Nemo profeta in patria, questa famosa espressione latina viene attribuita a Gesù, i cui insegnamenti sembravano attecchire ovunque tranne a Nazareth, la sua Città natale. Invece di vederlo come il profeta lo vedevano come “il figlio del falegname”, si tratta di un racconto ma illustra molto bene come funziona la psicologia dei gruppi. Facciamo un piccolo esperimento mentale: pensa ad un tuo caro amico/a che conosci da almeno 10 o più anni e chiediti: “quanto è cambiata questa persona nel tempo”?

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Quanto sei cambiato nel tempo?

Hai provato a fare l’esperimento mentale? Probabilmente se ripensi a quella persona con attenzione puoi notare che sono cambiate molte cose, ma allo stesso tempo, puoi anche rintracciare quelle caratteristiche del passato. In parte è vero, gli studi sulla nostra personalità hanno individuato alcuni tratti che restano piuttosto stabili nel tempo: estroversione, nevroticismo, amabilità, apertura, coscienziosità… insomma i famosi big five. Come hai sentito nella puntata questo fenomeno avviene per un numero molto grande di ragioni.

La prima è sempre la tendenza della mente umana a cercare di risparmiare energia, quindi una volta che pensa di conoscere qualcosa la “categorizza” e crea un modello predittivo più o meno efficace per comprenderne i comportamenti. Quindi, se hai provato a fare l’esperimento con il tuo amico è possibile che una parte del tuo modo di vederlo, sia ancora legato al passato che vi lega. Quindi se lo hai conosciuto quando eravate due adolescenti stupidi, probabilmente penserai che quella stupidità, sotto sotto, sia ancora presente (e a volte ci becchiamo).

Tuttavia è proprio questo fenomeno, che è tipico della nostra cognizione come abbiamo visto in questa puntata sulle abitudini pericolose, a limitare la nostra capacità di aggiornare quei “punti di vista” su quella persona. E anzi, quando quella persona si comporta in modo poco prevedibile (per noi) crea una sorta di dissonanza cognitiva che ci impedisce di vederne i cambiamenti. Certo non succede sempre, a volte è la semplice abitudine a creare questo effetto, come quando ti rendi conto che un tuo amico ha perso molto peso (o lo ha acquisito) solo dopo diverso tempo.

Insomma è esperienza comune: se vedi una persona tutti i giorni fai fatica a notare i suoi cambiamenti mentre se la vedi più raramente, li vedi con maggiore intensità. Tuttavia, anche se quella persona la vedi raramente, ma hai avuto con lei un vissuto antico ecco che la sua immagine tende a restare (a tratti) immutata. Questo fenomeno fa si che realmente sia più difficile essere “profeti in patria” che altrove. Insomma, come visto nella puntata gli occhi e le percezioni di chi ci conosce da più tempo possono in un qualche modo frenare la nostra crescita e i nostri cambiamenti.

E’ un fenomeno talmente potente che può avvenire anche in modo molto ristretto. Negli esperimenti sui gruppi minimi di Hanry Tajfel sono emersi i primi dati sul tema dell’in-group e dell’out-group, cioè la nostra tendenza a creare categorie di “noi contro loro”. In quei famosi esperimenti le persone venivano raggruppate per “minime differenze” come: il colore degli occhi, delle scarpe ecc. Poi questi gruppi venivano messi in competizione, ed indovina cosa succedeva? Vi era una tendenza potentissima nel cercare di avvantaggiare il proprio gruppo, anche a costo di perdere del denaro, e a vedere i membri dell’altro gruppo come “brutti e cattivi”.

Il potere delle relazioni

Lo sappiamo tutti che la gente intorno a noi può in un qualche non vedere i nostri cambiamenti, ma questo in che modo ci influenza? Purtroppo può farlo molto, soprattutto se siamo piccoli ma allo stesso tempo non possiamo sottovalutare l’effetto di questo fenomeno anche da adulti. Noi non viviamo in una bolla, le persone intorno a noi hanno molta più influenza di quanto non ci piaccia pensare. Gli studi indicano chiaramente che il semplice sguardo di persone sconosciute che incontriamo per strada può modificare significativamente il nostro modo di camminare, di parlare, di muoverci nello spazio.

