Ti sei mai accorto di avere un “dialogo interiore”? Questa è una delle domande che ho fatto maggiormente nei miei primi anni di attività.
Oggi è quasi superficiale farla perché chiunque bazzichi nel mondo della crescita personale sa o dovrebbe sapere che cosa è questo dialogo interiore o “self-talk”.
Se vuoi scoprire di cosa si tratta questa è la puntata che fa per te, e se già lo conosci resterai sorpreso dalla “scienza” dietro questo semplice stratagemma per potenziarlo…
Il self-talk è intenzionale
In puntata abbiamo parlato del “dialogo interiore” in modo abbastanza generico, sottolineando anche come e quando emerge spontaneamente.
Ma ciò a cui facciamo riferimento quando parliamo di “self-talk” nelle prestazioni è un modo volontario di parlarsi. Non è il solo notare come tendi a parlarti.
Inizio con questa differenza perché è molto importante continuare a ribadire che sia come viene utilizzato e sia come è stato studiato in questa ricerca (sul dialogo interno), è qualcosa che fai volontariamente.
Nei consigli ti ho parlato di consapevolezza, di notare il tuo modo di parlarti, questo è sempre utile. Ma devi evitare di vedere il tuo modo naturale di farlo come se fosse “sbagliato”.
Certo puoi migliorarti seguendo diversi consigli legati alla psicolinguistica e con un lavoro approfondito sperimentare modi differenti, il segreto è come sempre EVITARE di cercare di controllarsi!
Il controllo ti controlla!
Il pericolo più grande che si nasconde dietro questo tipo di esercizi è proprio quello di iniziare a pensare di dover o poter controllare i nostri pensieri.
In realtà questa è una pia illusione che rischia di fare davvero male alle persone. Se provi a controllarti volontariamente in qualsiasi ambito rischi parecchio.
E’ chiaro che esistano compiti che richiedono una dose di controllo maggiore ma tutti hanno alla base una certa quantità di automatismo. Ad esempio in questo momento stai leggendo.
Per leggere devi poter “vedere”, conoscere la lingua, distinguere diversi casi linguistici (plurale/singolare, maschile/femminile ecc.) e in più devi volontariamente metterti li e seguire questi segni grafici sullo schermo.
Ora se ci pensi bene la maggior parte delle cose che fai mentre mi leggi è automatica, si serve la tua intenzionalità nel leggere ma è qualcosa di molto piccolo rispetto a tutto ciò che devi poter fare “in automatico”.
Non ci rendiamo conto degli automatismi appresi
Spesso faccio questa domanda: “raccontami cosa hai mangiato o fatto ieri sera”, pensaci per qualche istante e se puoi prova a dirlo ad alta voce. Scommetto che è stato facilissimo, non tanto ricordare ma descriverlo.
Ora ti chiedo di ripetere l’esperimento ma cercando di omettere la vocale “a” da ogni parola. Ripeti cosa hai fatto ieri sera senza MAI dire la lettera “a”. Com’è questa volta?
Scommetto che è stato 10000 volte più difficile, perché? Perché ti ho costretto a disarcionare il tuo automatismo linguistico per piegarlo ad una stupida regola.
Questo è ciò che succede quando cerchi di controllare i tuoi processi interiori, tutto rallenta e funzioni più lentamente. Questo succede perché ci illudiamo di avere più “controllo”, ci rasserena, ma non è così.
E in realtà dovrebbe rasserenarci molto di più sapere che siamo ormai spontaneamente in grado di parlare, leggere e fare altre migliaia di cose.
Le situazioni ad alta prestazione
Tutto questo “pippone iniziale” mi serve per farti evitare di usare queste strategie come se “potessi controllare i tuoi pensieri”, no non è così, ma di certo puoi influenzarne la traiettoria.
Farlo per le cose “negative” come i pensieri brutti e ossessionanti che di tanto in tanto prendono tutti è controproducente. Ma farlo per darsi forza ed energia è più che utile!
