Non sei abbastanza competente? Hai studiato troppo poco? Non hai il fisico adatto? Non sei abbastanza alto, intelligente, sicuro di te. Quante volte hai sentito dire queste parole? Secondo te motivano realmente le persone? La risposta è abbastanza scontata: NO… ma generano e si fondano su un sentimento: la vergogna.

La società della vergogna

Viviamo in una società sempre più esposta, se 20 anni fa sbagliavi o fallivi in un qualche proposito lo sapevano solo le persone direttamente interessate, oggi lo vengono a sapere tutti. Non intendo davvero “tutti” ma decisamente molte più persone di prima, unendo assieme 2 culture molto pericolose: da un lato quella dell’immagine a cui eravamo già in parte abituati, giornali e televisioni che esaltano certi risultati.

Dall’altro abbiamo il digitale che ci consente un costante confronto con gli altri. 20 anni fa se quel tuo compagno di scuola prendeva una promozione o comprava la nuova auto tu non saresti mai venuto a saperlo. Oggi è comune, non ci confrontiamo solo più con le immagini contingenti ma anche con quelle del nostro passato sia recente che molto lontano.

Se a tutto ciò ci mettiamo una spolveratina di “tendenza al gossip“, la frittata è pronta. E non è solo una battuta, scommetto che anche tu sei dentro qualche “gruppo segreto” (o ne sei a conoscenza) nel quale si prende di mira una persona o un gruppo di persone, per divertimento. E’ una tendenza dilagante, quello stesso gossip che un tempo si faceva al bar, un gossip “volatile” oggi viaggia tra i DM e i gruppi privati di milioni di persone.

Il timore di essere svergognati oggi ha preso una piega particolare sulla spinta di queste tendenze e della diffusa idea che una persona realmente degna è anche una persona che ha prestazioni di un certo tipo. Un esempio molto recente di questa tendenza l’ho vista alla edizione di Sanremo degli ultimi tempi, nelle quali oltre ad annunciare l’artista si annuncia quanti ascolti e quanti dischi abbia venduto.

Mettendo sullo stesso piano prestazione e valore artistico, cosa ovviamente non vera. Attenzione però, non sto dicendo che vendere sia sbagliato ma solo che non è una misura affidabile di valutazione di un artista all’interno di un contesto popolare ma anche tecnico. Oggi anche non avere “numeri social” sta diventando un motivo di imbarazzo o vergogna i taluni contesti.

La vergogna è utile?

La vergogna, così come tutte le nostre emozioni, è utilissima e serve per gestire il nostro organismo. In modo particolare per evitare la violazione di norme o standard che non conosciamo. Ad esempio: andare ad un matrimonio vestiti come se si andasse al mare, a meno che non sia richiesto, è qualcosa che genera vergogna, ed è giusto così. Non sto dicendo che ci si debba vestire bene come tutti gli altri ma che se un certo rituale richiede certe cose c’è un motivo per cui eseguirlo.

Quando ero giovane non capivo proprio alcune di queste norme, oggi so per certo (essendomi sposato) che il vestito elegante non lo metto perché fa piacere a me, ma per rispetto nei confronti degli sposi. E se mi vesto inadeguatamente è giusto che io provi vergogna, perché questo mi insegnerà che al prossimo matrimonio sarà bene non fare di testa mia ma seguire “le norme” di quella cerimonia.

Lo so che queste parole fanno girare le scatole ai giovani e dissidenti ma vi assicuro che quel dresscode non serve per moda ma serve perché la gente si aspetta che voi vi vestiate bene, compresi gli sposi. Non farlo non è un atto di ribellione alla società ma un atto di violazione di norme non scritte che mettono a repentaglio la vostra posizione nel gruppo, perché il messaggio che date non è: “sono figo e mi vesto come voglio” ma è “non me ne frega niente del gruppo in cui sono inserito… tanto meno degli sposi”.

Un messaggio implicito del genere non aumenterà la probabilità che gli altri vi vedano come “fighi” ma aumenterà la probabilità che altri vostri amici ci pensino due volte prima di invitarvi al loro matrimonio. Non so se riesco a far capire che questo non è conformismo ma è una logica dei gruppi, sapere che tu ti vestirai in quel modo prevedibile tranquillizza tutti. Crea un senso di unione e familiarità, vestirti come cavolo ti pare fa esattamente il contrario.

