Hai mai sentito la frase “la mente è sempre l’ultima a sapere”? E’ una tematica che mette insieme conoscenze antiche e moderne ma che molto spesso viene usata male. La sua cattiva interpretazione conduce ad una visione limitata di sé stessi, una sua comprensione può invece aprirci ad una nuova e più globale comprensione… buon ascolto
Introduzione alla coscienza
Il tema di oggi è tra i più dibattuti nel campo della filosofia della mente e per riuscire a comprenderlo dobbiamo fare alcune piccole precisazioni. Mente e cervello non sono la stessa cosa, la mente è un epifenomeno del funzionamento della parte biologica del corpo, cioè dei neuroni. Come facciamo a saperlo? In modo del tutto prosaico: se prendi una forte botta in testa nel posto “giusto” puoi perdere totalmente o parzialmente “la mente”.
Se per mente intendiamo l’insieme dei nostri contenuti mentali: pensieri, ricordi, emozioni, aspettative, giudizi ecc. Allora è evidente che un danno cerebrale metta a repentaglio la nostra capacità di utilizzare tali contenuti, di esprimerli, di divenirne coscienti ecc. Non solo, alcuni danni possono addirittura farci confondere i contenuti interni con quelli esterni (come nei deliri della psicosi) cosa che può accadere anche con l’assunzione di vari tipi di sostanze psicotrope.
Insomma se la “mente” è la coscienza, intesa come l’insieme delle attività psichiche consce ed inconsce, esplicite ed implicite; la quale emerge dalla sostanza biologica, allora il fatto che essa sia l’ultima a sapere è semplicemente un problema logico. E’ del tutto normale, sarebbe come dire che queste parole che stai leggendo in realtà non sono parole, ma sono insiemi di bit, di numeri binari che arrivano ad un processore il quale le trasforma in parole. (Le parole scritte sono la mente).
Un pensiero, prima di diventare cosciente arriva naturalmente da un insieme di adattamenti biologici, facciamo un esempio: entri in un locale per prendere un caffè, ti avvicini al bancone e vedi che un tizio losco si siede vicino a te. La prima risposta sarà del tipo “vado o resto” questa è antica, veloce e biologica, la vivi come una sensazione non come un pensiero conscio. Poi guardi meglio e vedi che il tizio è ubriaco marcio, al che quella consapevolezza si fa strada e diventa presente: ora la mente sa.
Se la mente deriva dal cervello allora il problema è molto semplice: è del tutto normale che prima avvengano adattamenti biochimici che con i loro tempi diventano coscienza. Lo sappiamo anche dagli studi sul libero arbitrio: il cervello sa prima della nostra “consapevolezza” che tipo di decisione prenderà. Lo sa prima perché semplicemente fa parte della naturale catena biologica di cui siamo composti noi e tutti gli altri esseri viventi.
Affidarsi all’intuito
Ciò che molti intendono con la frase “la mente è sempre l’ultima a sapere” è che non dovremmo affidarci alla nostra ragione o consapevolezza, perché essa è in ritardo. Forse ti ricorderai la nostra puntata sulla consapevolezza anterograda, nella quale ti mostravo che i processi biologici sono lenti e di conseguenza è naturale che ci si accorga dopo di aver sentito e a volte agito in un certo modo.
In quest’altra puntata invece ti ho parlato di come e quando dovresti affidarti all’istinto, che è esattamente ciò che viene richiesto dalla massima presa in esame oggi. La quale sembra dire che dobbiamo tornare a dare fiducia a qualcosa dentro di noi, a quelle sensazioni appunto e non solo alla moderna razionalità, alla coscienza, alla parte di noi che fai conti. Come se essa fosse una parte stupida incapace di sentire ma solo di calcolare.
La verità è molto più complessa, l’idea appena presentata è come dire che i bit e i numeri che costituiscono queste parole che stai leggendo siano in fin dei conti più importanti e informativi delle lettere stesse. Sono livelli di analisi differenti. Leggi queste lettere perché qualcuno ha trovato il modo di trasformare dei numeri in caratteri leggibili, ma cosa arriva prima? Ovviamente arrivano prima i numeri (il codice binario) e poi vengono trasformati in questo formato. Dunque dovremmo imparare a leggere il codice?