Non a caso sono proprio gli sportivi i soggetti migliori per poter sperimentare queste piccole differenze e sappiamo da anni che funzionano abbastanza bene.
Ma non solo per gli sportivi, anche tu puoi apprendere come utilizzare al meglio il tuo self-talk per motivarti, per darti carica e motivazione, per condizionarti ad una certa performance.
Il dialogo interiore funziona un po’ come il nostro caro “effetto priming”, le parole che ti dici e come le dici influenzano le tue percezioni successive, ti ricordi gli ultimi studi di Cialdini?
Priming e mindset
Le ricerche sul mindset e su come attivarlo in modo inconsapevole nei soggetti avvengono quasi sempre con un “prime”: una frase, immagine o suono che aumentano l’accesso ad informazioni specifiche.
Se ti chiedo di dirmi tutti i nomi di auto che conosci e prima ti parlo di un mio recente viaggio fatto con la mia 4×4, la cosa ti verrà più semplice. Al contrario se ti parlo di “dolci fatti in casa” lo renderò più difficile.
Qui sotto inserirò anche un piccolo video di una “passeggiata” in cui trovi altre informazioni su questo effetto che Cialdini ha riassunto nella efficace frase che ripeto: “Ciò che arriva prima influenza ciò che viene dopo”.
Quando usi volontariamente il tuo dialogo interiore sfrutti questo potente e naturale effetto del cervello. Non è “magia suggestiva” ma è un modo per favorire l’accesso a quel tipo di memorie.
E dato che la memoria è “stato dipendente”, cioè è sempre legata ad uno “stato mentale” ecco che, una semplice frase ripetuta dentro di te può farti accedere più facilmente ad un mindset potenziante.
La linguistica
La linguistica del tuo self-talk ha questo scopo, quello di facilitare l’accesso ad informazioni che possono essere utili per una determinata situazione. Mi scuseranno filosofi e colleghi se parlo di linguistica e psicolinguistica in questi termini.
Ma in parte è proprio ciò che è, un modo di utilizzare il linguaggio che riesca ad essere maggiormente efficace su noi stessi e anche sugli altri. Anche qui, non è “magia” ma è facilitazione.
Se non hai competenze in quel campo hai voglia a parlarti bene! Ma se invece hai anche solo un briciolo di risorse, puoi accedervi con maggiore facilità anche attraverso il tuo dialogo interiore.
In questo nostro lavoro trovi le 12 leggi del dialogo interiore, quelle che contengono il “tu” invece del “egli”. Su Psinel abbiamo parlato per anni di come usare al meglio le parole con se stessi e con gli altri.
Ultimamente stanno girando molti corsi su come usare “la psicolinguistica”, se sei interessato a questo argomento sappi che qui puoi trovare un sacco di materiale utile.
La “terza persona”
Mi devi scusare perché ho notato che durante l’audio continuavo ad utilizzare la “seconda persona singolare”, ma non volendo rifare tutta la puntata ho tenuto gli errori. Anche se si parla di “chiamarsi per nome” più che utilizzare solo “la terza persona”.
Non è facilissimo passare da: “Matteo puoi farcela” a “Matteo può farcela” sembra quasi il discorso di “un matto” no? Ci sono cascato perché a tutti viene più facile dire “Matteo puoi farcela”.
Eppure la ricerca indica chiaramente che è “la terza persona” e non “la seconda”. Quindi “possiamo farcela” per usare la terza persona ma plurale! Questo per me è un ennesimo indizio di defusione.
Cioè del fatto che quando ti parli “in terza persona” ottieni una sorta di distanziamento da quel pensiero. Qualcuno potrebbe dire: “si ma allo stesso tempo è come se stessi motivando un’altra persona”.
Ed è esattamente su questo filo che si gioca la partita, sul confine tra abilità auto-regolatorie e consapevolezza, il sapere che stai usando una tecnica e non illuderti di essere “il capo” che comanda “un servo”.
