Nonostante vi siano un sacco di appassionati di crescita personale sembra che la cosa che spaventa di più la popolazione oggi sia un termine ed il suo significato: impegno. Dove per impegno non s’intende solo lo sforzarsi ma anche il tema della conseguente responsabilità. Tematiche che quando vengono tirate fuori in Italia sembrano sempre inneggiare una produttività tossica… ma le cose sono leggermente più complesse di così

So che chi conosce il mio lavoro starà pensando: “ecco ancora le stesse cose”, prima di leggere questo post nel quale cerco di spiegare altre motivazioni vi invito a leggere questa recente ricerca. E’ una ricerca leggera perché condotta con questionari ma i risultati sono abbastanza evidenti e, per chi conosce questo campo, scontati. Ma è proprio quando una cosa sembra scontata che a volte ci serve tenerla mente! Buona lettura…

Non ci posso fare niente

Sì questo è l’ennesimo inno alla responsabilità, all’impegno e alla intenzionalità nella nostra vita. Tutte cose che riempiono la bocca e i social ma che, quando vengono proferite in un discorso pubblico lasciano sempre quel sapore di… senso di colpa che fa scattare le persone. Nessuno oggi è troppo ingenuo da pensare che tutti possano ottenere qualsiasi cosa, che ognuno di noi nasca nella stessa identica condizione. Lo sappiamo bene, ci sono persone che nascono più fortunate di altre MA tutto questo non toglie (o almeno non dovrebbe togliere) il valore del tema dell’impegno.

Spoiler: la prossima settimana uscirà una puntata speculare nella quale ti racconterò perché è importante il cazzeggio ma nel frattempo, qualsiasi sia la tua posizione su questo tema, continua a seguirmi. Viviamo in una delle società più assistite di sempre e questo è una figata pazzesca, tuttavia allo stesso tempo porta dei rischi particolari, come ad esempio la perdita di agency. Ne abbiamo già parlato altre volte, per agency intendiamo la sensazione di avere controllo sulla realtà che ci circonda. Nota che è una sensazione non significa che lo abbiamo per davvero ma la ricerca è abbastanza chiara.

Se non sentiamo questa sensazione dentro di noi perdiamo motivazione e possiamo anche arrivare al suo estremo, l’impotenza appresa, quella sensazione di “non poterci fare proprio nulla“. Un recente studio ha dimostrato che l’avanzare dell’utilizzo quotidiano dell’intelligenza artificiale ha innalzato di molto questa sensazione, sembra dunque che alcuni famosi stereotipi si stiano concretizzando e in particolare mi riferisco alla famosa frase: “Tempi duri fanno crescere persone dure e risolute e tempi morbidi fanno crescere persone deboli” (o qualcosa del genere).

Un’altra frase che ovviamente non dice la verità ma che rispecchia alcuni stereotipi che purtroppo in parte sono veri. Cioè è vero che se nasci con la pappa pronta è più probabile che non ti sforzerai per imparare a procurartela e viceversa. Non c’è etica, morale o psicologia che regga in questo semplice meccanismo. Questo non significa che dobbiamo abbandonare le nostre comodità e le nostre tecnologie per tornare a cacciare con le mani, camminare per chilometri per procurarci cibo e acqua ecc. Ma significa però che è bene tornare a parlare della questione, perché di impegno e responsabilità ne abbiamo sempre bisogno.

Stiamo attraversando un periodo storico particolare e alla soglia dei miei 47 anni, 27 dei quali sono passati immersi nel campo della psicologia e della crescita personale, penso di aver notato un certo pattern che si sta ripetendo proprio in questo periodo. Questa è una questione ciclica, che ha a che fare con le situazioni geopolitiche di un certo tipo e che vengono anche utilizzate a tali scopi. Possiamo fare finta di niente ma le nostre amate materie non nascono nel vuoto ma sempre da un humus socio-politico vigente… tranquilli non approfondiremo troppo la faccenda ma un pizzico è necessario.

Tante “crescite personali”

La crescita personale esiste probabilmente da quando esiste l’essere umano (secondo Maslow è uno dei nostri bisogni fondamentali), ma così come la chiamiamo oggi nasce più o meno 2 secoli fa, d’apprima come filosofia, poi come miscuglio tra filosofia e religione e poi come psicologia. Per farla davvero brevissima: quando io ho iniziato ad approcciare il campo della crescita personale quasi nessuno parlava di scienza e di ricerca in questo campo (cosa che mi faceva andare su tutte le furie e anche motivo principale per il quale nel 2007 ho aperto questo blog) e pochi lo vedevano come un campo tecnico.

