Le Olimpiadi di Parigi 2024 si sono concluse da poco, è successo ogni genere di cosa: dalla nostra connazionale felice di essere arrivata quarta alla vittoria in campo di vecchie glorie vs i giovani leoni. Lo sport ci mostra come sempre aspetti della nostra mente molto affascinanti, perché in grado di rivelare, attraverso la sua disciplina come funzioniamo in contesti di alto stress ed alte prestazioni. Inoltre c’è una piccola nota biografica che però non ho detto praticamente a nessuno…

Nella mente degli olimpionici e di tutti gli organismi viventi

Noi psicologi siamo meno in vista dei coach, perché mentre molti mental coach appaiono sulle pagine dei giornali quando i loro atleti vincono, lo stesso non capita ai miei colleghi. Nonostante siamo chiamati praticamente a fare le stesse cose (si posso assicurartelo, anche tu la dietro che pensi il contrario) purtroppo il tema dello “psicologo” è ancora tabù per molti. Ti racconto questo perché a competere (e anche a vincere alla grande) erano in campo più di un mio cliente, questo non lo dico per vantarmi ma per avere quel minimo di credito prima di parlarti di cosa ci potrebbe essere “nella mente di un atleta olimpico”, non si tratta di mie idee ma di ciò che ho osservato con i miei occhi da (molto) vicino!

Quindi tralasciando il mio ego che non può sbandierare le sue medaglie devi sapere che i meccanismi di cui abbiamo appena discusso nella puntata sono presenti in ogni azione umana. Anche perché, come al solito, hanno qualcosa a che vedere con la nostra evoluzione: immagina di essere un cacciatore-raccoglitore e, nonostante tutti i tuoi sforzi nel tentativo di catturare una preda (o raggiungere un frutto succoso) continui a fallire. Di certo, se fosse l’unica fonte di cibo la intorno non ti arrenderesti troppo facilmente, ma dato che di fonti di cibo è zeppo il mondo (o per lo meno deduciamo che lo fosse in passato) allora tanto vale desistere e cercare altro.

Al giorno d’oggi se raccontassi a qualcuno che non sono riuscito ad entrare in un supermercato per procurarmi del cibo di certo la gente penserebbe che abbia qualche problema (e in effetti potrebbe essere dato che non si tratta di un compito così complesso). Tuttavia anche millenni fa, se avessi continuamente fallito nel procurare il cibo la gente avrebbe pensato male di te, anche perché se non riuscivi a fare il tuo compito nel clan la pena sarebbe stato l’ostracismo e l’allontanamento dal gruppo. Tuttavia non si tratta di un meccanismo legato esclusivamente al fallimento, ma anche al successo, anzi forse è più collegato al successo che all’insuccesso, lascia che mi spieghi meglio:

Riuscire in una certa impresa crea dentro di noi fiducia per l’impresa successiva, è un meccanismo abbastanza semplice. Immagina un piccolo animale che cerca di capire se riesce a trovare cibo in un territorio sconosciuto, il primo giorno esplora tutto il lato ovest del territorio e ne trova un po’, il fatto di averne trovato lo motiva a proseguire in quella direzione. Una volta che l’esplorazione l’avrà portato a mappare tutto il lato ovest si sposterà su altri lati e avanti così. Se ci pensiamo si tratta davvero di meccanismi base della vita, non appartengono solo a noi esseri umani.

Immagino che il collegamento con la “mente dell’atleta” possa non essere così diretto ma anche questo è abbastanza semplice. Si tratta di meccanismi fisiologici del nostro corpo, se non mi credi prendi un’azione che non hai mai fatto e che pensavi di non saper fare, non so come ad esempio correre per lunghe distanze. Inizia da oggi a correre 1 chilometro tutti i giorni, prima o poi il tuo corpo si adatterà e fare 2 chilometri non sarà difficile e tra qualche mese sarà facilissimo fare 5 chilometri e avanti così. E’ un processo di adattamento fisiologico che purtroppo avviene anche al contrario, smetti di correre per mesi o anni e tornerai a faticare anche solo a fare 500 metri a piedi.

Perché il mindset nello sport?

