Da qualche tempo sappiamo dell’esistenza di un problema che può renderci “ciechi al ritmo“, no non sto parlando di persone che fanno fatica ad andare a tempo ma di gente che proprio non potrà mai riuscirci. Gli stessi ricercatori che hanno fatto questa scoperta si sono chiesti se l’abilità di andare a tempo fosse correlata con la capacità di entrare in relazione, ciò che hanno scoperto è davvero interessante…

Nati per accordarci

Noi siamo nati per accordarci al comportamento altrui, non solo in termini di mimesi ma soprattutto in termine di attenzione. Cioè la nostra attenzione, sin dalla più tenera età è rivolta al comportamento altrui e a come adeguarci ad esso. Non è un caso che alcuni bambini diventino cloni di alcuni gesti che fanno i genitori.

Non so se hai mai visto qualche bimbo molto piccolo in grado di fare complessi movimenti di arti marziali o musicali. In entrambi i casi si tratta di una sorta di istinto di imitazione che ha come base assoluta la capacità di andare a tempo. Per noi accordarci al prossimo, imitarne il ritmo, è qualcosa di naturale e allo stesso tempo imprescindibile.

Non ce ne accorgiamo ma ogni volta che ci sono altri individui intorno a noi ci accordiamo al “ritmo della situazione”. Se siam noi per così dire i padroni di casa, se qualcuno entra in casa nostra, nel nostro negozio, nella nostra azienda o in un nostro campo di conoscenza, tenderà ad accordarsi a noi e viceversa. Ci sono un sacco di studi che lo confermano, soprattutto legati allo status percepito, chi è più in basso tende ad imitare chi è più in alto, cioè si adegua a quel ritmo.

Tutto ha un ritmo, compresa la lettura di questo post, se per caso non fosse nelle tue corde per i termini, la punteggiatura ecc. non proseguiresti con la lettura. Dal mondo della psicoterapia sappiamo che paziente e terapeuta si accordano a tal punto che se monitorati con vari strumenti, leggendo i dati, non si capirebbe chi è l’uno e chi è l’altro. Lo abbiamo fatto soprattutto con le tecniche di ipnosi e meditazione.

Per questi motivi e per altri che eviterò di citare (li trovi qui su Psinel) il fatto che esista una corrispondenza tra capacità di seguire il ritmo e abilità comunicative, NON mi sorprende neanche un po’! E qui dovremmo anche fare un plauso a quelle scuole di comunicazione che nei loro corsi ci facevano fare un sacco di giochetti (apparentemente stupidi) per riuscire a cogliere “il ritmo altrui”.

Un deficit

Lo studio sul ritmo a parte da un deficit, cioè da una sorta di cecità al ritmo. Lascia che spenda due parole su questo tema perché nella crescita personale classica è stato bistrattato: quando ho iniziato a bazzicare in questo campo i miei colleghi non erano visti molto bene (compresi i medici e in generale chiunque si occupasse di cose classiche) e la maggior parte dei fuffa-guru in giro si scagliavano contro l’eccessiva patologizzazione della psicologia.

In parte avevano ragione, e ancora oggi è necessario evitare di usare termini super patologizzanti, tuttavia una cosa che hanno gettato via (insieme al bambino) è stato il fatto che gli avanzamenti della moderna fisiologia, medicina e anche psicologia, sono dovuti allo studio di situazioni estreme, come quelle legate alle patologie. Pensaci, fino a qualche millennio fa alcuni pensatori erano convinti che le funzioni cognitive fossero nel cuore.

Solo vedendo che una persona, dopo aver battuto la testa iniziava “a dare di matto” e mettere in relazione queste due cose, ha consentito di cambiare opinione in merito. La crescita personale classica (per me quella tra gli anni 80 e i primi anni 2000) ha cercato non solo di mettere da un lato i miei colleghi ma anche di usare il tema della “positività” come grimaldello, creando più danni che benefici. Creando un sacco di persone che evitano le cose negative e sono alla costante ricerca del positivo.