Tutta la crescita personale si poteva ridurre ad un: credici forte forte… cioè motivazione semplice e schietta. Il che faceva arricciare il naso a tutti i miei colleghi e chi non era nel campo la vedeva come semplici banalità. In campo politico era visto come un inneggiare del neo-liberismo e i formatori che si recavano nelle aziende erano visti come avvelenatori di coscienze pagati dai capi per convincere le persone a lavorare senza alcun senso. Insomma una visione bella spaccata, ma per renderla semplice le cose stavano così: qualcuno aveva capito che poteva vendere la motivazione e lo faceva.

Perché si poteva vendere la motivazione? I motivi sono tanti ma per essere molto semplici, perché non siamo naturalmente portati a pensare che la motivazione sia qualcosa che nasce da dentro ma che sia qualcosa che viene da fuori. La crescita personale era una iper semplificazione delle teorie di William James sulla responsabilità, di Julian Rotten sul Locus of Control e della Ellen Langer sui primi costrutti di Agency. Insomma tutti questi capoccioni avevano capito che la vera motivazione arriva da dentro e i praticoni della formazione motivazionale l’hanno trasformato in un business.

So che la faccenda è molto più complessa ma permettetemi di continuare a semplificare, ci tengo a dirvi che questo è il mio punto di vista. Quindi la maggior parte della crescita personale (da ora in poi CP) era rivolta alla motivazione. Nel tempo le cose si sono raffinate, inizialmente inserendo concetti come quello di abitudine in grado di mettere in secondo piano una motivazione cieca e ripetuta a macchinetta. Queste idee hanno reso sempre più tecnico e parcellizzato il tema della semplice motivazione e oggi, se vai a fare anche il corso più basilare su questi temi ti spari almeno qualche ora di psicologia e di neuroscienze (spesso fuori luogo).

Tutte le varie forme raffinate di auto-motivazione, dalle abitudini alla visualizzazione, alla ripetizione di affermazioni passando per la scrittura dei propri valori e obiettivi, sono tutte cose utili ma che ci hanno a volte allontanato dalla semplice motivazione. Dal semplice cercare di essere più responsabili delle nostre azioni, di tornare a sentire agency per ciò che facciamo e come ho anticipato la tecnologia attuale non ci aiuta in questo. Quindi oggi c’è una sorta di ritorno al tema secco e a volte ignorante sulla motivazione, che oggi viene chiamato “mindset” essenzialmente.

Il mindset per raggiungere tutto quello che vuoi

Il tema del mindset è davvero molto semplice se ci pensiamo e può essere ridotto al semplice: se ci metti convinzione aumenti la possibilità di riuscita se fai l’opposto, fai le cose in modo svogliato riduci le possibilità di riuscita. Questo semplice concetto ovviamente non è sempre vero, ed è qui che sono entrati altri punti di vista più orientaleggianti come il Tao, lo Zen e altre filosofie affascinanti che non sempre vanno in questa direzione. Ti senti confuso? Anche io…

Ciò che ho capito in questi anni è che le cose che funzionano sono solitamente quelle semplici e che i punti di vista “bianchi o neri” funzionano online ma non nella realtà. Cioè se io facessi un contenuto dove dico che è bene essere solo motivati, che solo chi si impegna riesce nella vita avrei sicuramente molto successo, così se lo facessi al contrario, dicendo che la motivazione è una cosa inutile, che sono solo le condizioni nelle quali nasciamo a farci raggiungere ciò che vogliamo…anche in questo caso spaccherei di brutto.

Ma la realtà è sempre più complessa ed è, guarda caso, un miscuglio di questi punti di vista. Dal mio osservatorio personale in questo periodo però abbiamo bisogno di un colpo maggiore nella direzione della volontà e della responsabilità, qualcosa che sembra strizzare maggiormente l’occhio al lato “volitivo (e oscuro) della forza”. Non perché sia vero in assoluto ma perché secondo me oggi vedo una maggiore tendenza alla lamentela, al puntare il dito rispetto all’assursi la responsabilità. Il modo migliore per spiegarmi è usare ancora una volta l’analogia della squadra o team.

