Il linguaggio che utilizziamo per descrivere il mondo che ci circonda è in grado di creare “cornici interpretative” che possono cambiare il nostro modo di vedere il mondo. Oggi vedremo insieme quanto siamo influenzati dalle parole che ci raccontiamo e che raccontiamo agli altri, faremo una panoramica di 3 meccanismi psicologici del linguaggio che è molto bene conoscere… buon ascolto:
Ciò che arriva prima…
Uno dei cavalli di battaglia di Psinel è proprio questo: aver evidenziato quanto fosse profondo l’effetto Priming nelle nostre vite. Quando ciò che arriva prima influenza ciò che c’è dopo, una massima che mi avrai sentito ripetere molte volte, perché? Perché se ci pensi noi abbiamo sempre qualcosa che arriva “prima” e che, senza renderci conto, ha un effetto su ciò che succede dopo, solo che non ce ne accorgiamo (quasi) per niente.
Se prima di ascoltare questa puntata hai ricevuto una bella notizia o al contrario ne hai ricevuta una negativa, il piacere dell’ascolto di questi temi sarà profondamente influenzato dalla qualità dell’evento che l’ha preceduto. Lo sappiamo da sempre ed istintivamente: quando eri piccolo e volevi chiedere qualcosa ai tuoi genitori, eri molto attento a cercare di capire come si sentissero prima di farlo. Se ci pensi questa è una conoscenza intuitiva di questo semplice ma potente meccanismo.
Dico spesso che si tratta di un nostro “cavallo di battaglia” perché nei primi anni del 2000, quando in molti parlavano degli effetti potenti del linguaggio sul nostro inconscio, non si capiva ancora bene quali fossero i meccanismi alla base. C’erano molte interpretazioni, io da appassionato di psicologia sperimentale avevo avanzato l’ipotesi che il priming potesse essere un modo semplice e concreto per poter descrivere il fenomeno.
Quando le cose sono evidenti sono spesso nascoste. Così come è nascosto l’effetto del priming sulle nostre vite. Il semplice iniziare a portare consapevolezza su questi temi consente alle persone di iniziare a sentirsi maggiormente protagoniste della propria vita e meno influenzate dagli eventi esterni. Vedi non è possibile schermarsi dagli effetti di ciò che “arriva prima” ma sapere che ogni esperienza è come se si sommasse dentro di noi è un buon modo per comprendere come ci sentiamo ed eventualmente porvi rimedio.
Quindi il mio è un invito alla consapevolezza non all’utilizzo ingenuo di questo strumento. Cioè metterti allo specchio a ripeterti frasi motivanti perché pensi possano “avere un effetto di priming positivo” non è proprio ciò che intendo. Intendo che però possiamo utilizzare questa conoscenza per aumentare la nostra consapevolezza e anche per progettare al meglio la nostra comunicazione. Certo, possiamo usare questa consapevolezza per migliorare gli ambienti che frequentiamo ma non per “fare le affermazioni allo specchio”.
La natura del linguaggio
E’ banale ma il nostro linguaggio ha dei riferimenti diretti nella realtà. Cioè non solo ci serve per negoziare tale realtà di oggetti intorno a noi ma ci sono concetti che derivano direttamente dal nostro agire. Come ad esempio: se una situazione ci sembra “pesante” è perché sappiamo che portare oggetti pesanti è difficile. Se ci sentiamo “su o giù” è perché in natura le cose buone sono spesso in alto mentre quelle cattive (come le cose morte) sono in basso ecc.
Il nostro sistema concettuale si fonda sull’esperienza, c’è una branca in psicologia che ha comprovato più e più volte lo stretto legame tra linguaggio, mondo ed espressioni metaforiche, si chiama “emboided cognition” o cognizione incarnata. Ci tengo a dire che siamo strati tra i primi sia con il priming che con questo tema perché in Italia ci sono diversi formatori (alcuni molto più noti di me) che continuano a ripetere di essere stati i primi… ecco io non credo di essere stato il primo (i primi sono stati i ricercatori) ma di certo in Italia tra i primi!
