Hai mai sentito dire che con un coltello ci puoi sbucciare una mela o uccidere una persona? Questa visione ci dice che gli strumenti di per se sono innocui, dipende da come li utilizzi. Ecco, anche se questa faccenda non è del tutto vera mi aiuta ad introdurre il tema di oggi: non tutti sanno che se utilizzi male migliori tecniche e pratiche di crescita personale non solo non funzionano ma posso addirittura essere dannose. Oggi ti mostro quali sono gli errori principali e come prevenirli e soprattutto, come usare qualsiasi metodo per migliorarsi, anche se non serve a quello scopo preciso…

La versione semplice

La versione più semplice dell’episodio di oggi suona più o meno così: se usi uno strumento di crescita personale per scappare via dal dolore della vita molto probabilmente esso si rivolterà contro di te. La questione così suona lineare ma non la è per niente: dopo tutto molte persone imparano tecniche come la meditazione proprio perché stanno soffrendo, quindi? La verità è che la maggior parte delle persone che propongono tali metodi sfruttano la sofferenza altrui e si dimenticano di dire una delle cose più vere (ma di poco appeale) cioè che la maggior parte di questi interventi sono più simili ad allenamenti che a rimedi!

In altre parole se sei una persona allenata a fare quella cosa, come la meditazione, allora potrai usare questa pratica anche quando sei giù. Ma stiamo attenti, non è che meditiamo con l’intento di superare quel momento ma lo facciamo perché abbiamo già una routine e ci siamo allenati quando stavamo (più o meno) bene. Invece di solito cosa fa la gente? Magari acquista un corso o una bella App come Clarity per meditare, magari ci gioca qualche settimana e poi abbandona. Poi in un brutto giorno accade qualcosa e si vuole correre ai ripari, cosa si fa? Beh facile, riprendiamo in mano la meditazione, sicuramente ci farà bene farla, lo dicono tutti!

Per usare una classica analogia sarebbe come andare in palestra per 2 settimane, imparare a fare uno squot con dei pesi. Poi ci si ferma ma un brutto giorno ci si blocca con la schiena, allora si va sul web e lì ci troviamo qualche genio che ci consiglia proprio di rafforzare la schiena con quell’esercizio. Torniamo in palestra, alziamo i nostri pesi e ci spezziamo in due! Per usare un esempio concreto, qualche giorno fa una signora, traendo spunto da alcuni consigli sull’ansia che avevo dato in passato mi scrive: li ho provati tutti in questi giorni ma nessuno ha davvero funzionato, perché?

Ed io le ho risposto: “perché doveva allenarsi prima”. Sembra una provocazione ma non la è. Allora la domanda che sorge subito dopo è: scusa ma i tuoi colleghi allora come fanno a trattare una persona in fase acuta? Beh dipende quanto acuta non la trattano ma si limitano a creare quelle condizioni che consentano alla coppia terapautica di proseguire poi ad eventuali interventi diretti. Al punto tale, cari ragazzi, che se il paziente sta eccessivamente male il mio collega (lo psicologo) spesso li invia dallo psichiatra per poter assumere dei farmaci. Perché se la sofferenza è troppo alta difficilmente si riesce a lavorare a livello psicologico!

Sì esistono anche tecniche senza farmaci e a volte funzionano ma sono pratiche che vanno fatte con un professionista. Ecco una bella notizia in mezzo a questo tema che sembra così difficile: la maggior parte delle pratiche che ci allenano possiamo applicarle anche in autonomia, sono una sorta di self-help preventivo. Attenzione non ho detto che le impari da solo, sempre meglio rivolgerci a professionisti seri nel campo ma ho detto che puoi applicarle da solo, il che è meraviglioso da un lato e deprimente dall’altro. Lasciate che mi spieghi meglio…

Self-Help Preventivo

Perché è deprimente? Perché nella mia esperienza di psicoterapeuta ho conosciuto poche persone desiderose di auto-aiutarsi. Certo ne ho conosciute tante ma posso tranquillamente lanciarmi in una stima, direi che su 10 persone che si recavano nel mio studio 2 o massimo 3 avevano questo approccio. Poi nel tempo, a furia di pubblicare cose online sono arrivate sempre più persone con questo piglio, ed ecco che le cose sono iniziate a cambiare per il meglio. Si, una persona che sappia di dover lavorare su se stessa o che addirittura lo abbia già fatto in un qualche modo, è molto più facile da convincere a fare gli esercizi. E guarda caso queste persone erano quelle che avevano poco bisogno della mia presenza.