Affinché una squadra (di qualsiasi sport) funzioni bene è necessario che tutti si assumano un certo grado di responsabilità. Ovviamente le parti che governano e creano: il ministero di riferimento, la società sportiva e le leggi vigenti influiscono parecchio su come si organizza il team, ma allo stesso tempo anche il gruppo interno deve essere affiatato. Ognuno si deve assumere la responsabilità che sta ricoprendo, dall’allenatore al raccattapalle, se tutti si impegnano adeguatamente il team funziona altrimenti ci saranno costanti disparità.

E’ normale che i gruppi non funzionino come degli orologi perfetti ma allo stesso tempo se tali disparità diventano eccessive tutti ne pagano le conseguenze. Immagina una imbarcazione con 10 rematori che la portano avanti, se 8 vogano nella stessa direzione e 2 lo fanno ogni tanto, la barca continuerà ad andare dritta abbastanza bene. Ma se 5 remano e gli altri 5 remano a caso le cose potrebbero velocemente peggiorare, nel caso migliore si rallenta in quello peggiore l’imbarcazione inizierà ad andare alla deriva. Per attirare un po’ di antipatia farò una analogia socio-politica.

Analogia socio-politica

Ci lamentiamo spesso delle tasse alte in Italia (e facciamo bene) ma allo stesso tempo abbiamo uno dei paesi con il sommerso peggiore. Il problema è quello dei rematori, se solo una parte rema per portare avanti la barca ci saranno diversi problemi: ad un certo punto chi rema si arrabbierà con gli altri non rematori. Qualcuno tra i rematori efficaci potrebbe perdere motivazione e rientrare tra quelli che non remano (“ma a me chi me lo fa fare di remare per gli altri?”) ecc. Questo problema non si può risolvere solo con un intervento del coach: “ehi se non remi sei fuori” ma anche con una vera presa di responsabilità individuale.

Per raggiungere questa responsabilità c’è bisogno che i rematori efficaci non si facciano scoraggiare da chi non rema. E allo stesso tempo che il coach sanzioni o riprenda chi non si sta impegnando. Ovviamente facendo osservazioni pesate sulle singole caratteristiche individuali di chi è a bordo: un rematore con un braccio solo o con dei deficit di forza non potrà remare con la stessa forza ed intensità degli altri ma, se vuole restare a bordo, si dovrà trovare un modo per fare si che possa aiutare in un qualche modo.

Certo in un Paese ci sono anche persone che proprio non possono vogare e sarà necessario accogliere anche tale eventualità. Spero sia chiaro che sto parlando di welfare e di assistenza in generale ed uscendo dalla nostra metafora è a tale tendenza che dobbiamo stare accorti. Certo che è corretto aiutare chi è meno “forte” ed è corretto che esistano incentivi ed un ambiente propizio affinché tutti possano dare il proprio contributo, cosa che solitamente è a carico dello Stato. Ma allo stesso tempo ognuno deve impegnarsi per dare il proprio contributo perché da solo lo Stato non può incentivare i vogatori.

So che queste analogia attireranno qualche dissenso, va bene, si tratta di un’analogia e in quanto tale non può essere perfetta. Ed è chiaro che in alcuni casi è bene che sia lo Stato a garantire certe cose e in altri è bene che i singoli Cittadini tengano a mente che ad ogni diritto corrisponde un dovere di qualche genere. Nel campo della crescita personale questo “dovere” sta nella responsabilità individuale, la quale non è il semplice pensare che sia tutto sulle nostre spalle ma è sapere che noi abbiamo la capacità di contribuire o meno.

Il punto è che se possiamo contribuire, se possiamo metterci del nostro ma non lo facciamo non solo le cose peggiorano ma anche i risultati non servono. Se tu puoi vogare ma non lo fai non solo non cotribuisci ma non rafforzi i tuoi muscoli, non impari la rotta, non condividi le tue esperienze, e insomma non impari e non ti senti davvero soddisfatto dei traguardi raggiunti. Insomma l’impegno giusto e calibrato dona enormi soddisfazioni ma…

… ma non sempre è lo sforzo cieco la risposta adeguata, per questo nel prossimo episodio parlerò del problema opposto. Intanto fammi sapere cosa ne pensi.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.