
Le nostre mani non servono solo per afferrare e fare tutte le cose meravigliose a cui siamo abituati ma ci servono per pensare e comunicare al meglio i nostri pensieri. Ad affermarlo non è la classica ricerca sul “non verbale” ma un insieme di scoperte davvero pazzesche su come il nostro pensiero si evolva attraverso i gesti che facciamo con le mani.
Se non l’hai ancora fatto, ascolta la puntata prima di leggere questo post…
Parlare con le mani
Quando guardi qualsiasi persona parlare vedrai anche le sue mani muoversi… inevitabilmente! Lo so c’è un grossa varietà tra individui tuttavia le ricerche della Susan Goldin-Meadow hanno analizzato questo fenomeno in diverse culture. Tutti muoviamo le mani ed utilizziamo gesti descrittivi che accompagnano le nostre parole e lo facciamo da prima di proferire qualsiasi sillaba. Gli studi a cui si fa più riferimento infatti riguardano i bambini e come si sviluppa il linguaggio. In particolare la professoressa ha analizzato come tale modo di “parlare” non sia solo un abbozzo di qualcosa ma possa essere un “linguaggio da cui si sviluppa il linguaggio”.
Come ha fatto a capirlo? Analizzando come i bambini sordi riescano ad inventarsi un proprio modo di comunicare, attraverso i gesti, completamente da zero. Cioè non si tratta né dell’imitazione di ciò che hanno visto (genitori, fratelli e compagni di classe udenti) e neanche di un abbozzo linguistico simile al nostro, insomma parlano una lingua con le mani. Una lingua completa (per la loro età) che fa ipotizzare che il movimento delle mani non sia solo un facilitatore dell’acquisizione linguistica ma ne sia una sorta di base somatica. In altre parole noi impariamo a parlare con le mani e attraverso le mani.
In tale accezione di cognizione incarnata ci mostra che quei movimenti che facciamo con le mani non siano solo una sorta di aggiunta al linguaggio ma un modo di comunicare vero e proprio. Il che ci conduce a considerare con maggiore forza quei gesti in entrambe le direzioni. Questo è tipico del non verbale, cioè conosciamo la circolarità della psicologia, il che implica che non solo ridiamo quando stiamo bene ma se ridiamo (anche se non stiamo bene) possiamo aumentare la probabilità di sentirci meglio. Ma stiamo attenti perché tutto ciò non accade per un “come se” ma accade per motivi legati a questa cognizione incarnata.
Credo che questo passaggio richieda un pizzico di riflessione in più. Da anni parliamo del fatto che se vogliamo sentirci bene sarebbe opportuno assumere posizioni fisiche che facilitino tutto ciò, evitare di stare troppo chiusi, con lo sguardo basso e le spalle tese ecc. Sappiamo che tutto ciò ha un effetto di feeback (o retro feedback) che aumenta realmente la nostra predisposizione a fare meglio le cose. Tuttavia dobbiamo stare attenti ad alcuni piccoli passaggi: il primo è che questo retro feedback di certo influisce ma non così tanto come credevamo (basta andare a vedere gli studi che criticano le “power position” di Amy Cuddy).
In altre parole è vero che metterti in una posizione di apertura e di forza ti fa sentire meglio ma non è detto che questa postura da sola basti. Cioè se sei troppo teso prima di parlare in pubblico, anche se ti metti in una posizione propizia se non hai fatto un certo lavoro personale è possibile che quell’azione non ti serva a molto. Certo, lo ripeto, ti serve ma non dovremmo confondere un effetto che aumenta la probabilità che qualcosa accada con una soluzione assoluta. Lo so che tu che mi leggi non fai tali confusioni ma posso assicurarti che là fuori è zeppo di persone che fanno tale miscuglio psicologico.
Come se
Abbiamo visto diverse volte il tema del “come se”, in altre parole se ti comporti “come se avessi già una certa abilità” faciliti la sua emersione e apprendimento. Tornando alla paura di parlare in pubblico si potrebbe dire ad una persona di comportarsi come se fosse già stata migliaia di volte sul palco, anche se non è così. Ecco questo è il problema, in ambito clinico usiamo da anni questa tecnica e sai cosa abbiamo scoperto? Che funziona benissimo solo dopo che una persona ha già fatto un bel pezzo di percorso personale, cioè quando realmente ha superato in parte le proprie paure del palco.
Faccio un esempio semplice e super esplicativo (spero): se suoni la chitarra o un qualsiasi altro strumento da 3 mesi è molto probabile che tu non sia già capace di fare grandi cose, in questo caso comportarti come se fossi già un grande musicista non ti aiuterebbe affatto. Anzi è possibile che immaginare di essere già bravo ti conduca ad esercitarti di meno (nel migliore dei casi) oppure addirittura salire su un palco convinto di fare una buona prestazione che in realtà risulterà pessima agli occhi di chi ti vede e ascolta (situazione peggiore).