Sono quei meravigliosi pazienti che non hanno bisogno di venire tutte le settimane in studio. Attenzione, anche queste persone nelle cattive condizioni possono avere crolli e dunque avere bisogno di maggiore supporto ma sono anche persone che, per dirla in altre parole: hanno imparato a prendersi cura della propria salute mentale. Attenzione però, perché queste distinzioni non spiegano il fenomeno di cui stiamo parlando, di certo questi individui sono stati più facili da aiutare, anche quando stavano peggio, cioè a parità di sofferenza psichica. Tuttavia, proprio il desiderio di “auto-aiuto” li ha condotti ad auto ingannarsi.

Torniamo al nostro tema dell’evitamento: qualsiasi pratica usata per scappare via da qualcosa di importante per noi può diventare un boomerang. Vedi li problema dell’evitamento è che ha una conseguenza, momentanea e positiva sul tuo stato interno. Facciamo un esempio: hai paura di affrontare un amico alla cena di classe delle elementari e decidi di non andarci. Questa decisione ti farà stare subito bene perché non dovrai appunto vedere quella persona ma nel lungo andare ti butterà ancora più giù, confermando a te stesso che, pur di non soffrire un po’ ti sei perso una gran bella serata con gli amici.

L’evitamento dato dagli esercizi può avere un effetto simile: qualcuno ti spiega che se fai molte visualizzazioni positive magari accompagnate anche da farsi ripetute positive (ogni giorno divento sempre più sereno e tranquillo) può aiutarti a calmarti. Se lo usi come esercizio funziona ma se lo usi per tirarti su il morale, per prima cosa ti farà subito sentire bene, proprio come il non andare alla festa ma poi, con il proseguire dell’esercizio potrebbe non solo smetterla di funzionare ma farti sentire peggio. Nel tentativo di non sentirti in un certo modo inizi proprio a sentirti in quel modo e questo genera un “errore di previsione negativo” che può peggiorare lo stato di salute iniziale.

Mescoliamo un po’ le carte: per farlo ti racconterò la storia di un mio vecchio paziente ma ti avviso cambierò praticamente ogni elemento auto-biografico per evitare che vi possa essere un qualsiasi tipo di riconoscimento diretto. E’ bene che te lo dica perché la storia potrebbe assumere dei toni quasi divertenti e buffi… e no non è stato il caso nella realtà, mi serve solo come stratagemma narrativo per rendere la storia maggiormente esplicativa. Detto questo, iniziamo…

Usiamo il tuo strumento

Qualche tempo fa è entrato nel mio studio un giovane ragazzo di successo. Aveva passato almeno 15 minuti a raccontarmi come era riuscito a diventare una persona ricca e stimata nella sua zona, purtroppo però negli ultimi tempi, quello che lui vedeva come un suo piccolo problema si era allargato fino a mettere a repentaglio la sua carriera. In pratica mi racconta che molto del suo lavoro avviene nei locali notturni, i quali però ultimamente avevano iniziato a fargli provare una forte ansia, fino a decidere di lasciare il lavoro (o quasi).

Tra le prime manovre che ho fatto con lui c’è stata la classica ricerca della tentata soluzione (modalità tipica dell’approccio strategico che ti ricordo in Italia è portato avanti dal prof. Nardone) in pratica gli ho chiesto: “come hai fatto fino ad ora a gestire la situazione? Puoi spiegarmi nel dettaglio?” così è partito narrandomi di una sua tecnica di distrazione potente, e devo ammettere anche affascinante. Essendo un appassionato di matematica di base aveva iniziato a capire che, se durante i suoi attacchi si metteva a fare specifiche operazioni aritmetiche si distraeva a tal punto da farsi passare l’ansia (o quasi).