Hai mai conosciuto due grandi campioni di una certa disciplina? Facciamo un esempio tra il numero 50 di una certa classifica mondiale ed il numero 60 pensi che ci siano davvero 10 punti di differenza in abilità? La risposta è no, entrambi sanno fare molto bene tutto ciò che è necessario saper fare per essere bravi e vincenti nella propria disciplina. Quando vengono intervistati i vari campioni nelle discipline di endurance (maratone, triatlon, ecc.) la maggior parte di essi non ti parlerà mai di “cilindrata del motore” ma di come esso viene sfruttato dall’atleta.

Ho presto questo esempio dal bel libro di Pietro Trabucchi “Resisto dunque sono” nel quale il collega ci racconta che, nonostante oggi si facciano selezioni per gli atleti a partire dal loro “fisico di base” in realtà a fare la differenza in questo tipo di sport è quasi sempre l’atteggiamento mentale. Ciò non significa che se non sei allenato puoi correre come loro, ma significa che a parità di allenamento e anche di costituzione fisica ciò che fa la differenza è molto spesso la gestione della propria testa. Di come riescono a superare i momenti difficili, le battute di arresto, gli imprevisti, il fatto che il clima non sia come se lo aspettavano ecc.

Trabucchi dice che a parità di cilindrata la differenza sta nella testa. Di certo il numero 1 al mondo non sa giocare tecnicamente meglio del numero 10, di certo avrà delle qualità particolari che lo hanno portato al primo posto ma da ciò che sembra di evincere tali qualità non appartengono più al solo allenamento tecnico ma soprattutto ad un allenamento mentale. Ecco perché oggi si parla molto di mental training (a proposito se vuoi sapere come funziona quello vero ascolta questo nostro episodio sulla visulizzazione). Inoltre lo sport è davvero un banco di prova incredibile perché si tratta di una vera e propria simulazione di vita!

Così come abbiamo visto che il gioco in tutti gli animali (compresi noi Sapiens) è una simulazione di ciò che accadrà nella vita, una sorta di allenamento alla lotta, alla caccia, alla collaborazione ecc. Allo stesso modo lo sport è una sorta di gioco standardizzato che ci aiuta ad osservare molto bene come funziona, sia il nostro corpo ma anche la nostra mente in azione. Quando due fighter professionisti si scontrano nella gabbia (uno dei miei sport preferiti è l’MMA) le loro reazioni fisiologiche sono pressoché identiche ad un reale scontro per strada. Certo magari sono attivati meno perché per strada è meno prevedibile (il tizio può avere un coltello, rompere una bottiglia, avere dei complici ecc.) ma il corpo reagisce più o meno allo stesso modo.

Gioco e sport sono quindi due banchi di prova di come funzioniamo, ma mentre il gioco è vissuto spesso con spensieratezza lo sport mette in campo diversi aspetti della vita reale: la tensione, l’aspettativa, la paura di perdere, il timore del giudizio ecc. Tutto ciò fa si che spesso gli aspetti mentali possano divenire decisivi durante una prestazione sportiva. La capacità di un pugile di non arrabbiarsi potrebbe aiutarlo a superare alcune lacune tecniche che l’avversario invece padroneggia bene. La determinazione nel proseguire nonostante quel dolore alla gamba durante una maratona può a volte avere più a che fare con il nostro modo di valutare congitivamente la situazione piuttosto che con un reale danno all’arto ecc.

La speranza

Il tema dell’incapacità appresa, di cui ci siamo occupati davvero fin troppe volte su questo blog ha a che fare con il termine “speranza”, il quale negli ultimi anni ha subito alcuni attacchi di alto livello. In particolare faccio riferimento allo stimato prof. Umberto Galimberti il quale ci racconta da un po’ di tempo che si tratterebbe di una categoria cristiana con la quale noi facciamo i conti perché il cristianesimo è incastonato nella nostra cultura. Sono d’accordo con il prof. sul tema della cultura tuttavia non sono d’accordo con il fatto che la speranza sia cristiana perché credo sia invece il motore generale della vita umana.

Pensaci, noi esseri umani abbiamo la capacità di riuscire a dilazionare il piacere immediato in vista di qualcosa di cui raccoglieremo i frutti fra mesi se non tra anni. Pianto un seme oggi e immagino che domani avrò dei frutti da mangiare, pianto degli alberi oggi alla cui ombra so che non mi siederò, affermavano gli antichi greci (tanto amati dal prof.). E se lavoro affinché i miei figli un giorno potranno sedersi all’ombra di quegli alberi è perché: spero che crescano sia gli alberi che ho piantato e sia i miei figli. E mi auguro che tali sforzi possano migliorare la loro vita. Tutto ciò si può riassumere nel termine: speranza!