E dato che molti di questi divulgatori non sono miei colleghi ci tengo a ribadire che queste cose arrivano dalle Università di Psicologia e al limite da quelle di linguistica e non da “formatori geniali”. Purtroppo però se una persona ripete alcuni temi con una certa frequenza, ad un pubblico molto ampio, ecco che le sue parole iniziano lentamente a diventare realtà. Le sue parole diventano cornici, e ogni volta che incontri termini come “priming ed emboided cognition” pensi: “Ah è come ha sempre detto Tizio”, NO è come dice la ricerca da 20 anni! Nella scienza non c’è alcun “Tizio”!
La natura del linguaggio dunque prende vita da metafore di azioni e attività umane senza tempo: dalla guarra, dalla competizione, dalla sopravvivenza, dalla caccia, l’agricoltura, ecc. E senza accorgercene una semplice metafora di guerra può portarci a vedere le cose in modo diametralmente opposto rispetto ad una metafora sportiva ecc. Se ti dico che i nostri vicini di casa sono dei “nemici da combattere” non è la stessa cosa che dire che “sono avversari da battere”.
Gli avversari li batti facendo del tuo meglio i nemici li uccidi. Dunque una metafora può condurre ad azioni e soluzioni molto diverse tra loro. Spero sia evidente quanto l’uso di una certa metafora possa cambiare non solo il modo con il quel interpretiamo le situazioni ma anche le azioni che siamo disposti a compiere in quell’ambito. E allo stesso tempo le metafore: arrivano prima ed influenzano ciò che c’è dopo, siamo ancora di fronte ad un meccanismo simile ma maggiormente invadente perché nascosto.
Cornici nascoste e necessarie
Raccontate in questo modo le cornici che ci circondano sembrano quasi negative ma in realtà esistono perché ci aiutano. Così come un linguaggio metaforico ci aiuta a trasferire ciò che c’è la fuori nella realtà in rappresentazioni mentali e in concetti, allo stesso modo i contesti che ci circondano fungono da cornice e ci aiutano a muoverci nel mondo. Non hai bisogno di sapere che in certi ristoranti è bene evitare di mangiare con le mani o di lanciare il cibo, se hai superato i 4 anni, perché il contesto richiede un certo tipo di comportamento.
Così non hai bisogno di sapere che in Chiesa sarebbe bene spegnere la suoneria del cellulare e non rispondere ad alta voce. Spero di non aver bisogno di ulteriori esempi perché tutta la nostra società si fonda su tali cornici interpretative, ci aiutano a sapere come comportarci senza magari aver mai messo piede in quel contesto specifico. Il linguaggio e in generale la comunicazione fanno qualcosa di molto simile, ce ne rendiamo conto solo a livello inconsapevole sino a quando le cose non diventano molto estreme e particolari.
Un tizio che ti parla con un certo tono di voce ti fa capire immediatamente che tipo di cornice lo ha portato a quell’atteggiamento. Succede però solo se il suo tono è molto rappresentativo di un certo tipo di atteggiamento, ma in maniera sottile un filo di rabbia in più nella voce crea già un contesto, una cornice che guida l’interpretazione di ciò che ascoltiamo. Purtroppo succede anche di sbagliarsi su questi aspetti, come abbiamo visto parlando del “Dilemma dello sconosciuto”, ci sono persone con voci che fanno paura o volti accigliati che in realtà hanno atteggiamenti dolci e gentili… e anche il contrario.
Noi siamo costretti ad avere “cornici interpretative” per questo ci affidiamo a qualsiasi tipo di indice possa darcene una, se questa non è presente ce le inventiamo sulla base delle passate esperienze. Siamo costantemente inseriti in una certa cornice solo che raramente ci facciamo caso, succede spesso che diventi evidente quando essa ci conduce in errore. Se interpreto male lo sguardo di una persona come amichevole ed invece non lo è e altre situazioni simili che ognuno possono essere capitate.
Come abbiamo visto in questo episodio il fatto di violare le nostre cornici non sempre è un male, anzi a volte può essere un bene. La sorpresa e la rottura delle nostre cornici di riferimento genera spesso nuovi ed interessanti apprendimenti, molto più efficaci di quelli basati sulla semplice ripetizione e contingenza, un tema che ha rivoluzionato la psicologia ma di cui pochi parlano. La sorpresa, cioè la rottura improvvisa di una aspettativa (una cornice) è in grado di farci imparare molto più rapidamente di ogni altra esperienza.