Ovviamente come puoi immaginare si tratta di un evitamento grande come una casa, non c’è bisogno di essere dei miei colleghi per immaginare gli effetti negativi di una manovra del genere. Ed è stato proprio ciò che è accaduto: il ragazzo all’inizio doveva fare solo qualche calcolo e per pochi minuti, ma nel tempo la cosa è diventata sempre più complessa fino a fare decine di calcoli e per quasi l’intera durata della serata. Al punto tale che scappava in bagno solo per smetterla di contare o si riempiva di alcol fino a quando non gli era più possibile farlo. (Per fortuna la via dell’alcol non era la più frequentata e ne era giustamente spaventato).

Ho provato vari metodi, tutti hanno avuto effetto ma quello che lo ha aiutato più di tutti è stato fatto più o meno così: “non voglio che tu smetta di contare, dopotutto fino ad ora ti ha consentito di lavorare magari con più fatica ma ti ha aiutato, vorrei solo aiutarti a farlo meglio. Vorrei che oltre a distrarti con i numeri (aveva una sequenza precisa) inserissi tra una strategia e l’altra 5 minuti di libertà dove ti lasci prendere dall’ansia”. Caro lettore è bene che tu sappia che qui mancano molti pezzi della nostra terapia, quindi quello che sto per descrivere non è un rimedio per l’ansia che funziona per tutti.

Cosa è successo? Il compito era talmente noioso che accadevano due cose strane: la prima era che a volte non iniziava neanche a farlo, perché era troppo dispendioso dover calcolare quanti conti fare e poi fermarsi ad ogni sveglia (che appuntavamo sul suo orologio) poi, succedeva qualcosa di strano. Quando si dava i 5 minuti di libertà a volte si dimenticava di tornare alla sua strategia del conteggio, il che gli consentiva quasi di dimenticarsi durante la serata del suo problema. So che in molti state immaginando che questa persona facesse tipo il barman o il camerire, no il suo era un ruolo molto particolare, diciamo che “osservava l’andamento della serata”. (non posso specificare per motivi di privacy).

L’esempio paradigmatico della rabbia

Se per caso hai letto “Restare in piedi tra le onde” sai che ho inserito una tecnica per la rabbia esplosiva molto particolare: una pausa. Qualcosa che visto da fuori sembra un vero e proprio evitamento con i fiocchi: se qualcuno ti fa davvero uscire dai gangheri (cioè dalla tua finestra di tolleranza) e senti di non riuscire più a parlare perché altrimenti esploderesti (o sei già esploso) una delle tecniche che si possono fare è quella di allontanarsi momentaneamente. Magari fingendo una telefonata, auto regolarsi e poi tornare parlare con quella persona.

Sì, è un evitamento, una piccola pausa che se protratta diventa dannosa. Cioè se dopo scappi via ecco che diventa un classico modo di evitare, il che nel lungo periodo ti rende sempre meno capace di gestire le tue emozioni. Ma se ritorni, sapendo che dovrai regolare meglio la tua emozione ecco che questa pausa può diventare molto istruttiva e nel lungo andare, trasformarsi in una tecnica efficace. E’ un po’ come prendersi 2 o 3 minuti di pausa dopo un esercizio stancante, sapendo che però, per ottenere il massimo da quella serie è necessario tornare a pompare di butto. La pausa, tecnicamente il recupero, diventa così parte integrante dell’allenamento.

Quand’è dunque che diventa un evitamento? In 2 condizioni precise: quando non torniamo e quando lo facciamo senza consapevolezza, cioè scappiamo senza sapere che stiamo scappando. Semplicemente iniziamo a dire che è meglio non parlare con tizio, oppure che si starebbe meglio in un altro locale ecc. Quindi la chiave è consapevolezza e notare come evitiamo per cercare poi di affrontare, ognuno alla propria velocità quelle situazioni spiacevoli. Ancora, ancora e ancora… ora se mi segui da tanto tempo queste cose già le conosci in un qualche modo ma è importante ripeterle.

Io sono il primo a non rendermi conto dei miei evitamenti, dei miei tentativi di controllo su cose che non posso controllare e so che tra chi mi segue c’è tanta gente simile a me. Non è una cosa di esclusivo appannaggio di chi sta soffrendo, perché a nessuno piace soffrire e il nostro cervello molto più simile di quanto ci piaccia pensare… insomma siamo tutti nella stessa barca, chi più e chi meno, spero che questi meccanismi psicologici aiutino le persone a comprendere che spesso non sono gli strumenti ma come li utilizziamo…

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.