Immaginiamo 2 persona A e B le quali si trovano nella piacevole situazione di dover attraversare una spiaggia in pieno Agosto. Il primo sa cosa lo aspetta perché ha testato il terreno, sa che la sabbia brucia come i carboni ardenti, mentre il secondo non ne è per nulla consapevole. Chi dei due avrà una migliore esperienza? La risposta a questa domanda non è così semplice come può apparire ma è un ottimo modo per introdurre il tema di oggi… buon ascolto
Attraversare la spiaggia
Torniamo ai nostri due villeggianti che hanno la fortuna di trovarsi al mare, secondo alcuni è meglio non sapere quanto sarà calda la sabbia mentre secondo altri è meglio saperlo in anticipo. I primi sostengono che saperlo potrebbe aumentare così tanto l’apprensione da causare una doppia sofferenza (come nella doppia freccia del Buddismo) mentre gli altri affermano che sapere prima aiuta a progettare meglio il percorso. Tu sei tra i primi o tra i secondi?
In questo caso particolare io vorrei essere tra i secondi, cioè coloro i quali sanno quanto brucia la sabbia ma nonostante ciò fanno uno sforzo per raggiungere il mare. Il vantaggio dei primi è invece quello di non sapere, dunque di poter agire come se non ci fossero problemi, anche se a ben vedere, una volta messo il piede sulla sabbia si accorgeranno subito del calore. Ed è a quel punto che potranno decidere se agire di conseguenza (cercando l’ombra qui e là) oppure di fare finta di niente fino alla fine…
Lo so l’esempio è contorto ma è contorta anche la differenza tra “accettazione e resa“, entrambi i nostri eroi se decidono di proseguire fino alla loro sdraio stanno in un qualche modo accettando il fatto che la sabbia bruci. Un reale resa invce consisterebbe nel fare marcia indietro e decidere di non entrare proprio in spiaggia… qualcuno starà pensando: io preferisco saperlo ed usare le ciabatte o una eventuale passerella. Quando in psicologia parliamo di accettazione non parliamo in realtà della semplice constatazione che qualcosa non sta andando come vorremmo, questo è solo il primo passo.
Quando in psicologia diciamo che qualcuno ha accettato qualcosa ci riferiamo al fatto che ne è diventato pienamente consapevole e da quel momento, può cambiare quella cosa. Ora facciamo un esempio leggermente più psicologico: immagina di organizzare una festa a casa tua, di colpo si anima con tutti i tuoi amici ma ad un certo punto arriva Luigi e ti dice “scusa ma ho erroneamente invitato anche Francesco e Annibale, so che non ti sono molto simpatici ma mi è sfuggito il messaggio”. A quel punto hai poche opzioni: 1 vai dai ragazzi e li mandi via, “mi spiace ma non siete invitati”… non troppo carino da fare vero?
2 Decidi che la frittata è fatta ed invece di goderti la festa stai tutto il tempo in allerta, mandi in paranoia gli invitati dicendogli di stare attenti perché quei non sono graditi oppure semplicemente cerchi tutto il tempo di capire se ti stanno sfasciando la casa. 3 Accetti il fatto che Luigi abbia fatto la cavolata e semplicemente continui la tua festa, certo di tanto in tanto dai un’occhiata per vedere se tutto fila liscio ma per il resto “chi se ne frega, magari per una volta riuscirò a capire perché non amo davvero invitare quei due”.
Gli ospiti indesiderati
Quando parliamo di accettazione facciamo riferimento allo scenario n3, il quale non implica il semplice affermare “cavolo sono entrati quei due ora la festa è rovinata” ma implica invece il dare loro il benvenuto perché (come capita molto spesso) è la cosa migliore da fare. Immagina cosa accadrebbe cercando di mandare via quegli ospiti, cosa accadrebbe se tu facessi finta di nulla senza per lo meno osservare come vanno le interazioni. Ecco l’accettazione come abilità psicologica assomiglia proprio a questo scenario, nel quale cerchiamo di osservare la situazione per quella che è, senza combatterla ma osservandola.