Se invece, tu sai già suonare, hai già esperienza del palco ma per qualche motivo ti senti poco sicuro, sentire e immaginare di comportarti come se fossi il più grande musicista della storia può realmente aiutarti. Cioè dirti questa piccola bugia aiuta solo se hai davvero già delle abilità mentre se non le possiedi rischia solo di farti illudere. Forse ti starai chiedendo cosa centri tutto questo con i gesti delle mani, centra perché la gente confonde i consigli sul non verbale come consigli sul “come se”. Della serie: gesticola come se fossi un grande comunicatore e vedrai che comunicherai meglio.
Ciò che ho raccontato vale anche per i gesti delle mani, che hanno qualche probabilità in più di essere efficaci (a causa di ciò che abbiamo visto nella puntata, cioè che si tratta di un vero proto-linguaggio) ma di certo non ti renderanno un super comunicatore semplicemente perché ti convinci che le cose stiano così. Al contrario però delle posizioni di potere della Cuddy le mani sono davvero legate a doppia mandata con il nostro pensiero, dunque la prima cosa da fare è cambiare leggermente prospettiva: usiamo le mani per diventare consapevoli di come abbiamo la tendenza a comunicare.
Consapevolezza significa cercare di notare come e quanto muoviamo le mani, come e quanto le muovono i nostri interlocutori. Ma non perché pensiamo che siano gesti magici che ipnotizzano chi ci guarda ma perché vogliamo capire come quei gesti ci facciano aumentare l’efficacia del nostro modo di comunicare: migliora la mia fluenza verbale se lascio andare un po’ le mani? Migliora il mio modo di ragionare se lascio che le mie mani possano gesticolare senza curarmi di chi mi guarda? Queste sono le domande per iniziare a comprendere meglio l’effetto di queste scoperte.
L’aspetto tecnico
Certamente l’aspetto tecnico è sempre utile: cercare di avere una postura aperta e rilassata, mostrando i palmi della mani e cercando di essere armonici mentre siamo su un palco aumenta di certo la nostra potenza comunicativa. Ma dobbiamo stare attenti perché da sole queste cose non bastano, ci aiutano ma non bastano, sarebbe come imparare una buona posizione di guardia e immaginare di poter combattere in un ring senza aver affinato le schivate, il movimento dei piedi, la nostra resistenza cardiaca, i pugni, i calci e le strategie in piedi o a terra. Insomma c’è un sacco di altra roba da studiare.
Amo chiamare questa faccenda: il bias dello specchietto. Quando ero un ragazzino volevo far andare fortissimo il mio scooter, così cercavo tutte le cose che mi consentissero di farlo. Tuttavia le cose più importanti, cambiare il motore, il carburatore ecc. erano costose e difficili. Così mi concentravo su cose come l’aereodinamica, cambiare lo specchietto? Alleggerire lo scooter? Di certo facevano guadagnare un po’ di velocità ma di certo nulla di comparabile rispetto a cambiare il motore. Ecco nella nostra crescita personale tendiamo a fare così: cerchiamo di cambiare gli specchietti invece che il motore.
E lo facciamo perché il nostro cervello è pigro: meglio cercare l’ultima tecnica per convincere le persone che lavorare su come ci sentiamo in relazione, sulle nostre emozioni, su come siamo capaci di gestire lo stress, ecc. E’ la stessa cosa che capita per la forma fisica: quante volte ti è successo di notare che alcune persone che vogliono restare in forma (senza riuscirci) sono le prime a comprare “le ultime barrette dimagranti”, l’integratore che assorbe i grassi, a mangiare quel cibo particolare che dovrebbe far perdere peso… ma scavando in fondo noti che nonostante tutto ciò non seguono una vera dieta?
Queste persone evitano la cosa più difficile e dolorosa, cioè che per perdere peso è necessario il deficit calorico (mangiare meno di quanto consumi) e si tuffano su cibi esotici, ritrovati miracolosi, invece di fare la cosa apparentemente più semplice: mangiare meno. Ecco questa cosa la facciamo tutti in un qualche modo e in un qualche ambito, anche nella comunicazione efficace, per questo scommetto che molte persone avranno già smesso di leggere questo post quando hanno capito che non spiego come interpretare questi segnali, o il fatto che muovere le mani in un certo modo ci rende irresistibili ecc.
Probabilità
Cambiare gli specchietti, la marmitta, le gomme e altri aspetti periferici aumentano la probabilità che il motorino vada più forte? Si sicuramente ma sono tutte cose che andrebbero migliorate dopo esseri occupati degli aspetti più grandi. Ecco i gesti non verbali di solito sembrano ricadere in queste categorie, ma a quanto pare i gesti delle mani sono più di semplici specchietti! Ho usato questa analogia per tornare all’ipotesi principale: se è vero che impariamo a parlare con le mani e che esse ci consentono anche di sviluppare un tipo di linguaggio unico e che se le blocchiamo pensiamo peggio… beh allora sono più di semplici aggiustamenti periferici.