Assolutamente no! Anche se averne la consapevolezza è importante, altrimenti se per caso un giorno la macchina fallisse e ci presentasse il codice invece delle lettere, noi sapremmo con cosa abbiamo a che fare. Così se al bancone di quel bar senti un po’ di strizza, sensazioni nelle gambe e nel corpo, sai che si tratta di un segnale di pericolo ma non sai a cosa sia realmente rivolto. Quante volte ti è capitato di sentirti in pericolo ma di sbagliarti? A me diverse volte.
Come abbiamo visto quelle sensazioni diventano vitali in casi di pericolo reale. Allora come mai si attivano anche quando il pericolo non c’è? Perché è meglio sbagliarsi sulla pericolosità del tizio al bancone piuttosto che avere ragione, per tanto è meglio allontanarsi che avvicinarsi. Ma quando abbiamo a che fare con la vita quotidiana non sempre sono affidabili e come ha dimostrato Kahneman può essere molto pericoloso affidarsi all’intuito (senza interrogare anche la mente).
Conscio ed inconscio
Il problema è quando iniziamo a vedere coscienza e incoscienza come se si trattasse di una differenza tra: razionale ed irrazionale, tra emotivo e razionale. La verità è che questa distinzione è fasulla, ci sono emozioni sia consce che razionali ed emozioni inconsce ed irrazionali, secondo la Lisa Feldmen Barrett quando parliamo di cervello e di fisiologia, razionale significa: “buono per migliorare la nostra capacità di gestire le nostre risorse interiori” (intese come bilancio energetico).
Se una strana sensazione ti fa allontanare dall’ubriaco al bancone per poi scoprire che si trattava realmente di una minaccia, allora hai fatto una scelta razionale, anche se non del tutto consapevole. Se al contrario ti allontani ma scopri che il tizio è innocuo e anzi è magari una persona molto interessante, allora la tua prima spinta a fuggire era “irrazionale” perché non massimizzava il tuo budget energetico.
Allo stesso modo è proprio la nostra capacità predittiva che ci consente di fare scelte “razionali”, nel senso appena descritto, a volte le sensazioni del corpo (che arrivano prima della mente) sono da ascoltare, soprattutto quando non abbiamo altri mezzi informativi e altre volte no. Quindi non esiste un primato dell’istinto, dell’inconscio o del sentire, rispetto al “pensare” o meglio rappresentare. Questa è solo una credenza popolare.
Non so se riesco a farti intuire l’estrema complessità del tema senza renderlo troppo arzigogolato, perché quando una persona spara quella frase in realtà “non sa proprio ciò che sta dicendo”. La cosa diventa evidente quando siamo di fronte ai Bias come accennavamo poco fa, i quali non dimostrano nessun primato di una parte sull’altra, semmai dimostrano che è proprio quando ci affidiamo all’una e non all’altra che arrivano i problemi.
Il problema centrale
Il problema centrale che fa emergere questa frase è di natura filosofica: la mente emerge dal substrato biologico o si tratta di qualcosa d’altro? Questa tematica è profondissima e riguarda quello che in filosofia della mente viene definito “hard problem” della coscienza. La nostra coscienza è qualcosa che emerge dalla complessità della materia è qualcosa di inerente alla materia stessa?
Ad alcuni potrà sembrare solo una sorta di dibattito intellettuale ma se avete ascoltato la puntata e continuerete a seguirmi scoprirete che si tratta di qualcosa di molto più pratico e prosaico di quanto possa apparire. Fino a qualche anno fa questo tema della coscienza era liquidato in modo abbastanza semplice: esiste una parte conscia della nostra vita ed una parte inconscia. Un tema “semplice” che però ha ribaltato totalmente la conoscenza di noi stessi.
Prima di Freud erano in tanti a sapere dell’esistenza di una parte sconosciuta, dell’inconscio ma non la vedevamo come una parte di “noi” ma come una sorta di “scatola nera naturale“. L’essere umano si confronta con le scatole nere da sempre, per scatola nera intendiamo un oggetto con cui abbiamo a che fare ogni giorno, che utilizziamo ogni giorno, ma di cui non conosciamo affatto il contenuto e soprattutto il funzionamento.
Poi arrivano i filosofi e ci dicono: “Ok, è indubbio che esista una parte inconscia ma il vero problema non è quello, il problema è come e perché siamo coscienti. Da dove emerge questa coscienza?”. Non si tratta di vederla in termini funzionalisti (Darwiniani), cioè “perché abbiamo una coscienza“, questa domanda è molto più semplice ma si tratta di chiedersi cosa sia veramente la coscienza. Questa domanda fa storcere il naso agli scienziati i quali vedono la mente come epifenomeno emergente dalla materia.
