Cosa contraddistingue noi esseri umani da tutti gli altri nostri cugini animali? Ci sono alcune differenze ma di certo molti di voi avranno pensato “il linguaggio”. Anche gli altri animali possiedono un linguaggio, anche loro si scambiano informazioni di continuo ma il nostro modo di usare la comunicazione, per quanto simile, racchiude alcune differenze fondamentali. Conoscerle può aiutarci a comunicare meglio…

A cosa serve il linguaggio?

E’ chiaro il linguaggio serve per comunicare, la stessa identica cosa che fanno tutti gli esseri viventi intorno a noi. Anzi potremmo quasi lanciarci in ipotesi più azzardate ed immaginare che ogni oggetto su questa terra in un qualche modo: invia informazioni verso qualcosa d’altro. Tuttavia gli esseri viventi hanno l’estrema necessità di comunicare per riuscire a tenere sotto controllo quella sottile ed incredibile capacità di mantenere un ambiente interiore in equilibrio (l’omeostasi). Come abbiamo già visto in altri episodi essenzialmente anche noi comunichiamo (in parte) con lo scopo di auto ed etero regolare il budget energetico del nostro organismo (o di quello di chi ci sta accanto, come quando rallegriamo nostro figlio o consoliamo un amico).

Negli esseri umani il linguaggio sembra possedere uno strano super potere: quello di far vedere, immaginare e sperimentare cosa che NON ci sono, cose che non sono presenti. Un po’ come quando ti fai raccontare una festa o un concerto da un amico. Anche gli altri animali fanno qualcosa del genere: quando un cane abbaia o quando un esemplare avvisa gli altri della presenza di un predatore, lancia segnali per dire “ehi voi non lo vedete, ma c’è un predatore ed è bene che stiate allerta”. Ma mentre tutto ciò per i nostri cugini funziona molto bene quando l’oggetto è realmente presente noi siamo capaci di farlo anche quando l’oggetto è assolutamente distante.

Questa capacità di guardare lontano è un nostro super potere. Anche quando abbiamo iniziato a costruire i primi utensili abbiamo fatto una distinzione netta con i nostri cugini: mentre noi abbiamo non solo capito di poter manipolare gli oggetti ed il mondo intorno a noi per sopravvivere, abbiamo anche capito come trasmettere queste informazioni ai posteri. Esistono animali che usano strumenti per cacciare, ma poi quegli strumenti vengono gettati via, nessuno li conserva e li migliora. Perché, potremmo dire, manca questa prospettiva futura, manca questa capacità di immaginare l’utilizzo di quell’oggetto anche tra qualche giorno o tra qualche anno.

Questa stessa visione prospettica ci ha aiutato a fronteggiare le carestie, le pandemie del passato e anche a costruire monumenti giganteschi ancora presenti sulla terra. Secondo molti antropologi tutto ciò emerge in modo preponderante con il linguaggio, il quale sembra essere il substrato biologico dal quale e con il quel costruiamo e conserviamo la nostra cultura. Come ti ho raccontato nella puntata, ciò che hai ascoltato deriva da un intervento molto interessante fatto dal prof. Telmo Pievani proprio sul tema del linguaggio eccolo. In pratica è davvero difficile capire come si sia evoluto perché a parte “i reperti scritti” non esistono fossili del linguaggio.

Tuttavia è possibile fare alcune ipotesi sulla base di ciò che conosciamo e a quanto pare, una delle più plausibili, parla proprio di antenati che per scambiarsi informazioni complesse hanno dovuto sviluppare il linguaggio. Pievani ci mostra come alcune azioni come ad esempio, una lunga battuta di caccia, richiedessero necessariamente una qualche forma di linguaggio, ma non una comunicazione estemporanea come quella che avviene tra gli animali (che ovviamente è presente anche in noi) ma un tipo di interazione astratta che consentisse loro di programmare ed organizzare le azioni a lungo termine.