In realtà ti basta osservare per capirlo, no non ti sto invitando a fare l’investigatore del non verbale e fissare le mani delle persone (anche se potrebbe essere utile) ma semplicemente ad osservare quanto tendiamo a parlare con le mani senza neanche rendercene conto. Si perché mentre sappiamo che le persone tendono a guardarci in faccia per capire cosa stiamo pensando, in modo particolare gli occhi, tendiamo a dimenticarci quasi totalmente del valore di questi piccoli gesti con le mani. Lascia che ti racconti una storia in proposito…
Se mi segui da un po’ di tempo sai cosa ne penso della esagerata attenzione alla comunicazione non verbale, cioè alla falsa sicurezza che alcune persone affermano di avere nel saper interpretare alcuni segnali del corpo. Un giorno mi ritrovo nella stessa stanza con uno dei massimi esperti di questo ambito (non ti dico il nome anche se sono certo che tu sappia di chi sto parlando, no non è italiano). Lui si concentra soprattutto sul cercare di veicolare una immagine potente agli occhi degli altri, per tanto racconta spesso di come cerchi di evitare di stare con le braccia conserte o di fare gesti di scarico emotivo (toccamenti del volto ecc.).
Tuttavia sia io che altri miei colleghi ci siamo accorti che aveva una sorta di movimento continuo delle mani, al punto tale che alcuni si sono chiesti se non avesse una qualche problematica neurologica (tic, tourette, ecc.). Ora lasciami dire che se devi fare un colloquio di lavoro o qualsiasi altra prestazione nella quale vieni giudicato in poco tempo, seguire i consigli di restare aperti, o quelli che abbiamo visto in molte puntate, va benissimo! Il problema sorge quando cerchiamo sempre di mostrare agli altri che siamo forti e sicuri.
Cioè quei gesti aumentano la probabilità che tu possa essere percepito come tale. Tuttavia come dicono gli studi presentati oggi a volte ci concentriamo su cose che ci appaiono rilevanti (gli specchietti) quando in realtà altre potrebbero esserlo di più, come ad esempio come muoviamo le mani. Cosa che chiunque sia salito su un palco si chiede “e ora dove metto ste cavolo di mani?”. Quindi allenarsi a veicolare la parte migliore di noi è un ottimo esercizio, così come lo è il guardare il non verbale altrui, l’importante è evitare due trappole.
Le due trappole del non verbale
La prima trappola consiste nel credere di poter leggere la mente altrui (detto bias della trasparenza). Lo so sembrerà strano ma per come siamo fatti siamo fortemente portati a pensare di poter interpretare gli stati interni delle persone che ci circondano, e ti dirò di più, non possiamo farne a meno. Dopo pochi istanti ci creiamo una impressione di chi abbiamo di fronte e dopo poco ci illudiamo di poterla capire molto di più di quanto realmente stiamo facendo. Ecco questa tendenza viene a volte peggiorata dallo studio dei segnali non verbali NON migliorata!
Si hai capito bene, anche quando facciamo una formazione seria (come quella di Ekman) è possibile che tali conoscenze non ci rendano più bravi a comunicare ma meno bravi, come mai? Perché una volta che pensiamo di aver capito certe cose smettiamo di fare la cosa più importante di tutte nella comunicazione: continuare ad osservare i feedback e regolarci in base ad essi. Come sappiamo bene il nostro cervello è pigro, una volta che dice: “ok ho capito a questo tizio sto antipatico, ho appena visto due segnali di disgusto” ecco che smettiamo di osservare altro.
Quindi imparare queste cose fa bene solo se le usiamo come indicatori e non segnali assoluti e solo se sappiamo che la nostra mente ha tutte queste tendenze (la teoria della mente che costruiamo e la pigrizia nel non volersi aggiornare, la quale ci porta a voler verificare e non confutare la nostra ipotesi di partenza). Su Psinel ne abbiamo parlato davvero un sacco di volte, ma so che ormai il web assomiglia più ad un fiume (dove gli utenti scorrono) piuttosto che ad un laghetto (dove si fermano).
La seconda trappola consiste nel voler dare sempre la migliore impressione. Come abbiamo già detto, se dobbiamo fare un colloquio di lavoro o dare il meglio di noi va bene seguire tutte le regole su questo tema. Ma se invece dobbiamo farlo sempre perché altrimenti non ci sentiamo bene, perché pensiamo che la gente intorno a noi (soprattutto persone che già conosciamo) debbano sempre vederci come aperti, forti ed intelligenti… allora questo è un problema!
Ok magari ne parliamo in un prossimo episodio…
A presto
Genna