Sì lo so, se Francesco e Annibale sono due poco di buono di certo le cose sarebbero diverse, ma è una metafora e l’ho scelta io, quindi sono semplicemente due tizi che non ci stanno tanto simpatici. Però due persone che conosciamo e snobbarle o cercare di mandarle via sarebbe la cosa peggiore da fare in questo caso. La cosa migliore sarebbe al contrario quella di cercare di osservarli con curiosità magari parlarci e scoprire che sono molto meno antipatici di quanto credessimo, che magari possono anche loro contribuire all’atmosfera della festa.
Questo tipo di accettazione non è qualcosa di passivo, non è il lasciare gli invitati a farsi gli affari propri o peggio cercare di isolarli. E’ invece un movimento verso, un accogliere invece di scacciare e per farlo dobbiamo superare le prime attivazioni. Come forse alcuni ricorderanno dalla puntata “resto o vado” la prima reazione di pancia non sempre è quella più corretta, soprattutto quando non siamo in pericolo di vita. Questa è la cosa più difficile da fare per accettare realmente, cioè superare quel primo momento di “attacco-fuga” per consentire al nostro sistema di riprendersi e poter agire in modo meno reattivo.
E’ facile? No per niente, per questo le persone lo confondono con la “resa” che è invece la cosa più semplice da fare. “Ecco ora che ci sono quei due la festa è rovinata… grazie Luigi, sei sempre il solito”. Questa è una resa, qualcosa che facciamo sempre e a volte può anche anticipare l’accettazione, per questo tendiamo a confondere le due cose. Poi ci sono altri motivi per cui lo facciamo, come il fatto che “il vero Uooommmo” non deve mai scendere a compromessi, non deve mollare, ecc. Lo so è un miscuglio di robe psicologiche ma se ci pensi bene è facile confonderle con il tema di oggi.
Questo atteggiamento rivolto alla capacità di accogliere anche gli ospiti indesiderati viene visto come qualcosa da deboli quando in realtà richiede molta più forza rispetto ad una reazione aggressiva e scomposta. Quando sento dire che per liberarsi da qualcosa sia necessario “odiarla”, cercare di convincerci che non deve fare parte delle nostre vite, ecco questo è il tipo sbagliato di consapevolezza necessaria. Il che non significa che se qualcosa che proviamo non ci piace allora dobbiamo farci i conti per sempre, ma significa che se non ci facciamo i conti non riusciremo a liberarcene. Sono questi “conti” la vera accettazione!
La ruota bucata
Ci serve un’altra analogia (ecco perché le analogie aiutano): immagina di guidare la tua auto in autostrada, ad un tratto ti accorgi però che qualcosa non va. A quel punto hai diverse alternative in base al contesto: se sei a pochi metri da casa puoi fare finta di niente e aspettare di arrivare in un luogo sicuro. Se al contrario sei lontano e devi percorrere ancora diversi chilometri, la cosa più intelligente da fare è fermarsi e guardare cosa sta succedendo. Anche in quel caso, in modo sconsiderato, potresti decidere di proseguire. Se tutto va bene la ruota resterà gonfia a sufficienza, ma se va male?
Accettare significa fermarsi e guardare come sta la ruota, identificare il problema e cercare di fare qualcosa (quando è possibile) per riuscire a sistemarla. Non significa fare finta di niente e proseguire, è proprio l’opposto, significa invece diventare consapevoli che la ruota è sgonfia, a quel punto, in base alla situazione possiamo decidere il da farsi. Fare finta di niente è forse la cosa peggiore, ma anche reagire di “violenza” (con la fuga) può essere molto negativo: ad esempio inizio ad accelerare per arrivare prima a casa e in questo modo aumento il possibile rischio di incidenti.
Le analogia purtroppo sono necessarie quando parliamo di processi complessi, perché l’accettazione non è una cosa ma un processo così come lo è il suo “gemello cattivo”, la resa/fuga. Allora cosa le distingue? Il fatto che la resa e la fuga, che in alcuni casi ovviamente possono essere necessarie, quando si tratta di accettazione psicologica, sono in realtà la cosa più facile da fare. Sono la scelta comoda perché ci risparmiano apparentemente la sofferenza necessaria della presa di coscienza totale di ciò che sta accadendo in quel momento (o di ciò che è accaduto).