E’ qualcosa di abbastanza semplice da immaginare: mentre cammini per la strada devi cercare di capire che intenzione hanno le persone intorno a te. Uno sguardo aggressivo ti farà allontanare, uno sguardo dolce avvicinare, un volto corrucciato ti metterà in guardia mentre un sorriso aperto ti farà rilassare. Non è magia, noi funzioniamo così da millenni, è qualcosa che precede addirittura lo sviluppo del linguaggio e non intendo solo nei bambini ma nella nostra specie. Ancora oggi possiamo fare piccole esperienze di questo potente effetto dentro di noi, quando uno sconosciuto ci ferma per strada o quando incrociamo uno sguardo.

Se mi segui sai che ci tengo a ripetere l’ovvio: noi siamo nati e cresciuti in relazione, la qualità di queste prime relazioni sono state fondamentali per il nostro sviluppo in ogni fase della vita. E’ del tutto normale che chi sta accanto a noi possa avere una forza così prorompente, ma di questo ragionamento però, tendiamo a dimenticarcene troppo in fretta. Non si tratta solo della tesi abbastanza semplicistica che ho usato nella puntata: cioè che sia il benessere attuale, per lo meno nei paesi più sviluppati, a farci credere di poter “bastare a noi stessi”, ma è una tesi che sembra far parte della nostra cultura moderna.

La cultura dell’individualismo. Facciamo un pizzico di storia: già Platone e Aristotele parlavano dell’importanza della Polis, l’individuo esiste in funzione della comunità e non il contrario. Quindi una visione potremmo dire collettivista che poi è rimasta maggiormente ancorata all’oriente che all’occidente. A partire dal Confucianesimo per arrivare al nostro Cristianesimo, nel quale l’anima è individuale, è una cosa tua, sei tu solo davanti a Dio. Ecco che quindi forse abbiamo dentro una sorta di cultura che ci ha portati al concetto di “self-made-man”, nella sua attuale estremizzazione assoluta.

Come per ogni fenomeno umano siamo di fronte ad una dicotomia artificiale, sicuramente ognuno di noi in varia misura tende ad essere individualista o collettivista. Tende a cercare maggiore appoggio sugli altri o ad essere indipendente ecc. La cosa importante per noi, per chi vuole utilizzare questi concetti per vivere meglio, è quello non dimenticarci mai dell’importanza delle persone intorno a noi. Anche se abbiamo questa tendenza, forse atavica e chi lo sa, dobbiamo per questo, se abbiamo a sottovalutare l’influenza degli altri, tenerla particolarmente a mente!

Studi incredibili

La storia della ricerca è zeppa di prove dell’influenza delle persone su di noi, a partire dalle prime relazioni di infanzia con l’attaccamento di Bowlby, passando per lo studio di Harvard sugli effetti positivi delle relazioni, fino a quelle ricerche che mostrano come il semplice “tenersi per mano” possa ridurre significativamente il dolore. E non ho citato il famoso studio di Lewin sulle frattaglie, non è un caso che la psicologia sociale sia tra le più citate in assoluto, appunto si chiama “sociale” perché studia proprio le interazioni tra le persone.

Scommetto che se cito 10 concetti di psicologia sociale e 10 di qualsiasi altra branca (generale, clinica, sperimentale, ecc.) chi è appassionato di crescita personale lì conoscerà quasi tutti. Praticamente tutti i concetti citati fino a qui (dissonanza cognitiva, in-group e out-group), gli studi sull’influenza e la persuasione (le famose leve di Cialdini e i modelli di Petty e Cacioppo), insomma tutto arriva da questa idea di “sociale”, che noi occidentali tendiamo a perdere. E’ pazzesco che moltissimi studi di psicologia sociale abbiano alimentato teorie individualiste degli ultimi anni (eppure è andata esattamente così).

Insomma lo dicevano già i proverbi: l’unione fa la forza e anche, chi fa da se fa per tre… insomma anche nella saggezza popolare non si riesce a trovare una sorta di quadra in questo ambito. Eppure secondo me, cercare di avere un punto di vista mediano in questo ambito potrebbe essere fondamentale. Lascia che mi spieghi meglio: di certo senza gli altri noi non potremmo fare quasi niente, ma allo stesso tempo ogni membro di un gruppo deve nel tempo contribuire al gruppo. Per riuscire a contribuire dovrà prima o poi sapersi gestire in autonomia. Banale vero? Ma tendiamo a dimenticarlo.