Materia e Anima
Chi si occupa di cose newage quando legge la frase incriminata non si pone tutte queste domande, ma ciò che voglio dimostrare è che dovrebbe farlo! Anche perché altrimenti si finisce dentro un paradosso davvero bizzarro. Ora l’ipotesi del fatto che non sappiamo davvero cosa sia la coscienza è in realtà ciò che ci consente di ragionare in questi termini: se la coscienza non emerge dalla complessità della materia, allora che cosa è?
Una delle poche risposte rimaste è che sia parte della materia, una proprietà insista nella materia, una sorta di animismo. Tutto possiede una coscienza solo che non ce ne rendiamo conto, questa è l’ipotesi che potremmo definire metafisica che però fa a pugni con quella newage che afferma che la mente sia l’ultima a sapere. Perché dovrebbe essere l’ultima? Dato che tutto è coscienza, la grande consapevolezza che in molte tradizioni è rappresentata da Dio, allora non ha alcun senso “prima e dopo”.
“Prima e dopo” hanno senso solo se vediamo il cervello e la fisiologia in termini biologici non metafisici. La cosa divertente è che chi si affida ad una ipotesi del genere cerca risposte proprio nella scienza, magari negli studi sul libero arbitrio che abbiamo accennato poco fa, ma in realtà quegli studi non fanno altro che confermare la natura biologica del nostro sistema nervoso, niente di magico è solo che la biologia funziona così… un po’ alla volta e non tutto di colpo.
So che questi miei ragionamenti non avranno mai la forza esplicativa della frase presa in esame, del fatto di pensare di aver capito come funzioniamo perché “ci sembra che le cose vadano così dentro di noi” ma la scienza o meglio il metodo scientifico fa proprio questo: rivede le proprie ipotesi e teorie di continuo e spesso confuta proprio il senso comune. Abbandonare il senso comune è una delle cose più difficili, perché richiede sforzo, richiede un nuovo “uso delle nostre energie”.
Questo significa che la ricerca spieghi tutto? Assolutamente no, ma di certo quella frase capita male non spiega un bel niente e tende a confondere le persone, soprattutto chi come te è realmente interessato a conoscere a fondo se stesso attraverso i frutti della ricerca.
L’era iper mentale
Secondo alcuni siamo in un’epoca nella quale abbiamo perso il contatto con i nostri poteri intuitivi perché non li usiamo più, questa affermazione non è del tutto sbagliata ma va posta nel giusto contesto. E’ chiaro che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori avessero la capacità di interpretare le orme di un animale, cosa alla maggior parte di noi totalmente sconosciuta. Che avessero capacità intuitive rispetto al tempo, alle stagioni e anche alla percezione di un nemico.
Certamente abbiamo perso alcune capacità del passato, così come i miei genitori erano molto più bravi di me a fare i calcoli a mente (dato che le calcolatrici non erano presenti nei loro anni scolastici) ma queste perdite sono sempre equilibrate da nuove acquisizioni. Chi non ha voluto usare il fuoco di certo ha sviluppato abilità di sopportazione superiore, i loro fisici erano certamente più forti e anche le loro abilità di intuire quando fosse realmente necessario coprirsi.
Ma chi ha invece imparato ad usare il fuoco ha fatto qualcosa di straordinario: oltre a tutto ciò che può venirci in mente come il calore, la difesa dagli animali feroci ecc. C’è anche il fatto che cuocendo gli alimenti li abbiamo resi più digeribili, nel corso dei millenni questo ha accorciato i nostri intestini consentendo ai nostri cervelli di svilupparsi ulteriormente. Credo che la visione: se fai questo perdi quest’altro e dunque bisogna rimediare, sia importante ma vada vista in un contesto allargato.
Purtroppo dietro questa convinzione ci sono molte più persone interessate a venderti “la magia”, di strane pratiche reali o fittizie che consentirebbero l’acquisizione di poteri paranormali. Insomma di certo fare pratiche psico-corporee fa bene anzi benissimo, riappropriarsi della sensibilità fa bene e benissimo, ma stiamo attenti a non confondere le cose… ne va della vera presa di consapevolezza che sta aprendo gli occhi sempre a più persone.
E’ un discorso arzigogolato, me ne rendo conto… fammi sapere cosa ne pensi tra i commenti del Video Extra che uscirà sul nostro canale Youtube e che troverai qui sopra a qualche giorno della pubblicazione di questo post.
A presto
Genna