Lo scopo principale

Lo scopo principale del linguaggio e in generale della comunicazione è quello di cooperare tra di noi. Lo so è riduttiva come affermazione ma se ci pensiamo è ciò che ha fatto davvero la differenza nei confronti di tutti gli altri nostri cugini animali. I quali, pur possedendo una modalità comunicativa non riescono ad organizzarsi né per il futuro (come facciamo noi immaginando a lungo termine) e né di cooperare in grandi gruppi. Secondo molti studiosi questo è accaduto proprio attraverso la costruzione di concetti astratti sotto i quali ognuno di noi poteva identificarsi. Ora diciamo astratti perché non esistono nella realtà ma rispecchiavano (e in parte rispecchiano) la realtà.

Ora so che questi temi sono stati tratti in lungo e in largo non solo dai miei colleghi psicologi ma anche e soprattutto da antropologi, linguisti e molti altri qui cercherò di sintetizzare e inevitabilmente semplificare. Quindi senza la capacità di creare un pensiero simbolico, cioè che rappresentasse non solo altro ma molte cose insieme, non saremmo riusciti ad organizzarci in gradi comunità. E questo avrebbe diminuito di molto la probabilità di sopravvivenza della specie. Saper utilizzare e manipolare questi simboli è da sempre stato il gioco di chi ha detenuto il potere (ancora oggi è così).

Vittorio Gallese crea uno scenario affascinante immaginando un nostro avo che, cercando di creare un utensile ha iniziato a scheggiare una pietra, ma invece di vederci una freccia ha visto di poter “lasciare un segno”. Segno che poteva essergli utile, per rappresentare il proprio clan o semplicemente per dare indicazioni in un luogo, magari sugli alberi ecc. Questo segnare non l’ha inventato da zero ma ha osservato ad esempio che gli animali lasciavano orme, lasciavano segni che gli altri animali sapevano interpretare al fine della sopravvivenza.

Questo creare segni si è poi evoluto, quel segno che indica il passaggio di un animale era simile a quello che questo uomo che immaginiamo ha notato sulla pietra. O forse tutto è iniziato con i suoni, non lo sappiamo purtroppo con certezza ciò che sappiamo è che è stata la rivoluzione tecnologica del momento, un po’ come internet negli ultimi decenni. Secondo alcuni filosofi, in particolare Carlo Sini, l’alfabeto che abbiamo costruito può considerarsi come un artefatto, dunque una sorta di tecnologia. Un’altra questione complessa e dibattuta ma ciò che interessa a noi è sapere che le narrazioni che ci circondano non sono semplici parole.

Sono il risultato di una continua negoziazione tra le persone e da sempre sono state il collante di ogni relazionarci con il prossimo. Una sorta di substrato di ogni tipo di società, piccola come i clan dei nostri antenati o enorme come le metropoli attuali. Talmente “sotto” da farci dimenticare che si tratta di uno strumento, cosa molto evidente se invece assumiamo la prospettiva di chi da sempre è al potere. Da sempre i regnanti hanno studiato come guidare attraverso le mitologie, le storie, la creazione di artefatti con il preciso scopo di far pensare e agire in specifici modi. Ma mentre un tempo solo in pochi potevano rendersene conto oggi è evidente a chiunque (o quasi).

Uno strumento da accordare

Lo so che parlare di qualcosa che ci sembra così “innato” come se fosse uno strumento stride, sarebbe come dire che le tue braccia sono strumenti per arare i campi. E vederle in questo modo non è proprio carino, però con le tue braccia puoi imparare a rianimare una persona che sta morendo, il che le renderebbe “strumenti graziosi“. Così come puoi decidere di imparare le azioni di rianimazione puoi anche decidere di migliorare come comunichi con le persone che ti circondano. La qual cosa però è leggermente più complessa e foriera di strane ipotesi.

Se devo migliorare come comunico significa che non so comunicare bene“. Se ci pensiamo ci sta! Insomma se parliamo di miglioramento la cosa indica che prima era peggio, l’idea che si tratti di una sorta di necessità, senza la quale è assurdo cercare di fare qualcosa del genere. Ecco non è proprio così che funzioniamo, ti ricordi la storia del fatto che se non usi qualcosa lo perdi? E’ una massima tipica della fisiologia e delle neuroscienze, la quale indica che se non usi le braccia per troppo tempo rischi di perdere la capacità di farlo. O comunque perdi smalto e abilità se le usi poco o male.

