Non ti piace l’argomento della morte, del lutto? Capisco ma se per caso si tratta di qualcosa che ti da particolarmente fastidio forse, proprio per questo motivo, dovresti seguirmi con attenzione. Nella nostra vita vivremo inevitabilmente uno o più lutti, che sia la perdita del proprio pesce rosso o quella di un partente. Questa è la nostra quinta puntata dedicata al lutto e oggi ci concentriamo su “chi ci sta davvero accanto” in quei momenti e soprattutto, perché ci stanno accanto proprio alcune persone mentre altre no?

La Sindrome di Fight Club

Come abbiamo visto tempo fa per “Sindrome di Fight Club” non intendo una vera patologia ma una sorta di comportamento assurdo che è stato descritto molto bene dall’omonimo film (e romanzo). Una sorta di Ubi maior minor cessat, cioè di fronte a qualcosa di più grande e spaventoso le altre paure svaniscono. Nella narrazione il protagonista si ritrova in una sorta di crisi di mezza età, cerca di migliorare la propria vita comprando cose sulle riviste ma non ci riesce. Un giorno, per puro caso, si ritrova ad assistere ad un gruppo di auto-aiuto per persone affette da cancro, di colpo inizia a sentirsi più calmo e sereno.

Così il nostro protagonista scopre che stare in mezzo a persone che soffrono lo rasserena. Sembra una storia assurda vero? Non credo che sia così assurda e penso che nel momento del lutto diventi particolarmente evidente. E’ una specie di sindrome della crocerossina ma più complessa, mentre qui la persona deve aiutare il prossimo per far stare bene se stesso o se stessa, nel caso che stiamo descrivendo la persona si sente come sollevata dal vedere che anche altre persone soffrono. Anche loro non lo fanno per cattiveria o gusto di vedere la sofferenza negli altri ma lo fanno perché sono come attratte dalla sofferenza, ed infatti c’è una sorta di campanello di allarme molto evidente.

Queste persone amano parlare di disgrazie. E non sto parlando della tua vicina di casa di 80 anni. E’ normale che gli anziani tendano a parlare di disgrazie della salute, dato che ci sono nel bel mezzo, sto parlando di persone che nell’arco della loro vita hanno avuto questa tendenza. Non sono persone pessimiste o negative tuttavia possono sembrarlo dato che, appena hanno l’occasione sembrano attratte dallo scavare nelle disgrazie altrui e proprie. Sono l’estremo opposto di chi vede la morta come una sorta di Elefante nella stanza.

Mentre questi ultimi scappano dalle notizie negative sulla salute fisica, in particolar modo quelle legate alla morte, i soggetti di cui stiamo parlando è come se ne fossero attratti. Come ho già spiegato nella puntata si tratta di una sorta di meccanismo di difesa, in alcuni casi una sorta di tentata soluzione: dato che mi sono spaventato molto parlando di queste cose è bene che io ne parli il più spesso possibile. E nei casi peggiori si tratta di veri e propri traumi, sono persone che hanno vissuto lutti dolorosi da piccoli e continuano ed è come se cercassero di auto-esporsi di continuo a dolori simili per stare meglio.

Ovviamente né chi fugge dalle notizie sulla morte e né chi ci si tuffa appieno esiste al 100%, sono generalizzazioni per mostrare in modo vistoso specifici comportamenti. Nessuno dei due gruppi è totalmente equilibrato, né chi fugge di continuo e neanche chi cerca di affrontare costantemente la questione in modo morboso. Tuttavia durante il lutto, che ognuno di noi prima o poi dovrà vivere nella propria vita, non dobbiamo confondere questo tipo di atteggiamento come un segnale di amore e attenzione nei nostri confronti, altrimenti il rischio è di circondarsi di “vampiri del dolore” e scambiarli per amici!

Un amico ti ascolta

Tra amici di solito non si parla direttamente di queste cose: “sai in caso morisse mia madre ci terrei molto che tu ci fossi al suo funerale”. Alcuni di noi sanno ascoltare e osservare meglio di altri e quindi, magari vedendoci molto accorti per situazioni simili danno per scontato che sia assolutamente necessario essere presenti in situazioni del genere. Altri sono anche espliciti, soprattutto negli ultimi momenti di quella persone, chiedendo alle persone di stagli accanto stanno chiedendo loro anche un certo tipo di vicinanza nel caso la persona morisse.

Purtroppo però non tutte le persone (e gli amici) sanno ascoltare con vera attenzione e non tutti noi sappiamo esprimere richieste di vicinanza in quei momenti. Il risultato? Durante i funerali le relazioni sono in forte pericolo, soprattutto tra gli estremi descritti. Cioè tra chi fugge sempre dalla morte e tra chi “ci sguazza”. Gli eventi del passato che possono portare le persone da un polo all’altro di questa dicotomia (paurosi vs vampiri) non sono di certo una giustificazione ma ho visto troppe volte la gente litigare, rompere ulteriori legami a causa di tale fraintendimento.

Non è una questione di empatia e basta, non è che chi ti sta accanto è più empatico ma è una questione di comunicazione tra le due persone. Se non è mai successo di poter vedere come si comporta quel mio amico in quel contesto specifico non potrò mai immaginare come si comporterà se un giorno accadesse. E di certo, un amico di vecchia data che invece di essere sempre presente mi manda solo un messaggino non è detto che mi voglia meno bene di quello che non vedo da tanto e all’improvviso diventa iper disponibile se non addirittura invadente! Si hai capito bene, ci sono persone che in quei casi diventano davvero invadenti ed è più facile notarlo tra i parenti che tra gli amici.