Servo e padrone
Questo è un concetto che abbiamo ribadito più volte ma oggi è più importante che mai. I nostri contenuti interiori, dialogo interno (involontario) compreso, sono i nostri “servi”.
Ma dato che siamo coscienti di questi e dato che riusciamo per così dire “a controllarli” ci illudiamo che tali contenuti siano “i padroni”. Se vedi una bella donna per strada ed il tuo cervello ti dice “saltale addosso” mica lo fai.
Almeno spero che tu non lo faccia! Questo servo è un macchinario complesso che ci aiuta a guidare le nostre azioni, ma non è il decisore finale di queste azioni.
Crederlo porta numerose problematiche alle quali oggi siamo tutti più o meno sottoposti, come ansia, depressione, senso di inferiorità ecc. Perché continuiamo a confrontarci con “il servo” e non con il padrone.
A tal proposito ti consiglio un libro di un noto psichiatra Iain Mcgilchrist che si chiama “The master and his emissary“, ne abbiamo parlato diverse volte ma oggi casca proprio a pennello.
Il self-talk intenzionale
Quando ti parli volontariamente dentro per darti carica, per dirigere le tue azioni, devi sempre tenere a mente che ciò che stai facendo è sfruttare il tuo “servo”.
Per citare Maxwell Maltz e la sua nota psicocibernetica potremmo dire che ogni volta che ti parli volontariamente dentro per ottenere un risultato comportamentale stai usando un “servo meccanismo”.
Stai attivando quel “prime” che ti aiuta ad avviare tutta una serie di processi interiori utili al tuo scopo. Non è sicuro al 100% che si attiveranno perché si tratta di un “servo che suggerisce” e non di un padrone che comanda.
Molti di noi conoscono la metafora dell’auriga di Platone, dove la nostra mente viene descritta come un carro trainato da 2 cavalli e gestiti da un cocchiere (l’auriga appunto).
Tale metafora fu ripresa in tempi più recenti anche da Freud, che vedeva i due cavalli come rappresentazione delle istanze psichiche di “Es” e “Super-io”. E il povero cocchiere come “l’Io” schiacciato da queste due forze.
Ma di chi è la carrozza?
Il cocchiere è quello che può dire ai cavalli dove andare, può con la sua forza ed esperienza instradarli dove desidera. A loro volta i cavalli però possono decidere di andare dove gli pare!
Così nascono i conflitti tra cocchiere e i due cavalli, che rappresentano le istanze inconsce. Ma di chi è la carrozza? In entrambe le metafore sia Freud che Platone non ci parlano del “propietario della carrozza”.
Ok magari entrambi intendevano un cocchio senza passeggeri ma a meno che non si trattasse di una competizione sportiva (cosa presente anche nell’antica Grecia) è chiaro che c’è sempre “un passeggero”.
E nell’antichità era quasi ovvio che quel “passeggero” fosse il padrone o comunque un nobile in grado di decidere il bello ed il cattivo tempo, cioè le strade ed i percorsi.
Per conoscere maggiormente questo “padrone” la prima cosa da fare è capire che quel cocchiere sta solo eseguendo degli ordini. Si è lui che li mette in atto ma sta solo “eseguendo” come un “servo meccanismo”.
La consapevolezza
Per poter utilizzare al meglio il “servo-meccanismo” la chiave è ancora una volta la nostra cara “consapevolezza”. Questa è utile per diverse cose: per notare come naturalmente tendi “a parlarti”.
Per capire come ti fa sentire quel tuo “modo di parlarti”. Per riuscire a notare che quando “ti parli male” quelle parole non sono obblighi ma semplici indicazioni che puoi imparare a non seguire.
Infine può servirti anche per capire quando è il momento più adatto per darti da solo “una spinta gentile” che ti aiuti ad entrare in quello specifico mindset.
Insomma ancora una volta troviamo spazio alla consapevolezza o meglio è lei che ci fa comprendere che dobbiamo darle spazio… e come sempre l’indicazione per svilupparla è la pratica della meditazione.
Ci sentiamo presto
Genna