Se in questo momento fossi in piedi di fronte a te, come faresti a sapere di “avermi davvero davanti”? No tranquillo non sono impazzito, prova a rispondere.
Questa è una delle domande che ho ripetuto più spesso nei corsi dal vivo in anni passati. Sembra assurda ma non lo è per niente.
Pensaci un secondo, come fai a sapere che ciò che hai davanti in questo momento è davvero “li davanti a te”? Rispondiamo a questa domanda…
Come fai a sapere che sono davanti a te?
Quando pongo questa domanda apparentemente stupida la gente mi risponde sempre in modo molto adeguato con frasi del tipo: perché ti vedo, perché sento la tua voce ecc.
In altre parole la sicurezza di avere davanti realmente qualcosa dipende dai nostri sensi, facile no? In realtà non è scontato per nulla che le cose stiano così.
Infatti ogni tanto qualcuno mi dice semplicemente: “lo so e basta che sei li davanti” poi ovviamente ad una domanda del tipo: “come fai a saperlo” dovrà necessariamente passare ai sensi.
Al dato empirico direbbero i filosofi che si occupano di conoscenza. Tutta la nostra conoscenza viene registrata attraverso i nostri canali percettivi.
Se conosci la PNL non ti sarà sfuggito nulla
Se conosci la PNL sai bene che queste considerazioni sono il loro “pane quotidiano” o almeno lo erano agli esordi della disciplina, quando doveva ancora “fondarsi”.
Quando non era ancora entrata a far parte di quella cerchia di motivatori (prima che Robbins la scoprisse) e quando gli accademici vi erano ancora interessati.
Ecco in quel periodo storico una delle intuizioni più geniali e semplici sulla mente umana è proprio stata questa: organizzi la tua esperienza interiore in base ai tuoi sensi o modalità.
”Modalità” con le quali richiami dentro di te ciò che hai visto, sentito e ascoltato attraverso i tuoi sensi.
Le sottomodalità
La qualità di come ti tornano in mente queste modalità sono dette in PNL “sottomodalità” cioè sono gli aspetti qualitativi delle modalità.
Il modo più semplice di spiegarlo è quello di immaginare di utilizzare un apparecchio “tecnologico” come ho detto in puntata. Come ad esempio un PC o un monitor.
Hai mai guardato un film dell’orrore togliendo l’audio? Di certo l’effetto terrificante voluto dal registra cambia se non c’è il suono.
Non solo, sarebbe divertente mettergli sotto una musichetta divertente invece che una serie di “archi inquietanti”, tipici delle colonne sonore di questo genere cinematografico.
Diventi davvero regista?
La metafora che maggiormente si avvicina è quella del “regista” che decide la qualità delle immagini, dei suoni e i movimenti degli attori nella scena.
No, il registra non decide i contenuti, quello è di solito lo “sceneggiatore” che scrive il famoso “copione del film” poi è chiaro che si mettono d’accordo in un qualche modo.
Questa metafora ha portato molti appassionati di PNL a pensare di poter letteralmente cambiare e controllare il proprio mondo interiore.
Come sai questo è stato “il peccato capitale” di questa disciplina che da branca interessante della nascente psicologia cognitivista si è trasformata in una tecnica per “vendere pentole”.
Se non puoi cambiare le mappe allora a cosa servono?
Una delle critiche più vivaci al mio punto di vista sulle sottomodalità è questo: “a cosa servono se non a modificare le proprie mappe mentali”?
Servono per diverse cose molto interessanti: la prima è sicuramente legata al loro effetto. Come detto nella puntata sulle risorse sono un ottimo “accesso mnemonico”.
In altre parole se ti metti a pensare ad una tua qualsiasi risorsa del passato scoprirai che è composta da queste fantomatiche sottomodalità.
No, non puoi cambiare radicalmente la tua immagine trasformandola in qualcosa di altro (penso che questo possa addirittura fare male).
Ma puoi sfruttare quelle modalità per richiamare velocemente ed efficacemente qualsiasi ricordo del passato.
Cambiare le mappe
I piennellisti si resero conto che giocando con le sottomodalità era possibile modificare profondamente l’impatto emotivo di quelle rappresentazioni.
Così se ti chiedo di pensare a qualcosa che ti spaventa e ti chiedo di immaginarla su uno schermo piccolo e nero, questa “cambia”.
Ma il motivo del suo cambiamento non deriva in realtà dal fatto di aver modificato la rappresentazione stessa ma da uno stato di “defusione”.
In questo articolo abbiamo parlato di “defusione” ti invito ad ascoltarlo con attenzione.
La consapevolezza
Agli inizi del secolo scorso alcuni miei colleghi si erano convinti che il metodo di indagine psicologico principale fosse “l’introspezione”.
In pratica chiedevano alle persone di compiere alcuni “compiti psicologici” e di narrare a voce alta cosa accadeva dentro di loro.
Negli anni questo modello è stato abbandonato perché si resero conto che quando “osservi qualcosa dentro di te”, cambi il suo impatto.
Se ti chiedessi di osservare la tua rabbia quando nasce, nel momento in cui dovessi riuscirci quella emozione non sarebbe più “propriamente rabbia”.
Disidntificazione e defusione
C’è chi chiama questo fenomeno “disidentificazione” e chi “defusione” ma in fondo è lo stesso concetto: la capacità di osservare i tuoi pensieri momento per momento.
Il che non significa che devi portare ossessivamente la tua attenzione al mondo interiore, ti ricordi che “guardare dentro rende ciechi”?
Ma significa che se porti la tua attenzione al mondo interiore lo stai già modificando. E se cerchi queste sottomodalità in realtà hai un doppio effetto.