Dato che il linguaggio e la comunicazione servono per entrare in relazione, entrare in risonanza vorrei proporti un altro punto di vista rispetto a quello del “miglioramento” ma quello dell’accordatura e dell’adattamento. Quando cerchi di migliorare qualcosa che già sai fare, si tratta di accordare, di armonizzare, adattare meglio ciò che già sai fare. Se vuoi migliorare nella corsa non devi reimparare da zero a correre, ma di certo dovrai testare il passo, come appoggi i piedi in base al percorso, il tuo grado di stress, come mangi, come dormi ecc.

Dovrai armonizzare, accordare, a volte aggiungere e altre togliere. Non si tratta del semplice crescere di continuo come in una sorta di scalata dove si corre continuamente su un tapir roullant infinito. Questo è un tema a me molto caro, pensiamo che solo due categorie di persone debbano apprendere o restare in allenamento, i giovani e gli anziani: i primi perché ovviamente hanno bisogno di formazione e i secondi per non perdere smalto. E invece è evidente a chi ha provato a migliorarsi in età adulta quanto sia fecondo continuare ad apprendere, a tenere in allenamento se stessi da ogni punto di vista, anche quello della comunicazione.

Si perché comunicare non significa solo saper parlare e mettere in fila delle parole ma significa saper entrare in relazione. E tale scopo non è solo un modo per essere più efficaci ma è la chiave della soddisfazione nella vita. Infatti nessuno può dirsi realmente soddisfatto se non ha almeno una o più relazioni soddisfacenti. Come abbiamo visto diverse volte le relazioni sono croce e delizia, senza di esse non esisteremmo, senza di esse non riusciremmo neanche a godere pienamente delle nostre emozioni (le quali sono nate anche per occuparsi della relazione)…non mi credi? Rispondi alla domanda nel paragrafo successivo.

Relazioni croce e delizia

Pensa all’ultima volta che hai ricevuto una bella notizia, cosa hai fatto subito dopo? Scommetto che lo hai immediatamente condiviso con le persone importanti per te. Se ad esempio si tratta dei tuoi genitori e non erano con te in quel momento probabilmente li hai chiamati o contattati in un qualche modo. E cosa succede se arriva una bruttissima notizia? Idem, cerchiamo qualcuno che ci aiuti a gestire quell’ondata emotiva, cerchiamo parenti e amici con i quali condividere questo pezzo di sofferenza. Le relazioni sono molto di più del semplice interagire, come sostengono alcuni.

Che tu lo voglia o meno le tue interazioni saranno belle piene di questo tipo di auto ed etero regolazione interpersonale. E non conta che tu conosca bene chi ti sta attorno, se per caso sei in treno e davanti a te hai un tizio che piange disperatamente, anche se non ti parla questa scena ti costringerà a sentirti in un certo modo. Lo stesso vale se davanti a te hai un tizio tutto allegro che al telefono racconta ad un amico di aver appena avuto una promozione sul lavoro, anche in quel caso sarai attratto da quei sentimenti ed è possibile che, anche se non ci entri direttamente in relazione, ti facciano sentire in un certo modo (presumibilmente bene, a meno che tu non abbia appena perso il lavoro).

La relazione è fondamentale ma allo stesso tempo è anche una cosa difficile! E’ dalle relazioni che arrivano i problemi che ci fanno soffrire maggiormente e anche le cose che ci fanno gioire di più. Il linguaggio e la comunicazione in generale sono nate con lo scopo di farci entrare in relazione per cooperare, tale stato delle cose non dovremmo mai dimenticarcelo, soprattutto oggi che sembra che lo scopo sia: quello di mostrarsi. Sembra che la comunicazione sia diventata una sorta di nuovo pennacchio evolutivo, un orpello di bellezza che ci serve per mostrarci migliori di quanto non siamo.

Certo una buona comunicazione fa anche questo ma non perché siamo artisti solitari della parola ma perché sappiamo entrare bene in relazione. Conosco persone che a malapena coniugano i verbi correttamente ma che hanno una capacità di relazionarsi che supera quella di dotti dicitori, il che non significa che non si debba studiare e raffinare la lingua ma significa che la comunicazione è molto di più del semplice mettere in fila e in ordine delle belle parole.

Buona comunicazione
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.