E se questa ultima frase ti è suonata come: “e che male c’è” allora significa che purtroppo non hai ancora capito come funzionano le cose. Certo che a nessuno piace soffrire, ovvio che tutti vorremmo ricercare solo le cose piacevoli, ma la vita è leggermente più complessa di così. Ora lanciata questa mega frecciata sul tema della patologia, possiamo tornare a parlare del tema di oggi, il ritmo.

Dunque esistono persone che a quanto pare sono totalmente cieche al ritmo, la cosa sorprendente è che tale cecità non impedisce loro di funzionare adeguatamente. Quindi se da un lato questi studi ci parlano della importanza del saper andare a tempo dall’altro ci dicono che siamo talmente bravi a compensare che la qual cosa non produce enormi danni. Anche se…

Chi sa andare a ritmo entra meglio in relazione

Anche se alcuni di questi individui non si accorgono neanche di essere ciechi al ritmo, quando misuriamo le abilità ritmiche e le correliamo con quelle di comunicazione, c’è una forte corrispondenza (ovviamente non in persone “cieche al ritmo”). In fondo in fondo sappiamo tutti intuitivamente che “il timing” è tutto nella maggior parte delle attività umane: nella cucina, nella presentazione di un discorso, nell’intervenire con una battuta ecc.

Eh no, il timing non è casuale, anche in azioni molto complesse come quelle dello psicoterapeuta. Come puoi immaginare nel mio mestiere si sta in silenzio, si ascolta e di tanto in tanto si pongono domande e si raccontano cose. Il timing con il quale avviene questa sequenza è quasi più importante (anzi senza il “quasi”) della procedura stessa. Proprio come per una battuta di spirito, non conta quanto sia bella ma come viene raccontata.

Lo sappiamo sin da bambini, ti ricordi quando cercavi di chiedere qualcosa ai tuoi genitori, cosa facevi? Innanzi tutto studiavi a chi chiedere ma soprattutto in quale momento chiedere. Certo non vai da tua madre a chiedergli di uscire con gli amici se la vedi arrabbiata, magari mentre sta lavorando, facendo i conti o mentre è al telefono. A meno che tu non sappia che in una di queste vicende è più probabile che ti dia il proprio assenso.

Per me tutto ciò ad un livello “fisico” è facilmente spiegabile, noi non siamo “cose” noi siamo “processi” e in quanto tali abbiamo una continua attività (più o meno ritmica) e ogni processo ha il suo tempo. Tutte le cose che facciamo sono essenzialmente processi e non cose statiche, per tale motivo ogni cosa a cui partecipiamo ha un proprio tempo, che sia scandito dall’ambiente o da ciò che abbiamo concordato (come nei rituali).

Danziamo insieme?

Per me l‘esempio della danza è calzante, siamo costantemente immersi in una danza sia metaforica che concreta: metaforica perché tutto intorno a noi, essendo processo, ha un inizio ed una fine (spesso in modo circolare e non lineare), per tanto “danziamo con le cose”. Danziamo con i nostri impegni, con gli oggetti che ci circondano e anche con i nostri pensieri, se pratichi la meditazione sai di avere una danza di pensieri (spesso molto confusa, almeno la mia).

Danziamo fisicamente tra di noi, come ti raccontavo nella puntata e anche in questo episodio del nostro podcast. Qui trovi l’episodio 177 dove parliamo del concetto di “rapport” e di quanto esso sia effettivamente una sorta di ballo, movimento che è quasi possibile osservare ad occhio nudo. Un esempio molto evidente è il traffico… ti sei mai chiesto come sia possibile? Guarda questo video:

Qui vedi un incrocio ad Addis Abeba in Etiopia, completamente senza alcuna segnaletica, guarda come il comportamento dei guidatori “si adegua” costantemente alla situazione, come una specie di balletto. Che qui può sembrare così pericoloso da apparire più come una lotta che una danza, ma poco cambia, anche nel combattimento “ci si sincronizza” ed il timing è cruciale.

Dunque a vedere questo traffico e ciò che abbiamo detto, sembra quasi che chi non ha “il ritmo” sia spacciato, come fanno queste persone a regolarsi in base al comportamento altrui? Ci riescono perché il ritmo è fondamentale ma ci sono anche altre funzioni essenziali che lo precedono, come la capacità umana di riconoscere i pattern, cioè gli eventi che tendono a ripetersi con regolarità.