Il primo è quello di riuscire a staccarti momentaneamente da quel contenuto mentale e il secondo è quello di richiamarlo in modo “sano”.
I contenuti mentali “sani”
Per “sano” intendo che riesci ad essere flessibile con quel tipo di contenuto mentale. Se la tua squadra del cuore perde e tu devi prendere uno psicofarmaco per la delusione…ecco quello non è sano.
Cioè non è sano che tu non riesca a vedere la partita della tua squadra del cuore per ciò che è, una semplice partita che non ti coinvolge davvero.
Ok potresti dirmi che poi tutti i tuoi compagni di ufficio ti prendono in giro il lunedì in ufficio, ma non sei stato tu a perdere è stata la squadra.
Ho fatto questo esempio perché molte persone soffrono esageratamente per la propria squadra del cuore, perché sono identificati con essa.
Tranquillo è normale che vi sia una identificazione perché il tifo si fonda proprio su questo, sul sentirti parte “della squadra”.
Non bisogna mai usare le sottomodalità per evitare qualcosa di spiacevole?
Come abbiamo visto nella puntata sulle risorse, la cosa peggiore che si possa fare con queste tecnologie è evitare il proprio mondo interiore.
Tuttavia queste tencniche vengono usate anche per questo, ma solo in situazioni molto delicate e con l’accompagnamento di un professionista.
Se sei nello studio di un terapeuta e durante una “immaginazione guidata” (o EMDR o qualsiasi altra tecnica) emergono contenuti troppo intensi…
…allora puoi modificare volontariamente le sottomodalità ad esempio oscurando l’immagine, rimpicciolendola fino a farla sparire o immaginare di cancellarla con un idrante ecc.
Ma si tratta di tecniche d’emergenza per ristabilire una migliore sintonizzazione emotiva e non metodi per “eliminare dalla mente” contenuti spiacevoli.
Risorse e atteggiamento mentale
Nella puntata sulle risorse ho battuto molto su questo punto ma non è mai abbastanza. La differenza fra cercare di usare queste tecniche per evitare o per crescere non sta nei contenuti con cui lavori.
Se ti stai visualizzando nel futuro mentre parli, sicuro e prestante di fronte ad una grande folla, magari perché sai che questo può aumentare la tua sicurezza in una presentazione futura, allora va “tutto bene”.
Ma se ti stai visualizzando tutto “calmo e tranquillo” perché temi di “fartela addosso”, allora stai evitando. Dovresti per prima cosa vivere quelle sensazioni negative, senza scacciarle, come ormai sai bene.
E successivamente fare l’esercizio per aumentare la tua sicurezza in quel frangente e se, durante questa “visualizzazione” dovessero emergere immagini negative, devi evitare di evitarle. Nel Qde approfondiamo questo tema.
Crescita personale e auto-aiuto
Per quanto riguarda invece il tema di questo podcast bisogna stare attenti a cercare di programmarci perché è una pia illusione.
Possiamo si allenarci a richiamare le risorse attraverso le sottomodaltià. E non solo, questo richiamo ci rende anche più consapevoli di come funzioniamo.
Come dicevamo prima, ogni contenuto alla luce della consapevolezza cambia. Se riesci ad “evitare di evitare” e ad utilizzarle come ausilio all’esplorazione interna, ecco che diventa un metodo interessante.
Se invece ti illudi di poter controllare il tuo mondo interiore riprogrammandoti, allora non ci siamo proprio capiti 😉
La semplice scrittura
Come dicevamo in puntata basta davvero la semplice scrittura per avere un ottimo accesso alle tue risorse interiori. Ti basta prendere carta e penna descrivere ciò che è accaduto in un momento positivo.
Un momento nel quale hai “realmente tirato fuori le risorse” per riuscire a fronteggiare una qualsiasi situazione. Tutti ne abbiamo a bizzeffe di queste memoria solo che a volte ce ne dimentichiamo.
Più studio e applico gli aspetti pratici della psicologia e più mi rendo conto che molto spesso le soluzioni più semplici sono le migliori!
Un bel quadernino con carta e penna può già fare tanto come abbiamo visto negli esperimenti di “Pennabaker”.
I “paladini” della PNL
Me li vedo già i fan della PNL pensare: “vedi che il contributo di questa disciplina è importante anche per la psicologia? Voi psicologi pensate di sapere tutto”.
Come dicevo in puntata il merito della PNL è stato rendere semplici concetti molto complicati che si affacciavano per la prima volta nel campo psicoterapeutico.
In realtà già Perls e Erickson parlavano di prestare attenzione “più ai processi che ai contenuti” e ti basta guardare qualche loro vecchio filmato per notarlo.
Tanto che oggi i cognitivisti (la teoria da cui ha attinto maggiormente la PNL) parlano di “svolta processualista” per indicare l’importanza del lavoro con “i processi”.
Un video esplicativo:
In questo bel video di Mauro Scardovelli trovi un piccolo accenno alle sottomodalità, ma ciò che mi interessava di più mostrarti era come viene visto il “pensiero”, nuovamente come “una macchina”.
Cita il pensiero “come una radio rotta”, una delle terminologie più usate dalla ACT per descrivere come “siamo pensati dai nostri pensieri” e cita anche due grandi neuroscienziati: Damasio e Gazzaniga.
Insomma ragazzi anche se sembra un “giochino” questa storia della SM è molto più profonda di quanto non sembri, per questo mi riservo un’ennesima puntata per rispondere ai tuoi dubbi.
Usa con cautela le risorse, scegli l’atteggiamento adeguato, coltiva la presenza e continua a seguirmi “giovane Jedi della crescita personale”.
A presto
Genna