Per questo motivo una delle caratteristiche principali dell’accettazione è la capacità di assumersi la responsabilità delle cose. Che è poi la situazione che vogliamo evitare, uno degli sport nazionali è quello di attribuire la colpa agli altri, succede a tutti soprattutto quando soffriamo. Cerchiamo cause (i colpevoli) e dimentichiamo velocemente le nostre azioni, nella speranza che le cose si mettano apposto da sole, cosa che capita anche molto spesso, ma solitamente succede proprio quando ci rendiamo conto di far parte della situazione. Quando scendiamo dalla macchina per verificare cosa è accaduto e dopo la presa di coscienza cerchiamo un modo per migliorare le cose.
Cosa c’entra il browser?
Ho aperto questa puntata con uno studio molto curioso, effettuato diversi anni fa, sulla scelta del browser. In pratica sembra che chi si fosse preso la briga di modificarlo sul posto di lavoro era anche meno disposto a lasciare quel lavoro e performava mediamente meglio dei suoi colleghi. Cosa c’entra tutto ciò con l’accettazione? Sembra quasi il contrario: non accetto la dotazione che mi hanno assegnato. Ma in realtà per riuscire a fare quel passaggio è necessario quel pezzetto di consapevolezza che chi “si arrende salta”.
Chi si arrende alla dotazione di base è anche chi, all’interno di quello studio, si arrendeva prima. I ricercatori hanno cercato di capire come mai vi fosse questo fenomeno e la prima risposta è stata: dipenderà dal grado di competenza informatica. Dopotutto solo chi conosceva i pregi dei browser alternativi poteva sceglierli davvero, no? No, o meglio non è questo il caso dato che tutti i partecipanti allo studio, facendo parte della stessa grande azienda, erano stati testati per competenze informatiche. La vera differenza stava nel cercare di migliorare qualcosa, nel cercare di massimizzare il proprio operato in quel contesto.
Questo è un esempio perfetto di accettazione così come la concepiamo in ambito psicologico che, come già detto molte volte, non significa arrendersi ma implica la consapevolezza di poter fare qualcosa (o di non poterla fare). E’ molto probabile che gli stessi impiegati che si sono prodigati per cambiare browser non ci fossero riusciti avrebbero comunque cercato qualcosa d’altro per rendere il proprio lavoro migliore. Questo desiderio di miglioramento non è il segnale che sono stati ipnotizzati dai capi e dall’azienda ma è il segno che si voglia profondere impegno per rendere le cose migliori.
E’ il segnale della cura, dell’attenzione, tipiche di chi cerca di rendere le cose migliori di come le ha trovate. Un atteggiamento virtuoso che spesso dimentichiamo, perché siamo vittime dell’idea che dare un briciolo di più equivalga a farci schiavizzare dal capo. Certo ci sono questi casi ma la verità è che, come in ogni altro contesto umano, se noi non ci assumiamo la responsabilità di ciò che stiamo facendo nessuno lo farà per noi. Per fare questo passaggio è necessaria consapevolezza e accettazione di ciò che ci circonda.
Lo so, non sono bei discorsi perché la gente ama non fare fatica, la gente ama pensare che sia colpa degli altri, la gente ama le cose che procurano piacere. Accettare ed assumersi la responsabilità non ha queste caratteristiche, anzi ha le caratteristiche quasi opposte, per accettare bisogna: guardare in faccia le cose che difficili, impegnarsi, assumersi la responsabilità, rimboccarsi le maniche per trovare soluzioni ecc. Tutte cose che non ci piacciono ma che, sotto sotto, sappiamo essere fondamentali per fare bene qualsiasi cosa si sia chiamati a fare nella vita.
Insomma accettare è molto diverso da arrendersi. Spero di essere stato più chiaro in questo episodio, se vuoi approfondire qui in alto trovi anche un video (che solitamente esce 2 giorni dopo la puntata del podcast, i contenuti sono diversi).
A presto
Genna