Esempio: il figlio di una famiglia non ricca, una volta cresciuto e accudito dai suoi parenti. Una volta acquisita forza, cultura e accudimento da parte di chi lo circonda, crescerà e a sua volta si prenderà cura di loro. E’ una cosa oggi sempre più comune dato che l’età media della popolazione si è alzata tantissimo (per fortuna dato che ho quasi 50 anni). Per prenderci cura dei nostri genitori dovremmo a nostra volta saperci prendere cura di noi stessi e degli altri, cioè essere relativamente autonomi. Relativamente capaci di fronteggiare le difficoltà della vita, anche da soli!

E’ chiaro che l’autonomia individuale vada a contrastare con l’unione di un gruppo. Ma allo stesso tempo un vero gruppo che funzioni bene, deve avere al suo interno elementi autonomi, in grado di basare a se stessi, altrimenti è un gruppo di auto aiuto che rischia di crollare da un momento all’altro. Invece un gruppo di soli individualisti “non è un gruppo” ma una sorta di unione di comodo che costruiamo per massimizzare qualcosa. Ecco non è neanche questo, è un bel mix tra queste due posizioni: diventare adulti autonomi e allo stesso tempo tenere a mente che tale autonomia è sempre relativa… relativa a cosa? Relativa al gruppo che ci circonda, all’ecosistema.

Ecosistemi

Chi si occupa di ecosistemi sa quanto questi siano intrecciati. Entri in una foresta e vedi una bella quercia millenaria e pensi: “Wow fantastico chissà come ha fatto a crescere in questo ambiente particolare, sembra cosparsa di edera e piante rampicanti. Sembra anche zeppa di funghi e di animali di altro genere.”. Non rendendoti conto che quelle piante rampicanti, quei funghi, quella vita che ci prospera sopra non è solo “la natura che si approfitta” ma è l’ecosistema che ha concesso all’albero di crescere. Le piante rampicanti l’hanno protetto dal sole a picco d’estate, i funghi hanno richiamato nutrienti dal terreno ecc.

Non ci rendiamo davvero conto di quanto questa cosa accada anche a noi. L’esempio che mi piace fare maggiormente si basa sulla gentilezza: ieri io e mia moglie siamo andati a bere un caffè al bar, andando abbiamo incrociato un operaio che, di fronte a noi, ha perso i guanti da lavoro. Chiaramente, nel modo più gentile possibile l’abbiamo avvisato e lui ci ha ringraziato gentilmente. Poi, al nostro ritorno ci siamo trovati di fronte un camion che ci sbarrava la strada lungo la via di casa, appena ci ha visti si è spostato immediatamente… indovina chi lo stava guidando? Esatto quell’operaio che ci ha salutato caldamente.

Noi avevamo messo di buon umore l’operaio, il quale ci aveva riconosciuto e poi ci aveva reso il piccolo favore. Ora, spero anche che, data l’ora (orario serale) il ragazzo sia andato a casa dalla sua famiglia, magari ricordando quella coppia che gli ha fatto notare di aver perso i guanti. Lo so è una cosa molto piccola ma se fosse accaduto il contrario? Non gli avessimo detto nulla o l’avessimo trattato con poca gentilezza, a sua volta lui non ci avrebbe fatti passare, il che ci avrebbe innervosito. Lui sarebbe tornato a casa più nervoso e anche noi di conseguenza… gettando pizzichi di nervosismo su praticamente ogni persona.

Quando tratti in modo maleducato il cameriere che al bar ti porta il caffè succede qualcosa di simile, e succede anche quando è il cameriere a trattare male te. Ora il vero plot twist della situazione: quando ti tratti male tendi a trattare male anche gli altri. Tu sei il primo sistema ecologico da cui parte tutto, certo gli altri hanno il potere di influenzarti ma devi sempre tenere a mente che come tu ti tratti diventa uno specchio. Questo non significa essere autoindulgenti o raccontarsi delle frottole, questo significa provare a restare gentili con se stessi pur ammettendo i propri errori e le proprie idiosincrasie, che in una qualche misura abbiamo tutti!

Insomma il discorso è mastodontico ed è per questo che ci sto scrivendo il mio prossimo libro. Solo tu che sei arrivato/a fino a questo punto puoi saperlo. Grazie di cuore per la enorme fiducia che mi hai dato in questi anni…

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.