutiva. Non ci importa sapere se in quel villaggio vivono tutti serenamente, non è un dato che aumenta la nostra sopravvivenza, viceversa, sapere che in quel villaggio si rischia di morire ad ogni angolo è molto più interessante per la nostra sopravvivenza. La notizia del villaggio felice ci farà sorridere e magari anche immaginare di andarci ma la dimenticheremo dopo poche ore, la notizia del villaggio “della morte” resterà conficcata nella nostra testa per sempre.

E anche se un giorno andassimo nel “villaggio della morte” e non accadesse nulla, ti assicuro che quella singola volta positiva non inciderà più di tanto con la nostra idea del “villaggio brutto e cattivo”. Quindi se 2 tuoi amici ti dicono che hanno avuto cattive esperienze con un professionista (psicologo, medico, ecc.) non basterebbero 20 o forse 100 altri amici che ti dicono il contrario a smontare dentro di te l’idea che “potrebbe essere pericoloso andare da un professionista del genere”.

Io amo internet, mi ha dato la possibilità di parlare delle mie passioni e di espandere la mia professione a livelli impensabili (rispetto ai miei colleghi analogici) tuttavia devo ammettere che questa facilità di comunicazione, unita alla facilità di accesso a determinate informazioni, ha fatto si che la gente iniziasse a pensare di “poter fare tutto da sola” e di aver “capito cose nascoste che l’elitè dei professionisti non ci vuole rivelare”… insomma sul grande pubblico non ha aumentato la consapevolezza come immaginavamo… ai posteri l’ardua sentenza!

Tu cosa ne pensi?

A presto
Genna

Ps. Forse ho difeso un po’ troppo la mia professione in questo post… ma che vuoi che ti dica, per me resta una battaglia importante. Non la difesa degli psicologi ma la difesa della Psicologia!


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.