La ricerca è abbastanza sicura ormai: se i tuoi genitori hanno subito un trauma è possibile che questo sia riversato anche su di te. E non sto parlando del del classico apprendimento (vicario) che avviene quando vediamo nostro padre spaventato dal traffico e di conseguenza anche noi potremmo temerlo, ma di qualcosa di ancora più profondo e di cui è bene discutere per la nostra crescita personale.
Epigenetica
I moderni biologi affermano che la genetica carica la pistola e l’ambiente spara. Con tale affermazione si cerca di spiegare come funziona qualcosa che un tempo sembrava una spada di Damocle: se avevi ricevuto le carte sbagliate dal destino, cioè se i tuoi genitori ti avevano trasmesso un certo tipo di genetica quello sarebbe stato il tuo destino. In parte è ancora così, se i tuoi genitori ti hanno trasferito un certo colore degli occhi è quasi certo che anche tu avrai quel colore degli occhi. Il DNA e le sue meraviglie sono una scoperta recente, Watson e Crick vinsero il Nobel nel 1954, che a livello temporale è davvero pochissimo.
Già prima che i due padri del DNA vincessero il Nobel si iniziava a costituire il “dogma della biologia”, quello che vedeva il DNA come il fondamento di tutto. Se il tuo DNA è fallato non ci puoi fare niente e in alcuni casi è ancora così ma da qualche tempo a questa parte abbiamo scoperto che questa molecola da sola non basta, il DNA è in continua comunicazione ed interazione con l’ambiente (interiore ed esteriore). Per l’appunto la natura carica la pistola e la cultura spara, il che implica che se da un lato non possiamo cambiare le carte che ci hanno dato in eredità, dall’altro possiamo agire fino al punto tale da renderle meno pericolose.
Questo stesso meccanismo epigenetico è lo stesso che alcuni ricercatori hanno cercato di monitorare per quanto riguarda il tema del trauma. In psicologia il trauma è da sempre una sorta di pietra miliare, esattamente come il DNA lo è (o lo è stato per la biologia). Da sempre gli esseri umani si sono accorti che una persona che cadeva da cavallo poi, faceva più fatica a tornarci sopra, ma abbiamo dovuto attendere i due conflitti mondiali per averne la prova scientifica.
Diverse volte ti ho raccontato che i nostri soldati tornavano dal fronte e, coloro i quali mostravano segnali di cedimento psichico – quello che oggi chiamiamo disturbo da stress post-traumatico o PTSD – venivano fucilati. Era vergognoso che un essere umano fosse talmente debole da ridursi in quello stato, pensavano i comandanti e i generali, ma poi le persone traumatizzate erano sempre di più. Il fenomeno si ripeteva con una certa regolarità: se assistivi a scene tremende molto probabilmente qualche problema ti restava appiccicato.
Certo, ci sono state anche persone che, nonostante le situazioni avverse non hanno sviluppato sintomi simili o per lo meno ne hanno sviluppati meno. Ma l’esperienza e la ricerca clinica ci hanno portati ad una semplice conclusione: tutti nelle “cattive” condizioni possiamo sviluppare un grave PTSD indipendentemente dalle condizioni di partenza. Poi è chiaro (e lo era anche allora) che vi siano persone che per un modo o per l’altro ne sono maggiormente immuni ma non esistono persone totalmente immuni agli effetti di eventi avversi.
Corpo e mente
Corpo e mente sono intimamente legati e forse indistinguibili quando ci addentriamo nei sottili meccanismi che li regolano. In questo preciso momento, ciò che stai leggendo sta alterando il tuo respiro, il tuo battito cardiaco e la tua conformazione neurale. Non solo modifica anche la tua digestione, il tuo microbiota intestinale, la tua temperatura corporea. Cosa arrivi prima o dopo, se prima arrivi il corpo o la mente è un falso problema, sarebbe come dire cosa è nato prima l’uovo o la gallina, dovremmo dire che sono nati l’uovo e la gallina. Che abbiamo sempre attivi mente e corpo!
Le esperienze che vivi hanno un effetto diretto su come digerisci, sul battito del tuo cuore, di conseguenza sulla tua pressione sanguignia, sui tuoi desideri appettivi o romantici ecc. A tutti è capitato di essere talmente emozionati da non riuscire a mangiare o di non avere appetito, così come è successo a tutti di sentirsi un po’ stressati, mangiare qualcosa di buono e sentirsi più rilassati. Lo ripeto, se analizziamo da vicino il collegamento mente-corpo, diventa assolutamente evidente che siano la stessa cosa o che per lo meno interagiscano molto più di quanto si pensi.
Mente e corpo hanno una lunghissima storia filosofica alle spalle, ci siamo chiesti per millenni cosa fosse questa mente, anima, spirito che vive dentro di noi, quella vocina che ci parla. Poi arriva Cartesio e ci spiega che quella vocina è qualcosa di completamente diverso dal corpo, che quella vocina è più simile ad una anima immortale ed immanente sopra di noi. Che ci sono cose del corpo e cose dell’anima e che dovremmo stare attenti a non mescolarle assieme, tutto questo in salotti borghesi nei quali tali concetti hanno creato veri e propri abomini.
Un abominio tra tutti è stato il credere che gli animali fossero semplici macchine prive di spirito (di mente) e che questo ci permettesse di trattarli come cose. Vi erano salotti borghesi e nobili nei quali i partecipanti torturavano cani e gatti come se fosse un gioco: tanto sono solo macchine, mica provano qualcosa. Può sembrare assurdo oggi, se penso a quando il mio gatto si è incastrato in un meccanismo della tapparella e ai gemiti che emanava mi sembra assurdo che la gente non pensasse avessero emozioni e provassero dolore.
