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Ti sei mai accorto che la tua mente ha l’irrefrenabile tendenza a saltare di “palo in frasca”? Gli orientali la paragonano spesso ad una scimmia che salta da un ramo all’altro.

Tutti ci accorgiamo di questo fenomeno ma solo da qualche decennio è sotto il “microscopio” della psicologia. Oggi parliamo di questo vagheggio mentale per capire se “fa male oppure bene”!

Sappiamo da anni che questo “vagheggio mentale” non è qualcosa di inutile, anzi ci aiuta ad associare ed immagazzinare le diverse informazioni che accumuliamo quotidianamente.

Ma a quanto pare…non è sempre positivo!

Se da un lato abbiamo ricerche che indicano questo fenomeno utile di associazione mentale (inconscia e pre-conscia) dall’altro abbiamo anche prove completamente contrarie.

Ci sono numerosi studi che collegano il vagheggio mentale allo stress, all’abuso di alcol ed in generale alle emozioni negative, come ansia e tristezza.

Quando questo vagheggio diventa un flusso ininterrotto ed irrefrenabile ad alto contenuto negativo, si trasforma nella famosa e temibile “ruminazione mentale”. Cioè la tendenza a restare incastrati fra i propri pensieri.

Ruminiamo quando il nostro “computer interno” (vedi il GPS del report sulla meditazione) s’impalla nel tentativo di trovare giustificazioni e soluzioni… anche quando, le soluzioni non esistono.

Allora questo “vagheggio” è un bene o è un male?

Secondo un recente articolo di Psicologia Contemporanea esisterebbero due tipologie di “mind wandering” (o vagheggio mentale): quello volontario (o semi volontario) e quello involontario.

Per semi-volontario intendo il fatto che, in realtà, quando il cervello parte con le sue associazioni non è “mai volontario”…semmai è intenzionalmente diretto ad uno scopo.

Mentre quello semi-volontario (o intenzionale) porta tutti i benefici delle associazioni mentali, rendendoti più creativo e risolutivo, a volte con pochissimo sforzo menatale…

…quello involontario sembra portare numerosi svantaggi. Qualche tempo fa ti avevo parlato di questo super esperimento fatto con una applicazione per cellulari.

A cosa stai pensando?

In quell’esperimento che ha coinvolto migliaia di persone arrivava random (a caso) questa domanda: “a cosa stai pensando?”. Ma aveva della alternative del tipo:

“Sto pensando a ciò che sto facendo” oppure “ero immerso in altri pensieri”…e poi c’erano delle scale per segnare quanto “eri distratto dai tuoi pensieri”.

Le persone che erano state colte maggiormente “sovrappensiero” erano anche quelle più tristi ed inclini a stati depressivi. Al contrario chi era maggiormente coinvolto e presente era più soddisfatto e “felice”.

“Ancora con sto stato di presenza Genna!”

Assolutamente si amico mio… è proprio questa la famosa differenza che fa la differenza fra il lasciar vagare liberamente i pensieri sapendo osservarli e decidendo “quanto coinvolgerci”…

…e chi invece è prigioniero dal flusso dei propri pensieri. La differenza è il grado di presenza o auto-consapevolezza, la capacità di osservare i nostri processi mentali, di coinvolgerci se lo desideriamo o meno.

Lo hai sperimentato diverse volte nella tua vita, solo che nessuno ti ha spiegato come svilupparlo. Ti è mai capitato di partecipare ad un “gioco” con gli amici, magari un gioco in cui sei bravo…

…e magari eri annoiato, scazzato per un qualche motivo personale? In quel momento fioccano i pensieri, magari stai giocando a calcetto con gli amici e pensi agli affari tuoi, poi ad un certo punto…

…gli avversari fanno 2 goal di seguito e ti sale “la carogna” 🙂 Il desiderio di rivalsa, di far vedere che noi sei di certo li a pettinare le bambole.

Ecco, se ti è capitato sei dovuto diventare via via sempre più coinvolto con il gioco.

Se sei prigioniero dei tuoi pensieri non riesci a “giocare davvero”… lo sanno tutti gli sportivi “più sei dentro la tua testa e meno sei in campo”.

Il gioco è una delle attività più affascinanti, anche per la psicologia perché simula tutte le attività umane ed ingaggia la nostra creatività più “pura”.

La presenza è una abilità che ci consente di modulare “quanto vogliamo essere coinvolti” in una determinata azione. E molto spesso questo, NON dipende dal tipo di azione!

Non è il tipo di attività ma è la tua capacità di coinvolgerti!

Ci sono persone che non si divertono se non si lanciano con un parapendio fra le rocce di una montagna. Ed altre che vanno in “brodo di giuggiole” a guardare l’architettura di una città o collezionare monete.

Insomma le nostre passioni non dipendono solo dal tipo di “oggetto” su cui portiamo attenzione. E’ chiaro che un attività molto appariscente ci cattura con più forza ma non sempre è così!

E’ la nostra soggettività a fare la differenza. Cioè come e dove siamo cresciuti, quali sono i nostri valori (ciò che per noi è davvero importante), le nostre amicizie ecc. Ed infine, la nostra capacità di auto-regolazione.

Il potere della auto-regolazione!