Parenti che prima frequentavano casa tua ogni 10 anni si piazzano al capezzale del defunto e si comportano come se fossero stati i loro più grandi amici, onestamente questa scena mi da molto più fastidio di chi non si presenta affatto. Ma lo dico solo perché io forse faccio parte più di questo secondo gruppo che non del primo, sono quello che ti manda il messaggio con le condoglianze e ti dice che “ci sarà se ne avrai bisogno” ma poi non mi piazzo a casa dell’amico e, quando ci sono troppi chilometri da fare (come mi è capitato più volte vivendo in Veneto ma essendo cresciuto in Liguria) non mi presento al funerale. Insomma non è mica un matrimonio dove “ci devi essere”… giusto? (dipende).

La soluzione? La responsabilità emotiva

Qui ti ho parlato un milione di volte dell’estrema importanza della responsabilità nella gestione delle emozioni. Cosa significa? Significa che quando emerge una qualche emozione in relazione (e non solo) ci dobbiamo sempre assumere la responsabilità di ciò che stiamo sentendo. Non importa se non è vero che sia causata al 100% da noi ma ciò che conta sapere è che nel momento in cui iniziamo a pensare che sia “causata da altri” perdiamo la capacità di regolare quell’emozione. E più tempo passiamo ad incolpare gli altri per come ci sentiamo e più perdiamo questa abilità auto-regolartoria emotiva, questo è stato visto da sempre come un effetto ma per le mie esperienze è anche una causa.

Molte volte la gente vede il fatto di accusare gli altri come la causa di un dolore emotivo: tu mi hai ferito e ora è colpa tua, è tua responsabilità regolare le mie emozioni. Questo è esattamente ciò che facciamo quando siamo molto piccoli e vogliamo che i nostri care givers si prendano cura di noi, che regolino il nostro modo emotivo al nostro posto. Il che è del tutto plausibile dato che noi non abbiamo ancore le competenze per poterlo fare da soli. Tuttavia è proprio nel momento in cui ci lasciamo andare a questa sorta di pensiero consolatorio che perdiamo il nostro potere personale auto-regolartorio.

Tornando a noi, ai due esemplari immaginari della nostra dicotomia: chi fugge costantemente dal lutto deve assumersi la responsabilità di ciò che prova e di conseguenza cercare di essere maggiormente vicino in quei momenti. Viceversa, chi al contrario si nutre di dolore deve accorgersi che quel suo comportamento è disregolato, cercare di comprendere cosa sta cercando di auto-curarsi. Insomma ognuno si deve assumere la responsabilità delle proprie emozioni e non solo la fase di lutto, ma tutto il mondo funzionerebbe meglio.

Tendendo a mente che ciò non significa evitare di lamentarsi se qualcuno ci tratta male, evitare di ribellarsi se le cose non sono come vogliamo o faci mettere i piedi in testa dagli altri. No, è proprio il contrario, chi sa assumersi la responsabilità del proprio mondo emotivo sa che le variabili che contribuiscono a modificare il suo stato sono moltissime. Non è un semplice credere di essere al centro dell’universo e di conseguenza “io sono l’unico che può agire su se stesso” ma è una sorta di consapevolezza su come funzioniamo che solitamente arriva con la maturità personale.

Colpa e Responsabilità

Infine è fondamentale ricordare che responsabilità non significa colpa! Non significa darsi la colpa ma significa cercare di fare qualcosa per riuscire a farvi fronte, tale spinta, tale senso di agency necessità della assunzione di responsabilità. Per capire meglio il concetto basta tenere a mente che non è solo un concetto ma sono azioni concrete! Agire nonostante quel dolore procurato dalla sensazione negativa, dove per agire non si intende necessariamente fare chissà che cosa. Per il nostro “amante del dolore” sarebbe bene non invadere eccessivamente la vita di chi sta soffrendo e per chi fugge andare un po’ più “verso” quella situazione.

Tante cose nella nostra vita non sono “colpa nostra” ma sono nostra responsabilità. E’ colpa tua il cambiamento climatico? Magari un pochino si ma non del tutto, tuttavia è anche una tua responsabilità. Se uno ti tampona non è di certo colpa tua, però è una tua responsabilità occupartene, anche se perdi tempo ed è frustrante. Pensare in termini di azioni e comportamenti aiuta perché per agire devi in un qualche modo assumerti un pezzo di responsabilità: “Ok sono arrabbiatissimo perché il tizio mi ha tamponato… cosa devo fare adesso? Ok accostiamo, compiliamo il cid e vediamo”.

Certo uno può agire attaccando il prossimo e tante altre brutte cose, ma se sei arrivato a leggere fino a qui sono certo che tu abbia afferrato ciò che intendo. In caso contrario fammelo sapere tra i nostri social, tra i commenti del video che uscirà come sempre il mercoledì alle 18 e nelle nostre live del giovedì mattina.

A presto
Genna

Ti metto qui i precedenti episodi sulla “morte”:

Esiste una vita dopo la morte?

Sconfiggere la morte

Superare il lutto


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.