Poi sicuramente il prof. avrebbe un vocabolo migliore e più antico per indicarlo ma secondo me si tratta di distinzioni sottili che non ci aiutano. Sperare non significa aspettarsi ciecamente il meglio ma significa avere aspettative positive nei confronti delle nostre azioni, il che sappiamo psicologicamente avere molti vantaggi per la nostra motivazione e per molte altre cose. Diversi studi dimostrano che quando diciamo alle persone che sono “padrone del proprio destino” questo aumenta il loro grado di restitenza agli stressor della vita e non solo…

Ok povero Galimberti, lui è contrario al fatto che ci si aspetti sempre il meglio, una sorta di pensiero positivo cristiano. Tuttavia la gente che guarda i suoi video potrebbe mal interpretare quell’accanimento nei confronti del tema della speranza che è essenzialmente ciò che ci fa alzare al mattino (o almeno mi auguro che sia anche questo a farci alzare). Mi sono un po’ perso in questo discorso perché so che chi arriva a leggere fino a qui i miei post ha anche già ascoltato l’episodio e probabilmente conosce molto bene il tema dell’incapacità appresa.

Quindi facciamo un passetto avanti per dare altro contenuto di valore a chi ha il desiderio di approfondire. Perché sicuramente c’è molto altro da dire, alcune cose le ho affrontate nel video che uscirà tra qualche giorno ma essenzialmente il tema del mindset è collegato con quello della speranza.

Il mindset

Altro tema enorme, di cui ci siamo occupati diverse volte se vuoi approfondire il mindset clicca qui, è quello dell’atteggiamento mentale. Non inteso in senso generale ma in senso psicologico, cioè della teoria della prof.essa Carol Dweck, sul mindset statico ed i mindset dinamico o di crescita. Come abbiamo visto tale mentalità non è fissa, cioè eventi spiacevoli possono trasformare un mindset dinamico in statico ed eventi positivi possono fare l’opposto. Quando un giocatore inizia a prendere “punti” è possibile che inizi a pensare che l’avversario sia più forte piuttosto che concentrarsi sul fatto che possa aver sbagliato qualcosa, che sia necessario concentrarsi di più su un aspetto del gioco ecc.

E’ un cambio di stile attributivo, il famoso Locus of control, a cui siamo tutti sottoposti quando siamo immersi nella vita. “Ok hanno già segnato 2 volte, sono più forti di noi”, questa mentalità conduce più velocemente all’impotenza appresa la quale si traduce in una prestazione peggiore. Molti potrebbero pensare che non possa capitare ad atleti di alto livello, in parte avrebbero ragione, chi gareggia molto si allena anche in questo senso, tuttavia proprio perché sono molto bravi a volte è possibile che possano subirlo con ancora più forza. Soprattutto quegli atleti convinti che vi siano delle differenze immutabili: è troppo forte perché geneticamente avvantaggiato; è troppo forte perché è nato con un dono, ecc.

Avendo lavorato con diversi campioni, di diverse discipline (tennis, golf, automobilismo, motociclismo e altro) posso assicurati che non sono immuni a questi meccanismi. Fortunatamente si tratta spesso del loro mestiere e quindi attualmente, non esiste un centro sportivo dove non vi siano anche esperti di come funziona la nostra mente. Nel caso degli sport olimpici l’atteggiamento mentale legato alla speranza è ancora più evidente rispetto ad altre discipline più note, come il calcio. Certo anche chi fa atletica gareggia durante l’anno ma l’attenzione verso tali sport non è così alta come durante le olimpiadi.

Voglio concludere queste riflessioni osannando gli altri sport, quelli che non attirano così tanto i media ma che sono nobili quanto tutti gli altri. Purtroppo capisco la ratio economica: se il calcio attira milioni di persone in più rispetto al nuovo i media possono usare quell’interesse come leva per vendere le pubblicità ecc. Insomma si tratta di meccanismi non bellissimi ma a cui siamo sottoposti da sempre (tranquilli non mi dilungherò su questo) per questo sarebbe bello che ogni anno ci fosse l’interesse che la gente ha per certe discipline durante le olimpiadi…

…vabbè lasciamo stare… coltivo la SPERANZA che un giorno altri sport potranno attirare con forza più persone, perché lo sport fa bene al nostro corpo, alla nostra mente e alla società in generale.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.