I miei colleghi “più seri” chiamano la capacità di renderci conto di esserci persi nei nostri pensieri per tornare al momento presente, “auto-regolazione”.

Se è il tipo di azione/compito a catturare la tua attenzione nel presente, non ti stai “auto-regolando”. Mentre quando riesci a renderti conto di essere distratto e ritorni… ti stai auto-regolando.

Quindi non è il tipo di azione o il tipo di “contenuto mentale” a fare la differenza se siamo presenti o meno ma è la nostra capacità meta-cognitiva, cioè la nostra consapevolezza. Il riuscire a renderci conto che non siamo più nel presente.

Quindi bisogna domare la mente come un cavallo imbizzarrito? 

La metafora dei cavalli cara prima a Platone e poi a Freud non calza pienamente. Non è la capacità di dirigere i cavalli a fare la differenza ma il notare che possono andare dove gli pare…

…ma è la capacità di farli correre dove gli pare e quando si fermano “troppo” in un certo punto, decidere di farli spostare altrove. E’ la relazione fra i cavalli e l’ambiente il vero problema.

E’ la relazione con i nostri “contenuti mentali” a fare la differenza. Tornando al cervello: non è il fatto di pensare di essere stupidi a farci male ma è il crederci che ci danneggia.

E’ il credere che i nostri processi mentali “siano veri” …il guaio!

Immagina per qualche istante di essere un robot, a cosa ti servirebbero “i pensieri”? Probabilmente sarebbero delle sorte di “notifiche” utili per prevedere ciò che accadrà nella realtà.

Vedo un gradino e preparo la gamba in modo da affrontarlo (salita o discesa che sia)… e non so se ti è mai capitato di “sbagliare le misure” e magari immaginare che ci fosse un gradino in più o uno in meno.

In questi casi si prova una strana sensazione, hai presente? Quella sensazione è l’adattamento improvviso e spontaneo del nostro corpo alla realtà esterna, che avviene soprattutto quando crediamo “il giusto” ai nostri pensieri.

I pensieri ed i processi mentali sono come le notifiche del cellulare

Un mio giovane paziente paragona “i suoi pensieri alle notifiche del cellulare”. Ed è davvero qualcosa del genere che accade.

Pensieri ed emozioni emergono dal magma della nostra attività mentale come “segnali” che servono per muoverci in questo mondo complesso.

Si tratta di “simulazioni e mappe mentali” e non della realtà. Quando arriva una notifica non significa che qualcosa è realmente accaduto ma che tu stai reagendo a qualcosa “come se” stesse accadendo.

Spesso ci fidiamo più delle notifiche che della realtà!

Se all’improvviso ti cambiano “la solita strada che fai per andare a lavoro” cosa fai? Semplice, cambi tragitto! Ci sono due modi per poter cambiare tragitto:

Il primo è quello che si basa sulla tua conoscenza concettuale… “allora se è chiusa questa strada mi basta prendere quest’altra e ci arrivo lo stesso”.

Un secondo modo invece si basa sull’esperienza diretta e ci capita quando non conosciamo una strada alternativa. Allora dobbiamo iniziare a muoverci osservando la realtà che ci circonda ed adattandoci ad essa.

Quando diventiamo vittime del nostro vagheggio mentale non riusciamo ad usare questa seconda opzione perché siamo come “intrappolati nelle nostre mappe mentali”.

Si! E’ la solita storia… sei di più dei tuoi processi mentali!

Ti ricordi il post sul fatto che sei di più dei tuoi processi mentali? Esatto, tra le altre cose sta diventando un tormentone su facebook un video dove dicono la stessa identica cosa anche se in modo leggermente “pericoloso”…eccolo:

Qui vedi Prince Ea una sorta di speaker motivazionale che non fa altro che usare la meravigliosa metafora del “cielo e delle nuvole” della meditazione.

Ed in modo molto coinvolgente spiega esattamente ciò che ti racconto da 5 anni, il fatto che sei molto di più dei tuoi pensieri e delle “tue notifiche”.

Ecco il punto davvero importante… non è il tipo di pensiero ma il tuo rapporto con quel pensiero!

Questa semplice frase ci dice per l’ennesima volta che non è tanto il tipo di “vagheggio mentale” (volontario o involontario) ma quanto tu credi ai contenuti di quei vagheggiamenti.

Sembra una piccola differenza ma è la base per l’equilibrio psicologico in ogni area della vita. Ecco perché sono qui a ripeterti antichi concetti che ti avviso, saranno sempre validi qualunque tecnologia cercherà di soppiantarli 😉

Perché è leggermente pericoloso?

C’entra poco con l’argomento di oggi, ma come hai visto nel video c’è chi pensa che Prince Ea minimizzi i problemi legati alla depressione. Sembra che confonda il sentimento di tristezza con la complessa problematica della depressione.

Forse lo ha fatto solo per “fare un video” che alla fine dice cose intelligenti ma ipersemplificate. Anche il critico per me è troppo critico, però in parte anche lui ha ragione. Vabbè… lo riprenderò un’altra volta;)

Ok mi fermo qui, con i complimenti all’amico Luca Mazzucchelli per essere diventato il direttore di Psicologia Contemporanea che avrà dei risvolti molto interessanti per chi come te ama la psicologia e la crescita personale.

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A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.