Eppure basta una pensatore forte che spinga avanti certe idee a farci diventare forse addirittura sordi a quei suoni che sono oggi chiaramente riconosciuti come “grida di dolore“. Onestamente non ero presente a quei salotti tanto discussi ma non faccio fatica a credere che la gente divenisse immune alle urla strazianti degli animali perché era convinta fossero macchine. Se ci pensi l’idea che la mente sia separata dal corpo è talmente lineare e comune che affascina chiunque.
Cambiamenti epigenetici
Da qualche tempo a questa parte stanno emergendo un sacco di studi che dimostrano che sia possibile modificare sia la sequenza del genoma sia la sua espressione a causa di eventi avversi. Ad esempio: prendiamo due topini gemelli (con corredo genetico identico) ed insegniamo ad entrambi a superare un labirinto, poi ne prendiamo uno e durante questo compito lo traumatizziamo, magari facendolo finire nell’acqua.
Poi li facciamo accoppiare con altre due topine, entrambe gemelle a loro volta per assicurarci che i DNA fossero simili. Poi prendiamo la loro prole e la mettiamo dentro lo stesso labirinto, la prima cosa stupefacente è che il figlio del tipo non traumatizzato non solo risolve tranquillamente il labirinto ma lo fa in modo più rapido di un topo qualsiasi. Un po’ come se l’apprendimento del padre si fosse leggermente trasferito anche sul figlio ma la cosa che ci interessa oggi è notare cosa succede al figlio del topo traumatizzato:
Non solo sarà più lento del primo topo ma sarà più lento di ogni altro topo che non abbia avuto un genitore traumatizzato. Ok ci tengo a dirti che questo studio l’ho appena inventato ma in realtà quelli originali non si discostano troppo da quanto detto: sappiamo che esistono sia delle facilitazioni e sia delle inibizioni legate alle esperienze dei nostri genitori. Il che apre la porta ad un sacco di interpretazioni affascinanti e anche pericolose, temi come il karma o le genealogie delle costellazioni familiari.
In realtà la cosa è ancora più sottile, quel topo non è che abbia imparato ad avere paura del labirinto o dell’acqua ma a causa del trauma del padre diventa più suscettibile allo stress in generale. In altre parole se i nostri genitori hanno subito dei traumi ciò che tendiamo ad ereditare non è il trauma specifico ma una minore tolleranza allo stress. Il che mi sembra abbastanza plausibile, dopotutto sappiamo che lo stress ha un effetto pro-infiammatorio diretto sul nostro organismo e sarebbe come dire: se stai male ecco che questo si ripercuote su tutto, anche sulla tua prole.
Fragilità e protezione
Sappiamo bene e da anni quanto sia importante che la madre mantenga una certa tranquillità durante la gestazione, lo sappiamo da sempre, pensavamo che fosse giustamente per lo sviluppo del bambino ma non sapevamo che un evento stressante per lei potesse trasformarsi in una debolezza nei figli. Ecco il vero cardine di cui oggi si parla, di fattori protettivi e di fattori di fragilità, se i tuoi genitori sono stati traumatizzati ecco che è probabile ti trasmettano alcune fragilità.
Ma mentre fino a pochi anni fa non sapevamo quanto vi fosse di “natura e quanto di cultura” oggi conosciamo abbastanza bene le differenze. In altre parole, mentre abbiamo da sempre sospettato che l’influsso dei genitori avesse un effetto diretto o indiretto sui figli non sapevamo che questo effetto potesse essere a livello genetico. Per fortuna però non si tratta di trasmissioni precise, cioè non è che il topo della nostra storia fosse traumatizzato dall’acqua a sua volta ma sappiamo che aveva una fragilità nell’esporsi a situazioni nuove.
In altre parole gli eventi avversi dei nostri genitori possono creare delle fragilità a livello genetico, le quali a loro volta possono o non possono esprimersi, questa è la bellezza della epigenetica. Appunto la pistola può essere carica (avere dei geni che ti fanno essere più fragile) ma il tuo stile di vita può impedirti di sviluppare quella fragilità o addirittura compensarla positivamente. Un po’ come un giocatore di calcio che si renda conto di avere la gamba sinistra molto meno forte della destra per costitutizione e che di conseguenza decida di allenarla per compensare.
In realtà tutto il nostro essere è fatto più o meno in questo modo, ed è per questo che insisto con il tema della conoscenza dei limiti. Tema che oggi potrà sembrarti scontato ma che se sollevato una decina di anni fa sul web mi avrebbe assicurato una valanga di commenti come questo: “Si, voi psicologi sempre a pensare che la gente stia male, smettetela con la vostra sfiducia nell’essere umano lo rendete più debole”. Lo so forse potrà sembrarti una esagerazione ma dato che divulgo queste cose da quasi 20 anni vi assicuro che la gente era davvero “rimbecillita” da queste false idee.
Sapere che la tua auto non sterza bene a sinistra è l’unico modo per poterla sfruttare al massimo, invece un tempo si pensava che fosse tutta una questione di credenze: se penso di poterla far andare dritta ci riuscirò. Certo in parte è vero ma se sottovaluti il fatto che abbia quel difetto e ti affidi solo nella fiducia come pilota il rischio è che sopra una certa velocità si possa andare dritti alla prima curva a sinistra.
La vera crescita personale non è convincerti che puoi fare tutto ma è conoscerti e da lì cercare di migliorarti negli aspetti che vuoi e puoi migliorare. Per fortuna le cose sono cambiate ma è necessario ribadirlo per non tornare indietro e per smontare questo sotto-pensiero che è in realtà ancora parte di molti di noi. Approfondiamo nel video…
A presto
Genna