Non tutte le norme servono

Nonostante questo discorso che sembra fatto da mio nonno, in realtà esistono tante situazioni nelle quali ci vergognamo perché violiamo norme non scritte, come quelle del matrimonio, ma inutili dal punto di vista dell’aggregazione sociale. Come ad esempio il fatto di avere un mestiere in cui si guadagnano tantissimi soldi, essere famosi, cercare di emerger a tutti i costi in certi campi, essere necessariamente visti come molto giovani, intelligenti e furbi.

Tutte queste situazioni, matrimonio compreso, hanno come spinta evolutiva quella dell’evitare l’ostracismo, cioè dell’essere esclusi dal gruppo dei pari. Come abbiamo visto molte volte, essere esclusi dai gruppi e dai luoghi decideva del nostro destino fino a pochi secoli fa. Se venivi allontanato dal tuo villaggio, anche solo nell’700, la tua prospettiva di vita si restringeva molto pesantemente. In realtà anche oggi, se sei una persona che vive al di fuori della legge, al di fuori delle norme, rischi di più.

Forse potrà suonarti banale o addirittura strano, ma noi tendiamo a dimenticare delle protezione che abbiamo costruito nei secoli con i nostri Paesi. Non avere documenti, essere clandestino non aumenta la probabilità di morte perché sei una sorta di fuori legge, o perché sei più stressato o povero, ci sono un sacco di latitanti super ricchi che lo fanno. Ma perché se dovesse capitarti qualcosa di medico ed importante avresti bisogno di cure e sostentamenti che, oggi, sono garantiti dal nostro Stato.

Vi sono però norme di bellezza e standard di ricchezza che non nascono da una vera utilità ma dalla serie di mode che ciclicamente ci invadono. E probabilmente una delle peggiori mode del momento è quella di farsi vedere fighi online, che sia per il nostro aspetto fisico, perché siamo bravi a fare qualcosa o perché semplicemente siamo simpatici. Da un lato l’online ci da opportunità mai viste e allo stesso tempo mina il nostro quieto vivere… ogni cosa molto potente va gestita saggiamente.

Tutto ciò porta ad una sorta di confronto perenne, come dicavamo prima, in nessuna generazione passata gli individui si sono dovuti confrontare con pezzi così larghi della propria storia. Si, magari se vivevi in un paesino piccolo e ogni anno c’era la cena dei coscritti, anche le cene di classe, ma sono cose sporadiche e non presenti in ogni luogo. Invece oggi con i social puoi vedere cosa fa quel tuo amico delle elementari o quella tua amica delle scuole medie che odiavi e oggi è parlamentare.

Il successo degli altri e la vergogna

Come ha detto qualcuno: tendiamo ad amare le persone di successo perché ci ispirano e allo stesso tempo tendiamo ad odiarle perché ci mostrano dove noi non siamo ancora arrivati (o dove non arriveremo mai). Abbiamo trattato questo tema parlando di “Invidia” ma oggi il vero problema è la facilità con la quale è semplice mostrare “falsi risultati” oppure mostrare solo quei risultati specifici. Insomma se ho scritto un bel libro 20 anni fa posso continuare a fartelo sapere.

E’ sbagliato che io mi vanti del mio libro scritto 20 anni fa? No, neanche un po’ solo che se un tempo succedeva in modo sporadico che io te lo ricordassi oggi è magari sempre nelle mie foto profilo. E dunque, per chi come me desiderasse scriverne uno, sarebbe un costante elemento di confronto. Ma non solo, per chi avesse dichiarato di volerlo fare e non l’avesse ancora fatto, sarebbe uno stimolo alla vergogna.

Le foto dei tuoi figli che si laureano sui social con il massimo dei voti sono un orgoglio e anche uno sprono per tutti gli altri ma allo stesso tempo possono aumentare il senso di vergogna percepito in chi le guarda ed è ancora in quel percorso. Nuovamente, non è sbagliato metterle e non è sbagliato imbattersi in esse, dunque cosa fare? Per me esistono molte risposte, alcune te le ho detto nel podcast ed altre le troverai nel video…

Ma se esiste una risposta a questa complicatissima domanda, essa risiede nella capacità di assumerci la responsabilità delle nostre emozioni. Se quel ragazzo che si deve ancora laureare si sente in imbarazzo perché trova le tue foto, mi dispiace per lui e mi dispiace quasi dirlo, ma è una cosa che deve imparare a gestire da solo. Il che non passa dal frustrarsi o dal fare penitenze strane ma semplicemente dal cercare di trarre ispirazione dai modelli che ci circondano.