Archetipi linguistici
Le parole sono archetipi, cioè idee antiche che ci rimbalzano nella testa da sempre. Archetipo significa “primo esemplare”, spesso usiamo parole che richiamano alla mente esempi di qualcosa senza sapere di cosa. Quando usiamo il termine “responsabilità” tendiamo a dimenticarci che significa “portatore di pesi” oppure (in un’accezione moderna e probabilmente sbagliata) “abile a rispondere”. Il fatto che esistano dentro di noi idee antiche che vengono richiamate è alla base della famosa teoria di Jung.
Secondo la quale noi non nasciamo come “tabula rasa” ma come oggetti biologici che contengono ciò che ci ha preceduto o meglio le vite delle persone che ci hanno preceduti. Quindi quando dentro di noi ci sentiamo: guerrieri, vittime, avventurieri, eroi, ecc. Non ci staremo solo rifacendo a storie che abbiamo ascoltato e sentito da bambini, ma attiverebbero dentro di noi queste “idee antiche” che in un qualche modo sono ancora in grado di attivarci in una certa direzione.
Quindi, oltre al linguaggio che ascoltiamo comunemente, il quale ci influenza per aderenza semantica e per effetto “prime”. Oltre alle metafore, anch’esse archetipiche perché si sono formate unendo insieme le nostre azioni e i nostri sistemi concettuali (emboided cognition), oltre alle classiche cornici della mente come l’ancoraggio… oltre tutto ciò per alcuni psicologi del profondo avremmo ancora una influenza nascosta, quella appunto archetipica.
Così quando qualcuno parlandoci usa immagini che si riferiscono ad un passato lontano, tali narrazioni non avrebbero solo l’aspetto metaforico (di trasportare significati da un contesto all’altro) ma anche avrebbero anche l’aspetto di: attivatori archetipici in grado di farci attingere al nostro “inconscio collettivo”. Si, perché per Jung il famoso inconscio collettivo è questo: il fatto di avere in comune con ogni essere umano una sorta di immaginario collettivo che deriverebbe dai nostri antenati.
Per questo motivo, secondo Jung, in ogni rappresentazione del male, in ogni angolo del mondo, vi sarebbero delle somiglianze pazzesche: i cattivi sono brutti, scuri, hanno artigli ecc. I buoni sono belli, luminosi e angelici ecc. Secondo Jung tutte queste somiglianze non sarebbero spiegabili attraverso una sorta di influenza reciproca ma dal fatto che dentro la nostra mente (cervello) permangano alcune idee che andrebbero a costituire un inconscio da esplorare, appunto, quello collettivo.
(Se per caso pensavi che l’inconscio collettivo fosse una sorta di “mente estesa alla quale siamo tutti connessi” è colpa dei new ager che non conoscono Jung 😉 Ci tengo a dirlo perché per quanto Jung avesse idee più che spirituali non intendeva ciò che molte persone condividono online, anche se, a ben vedere se tutti abbiamo delle “idee nascoste antiche identiche che ci guidano” è un po’ come avere una sorta di mente estesa… ma questa è un’altra storia e ti invito ad approfondirla nella nostra puntata dedicata per l’appunto all’inconscio.)
Concludendo: le parole che dici, come le dici e l’ordine che utilizzi, hanno la capacità di influenzare in modo molto potente il nostro sistema percettivo-reattivo, cioè i nostri atteggiamenti e le nostre opinioni. Per questo motivo sono sempre più convinto che queste cose andrebbero insegnate a scuola. Conoscerle non aumenta solo la nostra cultura ma ci rende maggiormente consapevoli dell’importanza di saper padroneggiare la nostra lingua… al di là di qualsiasi voto scolastico!
A presto
Genna
Ps. La ricerca sul Priming in questi anni si è evoluta ed ha giustamente ricevuto anche alcune critiche di cui ci occuperemo in un prossimo episodio.