Pattern e ritmo

Per riconoscere un pattern è importante “capirne il ritmo” ma non è necessario riuscire a seguirlo in modo perfetto. Immagina di dover comprendere quando una preda esce dalla propria tana, avere senso del ritmo ti sarebbe utile solo in alcuni casi: come quando la preda esce e rientra di continuo e molto velocemente, in tal modo potresti anticiparla al volo “spezzandone il ritmo”.

Ma il fatto che entri ed esca da quel luogo e il collegamento con la possibilità di coglierlo quando è fuori non dipendono dal ritmo ma dalla capacità di fare semplici ragionamenti di “causa-effetto”. Per questo motivo chi è “cieco al ritmo” spesso pensa solo di non avere il senso del tempo e non di avere un deficit profondo che limita il suo vivere.

Perché la funzione essenziale è il riconoscimento di regolarità, certo chi le riconosce con il giusto tempo ha un vantaggio decisivo ma in generale per sopravvivere, basta saper anticipare (anche a grandi linee) il comportamento delle prede e dei predatori. Ciò significa che in un qualche modo una specie di “ritmo” o capacità di notarlo permane anche se in modo molto limitato.

Inoltre c’è “senso del ritmo e senso del ritmo”, cioè se ti faccio ascoltare un brano con un tempo dispari e non sei un musicista, potrai seguirlo fino ad un certo punto. Il che suggerisce che serva una certa esperienza per padroneggiare i vari “tempi che ci circondano”, anche se pensiamo di avere uno spiccato senso del tempo. Servono dati al nostro computer centrale per costruire predizioni efficaci.

Anche l’individuo con maggiore senso del ritmo al mondo, magari formato come batterista, se messo di fronte a tempi non prevedibili e con i quali non ha mai avuto a che fare, può trovarsi in seria difficoltà. In questo caso è possibile che la sua capacità di adattarsi sia più rapida ma avrà anch’egli bisogno di un certo periodo di adattamento.

Danzare la prevedibilità

Essere prevedibili non è solo un modo per adattarsi al prossimo, una modalità di apprendimento come quello vicario (che avviene per osservazione) ma è anche un modo per comunicare all’altro: io sono prevedibile e di conseguenza non devi temermi. Tutto ciò che possiamo prevedere ci da sicurezza, al contrario tutto ciò che non riusciamo a prevedere ci porta tonnellate di preoccupazione.

Tra qualche puntata ci occuperemo proprio di questo in riferimento allo stress, vedremo insieme uno straordinario esperimento che dimostra quanto “nulla sia più stressante del fatto di restare sulle spine”. Cioè se ti dicessi che tra poco ti arriverà una telefonata importante, questo semplice avviso se è poco prevedibile (tra poco quando?) sarà nettamente più stressante del sapere esattamente quando.

Anche se si trattasse di una scossa elettrica, sapere che alle ore 16 prenderai una bella scossa è molto più rasserenante del sapere che prima o poi la prenderai. Questo mi ricorda un gioco della nota serie tv How I Met Your Mother, nella quale i protagonisti saldano i conti con degli “schiaffi a credito”, tu mi hai fatto un torto, allora io ti devo uno schiaffone, ma tu non saprai mai quando te lo darò (inoltre non puoi rispondere).

Questo non sapere tiene tutti sulle spine, in primis il pubblico che guarda e non sa quando il suo amato sta per prendere o dare “lo schiaffone a credito“. Andare a tempo ci rende prevedibili e questo tranquillizza le persone intorno a noi, non tranquillizza solo noi stessi ma anche gli altri e crea un circolo virtuoso potente. Non è un caso che eserciti, rituali e situazioni di gruppo siano spesso caratterizzate da balli, danze e canti da fare tutti insieme.

Insomma la faccenda “del ritmo” è molto più complessa e profonda di quanto ci si possa aspettare, ed è super affascinante esaminarle e osservare come questi studi non facciano altro che confermare ciò che sotto sotto sappiamo da molto tempo. Insomma avrei potuto parlarti ancora per molto soprattutto perché sono passati da poco 30 anni dalla scoperta dei neuroni specchio. Ne parleremo… fammi sapere cosa ne pensi.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.