La responsabilità emotiva

Abbiamo parlato molte volte di questo tema e l’ho anche ripreso nel mio nuovo libro, è bene però sottolineare cosa significa essere emotivamente responsabili: non significa convincerci che sia colpa nostra o che sia solo causa nostra ciò che stiamo provando, ma significa assumerlo come mentalità. Lascia che mi spieghi meglio, mettiamoci nei panni di chi si confronta eccessivamente e prova sensazioni di imbarazzo e vergogna scoprendo la tua foto, da laureato, sui social.

Questo può avere due reazioni, una rivolta negativamente verso di te: “ma guarda quello, quando eravamo a scuola alle medie neanche sapeva leggere e si è laureato prima di me, chissà che trucchi ha usato per riuscirci, sto disonesto”. O negativi verso te stesso: “sono proprio il più scemo tra i miei amici, si sono praticamente laureati tutti tranne me”. La prima versione ci fa soffrire un po’ meno e la seconda un po’ di più ma sono entrambe false.

Cioè tu non puoi davvero sapere come ha fatto il tuo amico a laurearsi e non sapresti mai se quel tuo amico, messo nei tuoi panni, si sarebbe laureato con quelle tempistiche. Insomma non potremmo mai sapere fino in fondo come siano andate le cose, tuttavia possiamo assumerci la responsabilità di ciò che stiamo provando ma con un altro atteggiamento mentale che suona più o meno così: “ok provo vergogna perché io non sono ancora laureato… me rendo conto, cosa posso fare per migliorare? Cosa è davvero importante per me nella laurea?”.

Diventare responsabile non significa assumersi una “colpa cieca”, pensare che sia di base colpa nostra, questo sarebbe un pensiero magico negativo. Ma significa sapere che l’unico pezzetto che è di nostra competenza, cioè come ci sentiamo, è possibile gestirlo nel migliore dei modi ma solo se ci vediamo come “causa”, o meglio ancora come “parti in causa”. Solo così ci rimbocchiamo le maniche, altrimenti il rischio è di lamentarci senza risultati.

La complessità

La vergogna ci mostra tutta la complessità del pensiero umano, non solo perché ne fa parte ma anche perché si tratta di una emozione arcaica in grado di mostrarci tutto il suo potere attraverso una sorta di congelamento. Conduce ad uno stato talmente poco piacevole che è del tutto normale cercare di evitarla, di raccontarci e raccontare storie per evitarla ecc. Ed è proprio questa sua caratteristica a portare i peggiori paradossi.

Appunto da un lato atterrarci e dall’altro iper compensare puntando il dito sugli altri. E’ la società ad essere sbagliata per questo provo tanta vergogna, non è ciò che mi aspetto una persona pensi dopo aver ascoltato e letto questo post. Ma mi aspetto questo: la vergogna è un’emozione potente e complessa, talmente forte che non la vogliamo provare ma è inevitabile sperimentarla. La prossima volta che la noterò cercherò di accoglierla con maggiore apertura, per minimizzare qualsiasi compensazione.

Ancora una volta il nostro scopo principale NON è quello di controllare le nostre emozioni o non provarle, ma è imparare a riconoscerle ed accoglierle gentilmente. Lo so che questa faccenda dell’essere gentili non piace a tutti, la motivazione è semplice: perché non sono ancora riuscito a spiegartela come si deve. Se proprio dovessi farlo in poche righe questo è ciò che farei:

Quando provi vergogna tendi ad attivare i meccanismi della difesa (circuiti neurali adibiti alla minaccia) che quando si trasformano in elucubrazioni mentali su te stesso: “sono proprio uno sfigato a provare vergogna in questo contesto… (oppure) sono proprio sbagliato ecc.”, secondo te parlarti con durezza migliora la situazione? La risposta è NO perché mantiene acceso il circuito della minaccia ed il carnefice della situazione sei TU.

Ecco perché insisto con sta storia di trattarti gentilmente, non si tratta solo di un mindset o di una tecnica ma di un filone di studi davvero pazzesco che sta cambiando il mondo della crescita personale, il tema è quello della Self-Kindness a cui dedichiamo questo mese (febbraio 2023 per i visitatori dal futuro).

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.