Probabilmente è capitato a tutti, stiamo giocando, guardando un film, parlando con un amico ed il tempo sembra sparire. Siamo talmente concentrati sul compito che il mondo intorno sembra non esistere, ci sentiamo bene e quelle azioni che stiamo compiendo sembrano avvenire spontaneamente, senza sforzo. Questi sono gli stati di “flusso” (o flow) che ognuno di noi vive quando avvengono determinati condizioni, oggi ti racconto come accedervi per davvero…

Il Flusso

Sono anni che parliamo di flusso degli stati di prestazione ottimale, non solo perché sono una delle scoperte più affascinanti della psicologia dello scorso secolo ma anche perché si tratta di qualcosa di molto pratico. “Wow posso davvero imparare a restare in uno stato che è in grado di farmi esprimere tutto il mio potenziale senza farmi sentire lo sforzo, ma anzi dandomi una profonda soddisfazione?”, la risposta è sì ma purtroppo non è così semplice. Chiunuque conosca tutta la teoria del flow del compianto Mihaly Csikszentmihalyi sa che non si tratta di qualcosa di facile, servono diversi step affinché avvenga.

Il principale è quello del livello di sfida, il quale deve essere commisurato alle nostre abilità. Banalmente, se il compito che svolgi è troppo semplice ti annoierai e la tua mente tenderà a vagare altrove, se invece è troppo difficile soffrirai e avrai numerose battute di arresto. Quindi quando il grado di sfida è adeguato ecco che entriamo nel flusso, anche questa è una semplificazione ma se ci pensiamo bene non è per nulla scontato che ciò accada nella realtà. Come facciamo a sapere se le nostre abilità saranno adeguate a quel compito? Certo l’esperienza ci informa di ciò ma non possiamo saperlo davvero fino in fondo.

Ora dato che non abbiamo controllo su ciò che potrebbe accadere dobbiamo rivolgerci alle abilità. Se vuoi provare più flusso mentre suoni la chitarra più sarai competente e versatile e più alzerai la probabilità di poter provare il flusso. Anche qui fino ad un certo punto, se poi diventi troppo bravo? Cioè così bravo che la maggior parte delle sfide musicali che incontri sono troppo semplici per te? Strano vero? Allora da dove possiamo partire per migliorare la nostra capacità di restare o entrare nel flusso? Dalla abilità psicologica più rilevante e fondamentale: la nostra attenzione!

Se hai letto il mio primo libro (Facci Caso) conosci già queste tematiche in lungo e in largo, ultimamente mi sono ritrovato ad ascoltare l’audio libro Optimal di Daniel Goleman (il principale divulgatore nel campo dell’intelligenza emotiva) e finalmente, dopo tanto tempo, ecco che siamo perfettamente d’accordo: è l’attenzione il motore che ti consente di riuscire ad entrare nel flusso o sarebbe ancora meglio dire che attraverso la regolazione della tua attenzione puoi aumentare la facilità con cui ci entri. Pensa ad un primo violino che suona da 40 anni e quando ripete quelle note fa emozionare tutti.

Ok potrebbe farlo in modo meccanico ma si romperebbe le scatole e soprattutto non riuscirebbe a dare la stessa intensità al suono. Per farlo deve entrare in una sorta di flow, la sfida in questo caso c’entra ma non così tanto, perché se ha ripetuto quel brano migliaia di volte potrebbe farlo anche mentre ordina una pizza o risponde al telefono. (Proprio come facciamo mentre guidiamo e di cui dovremmo stare molto attenti). Il violinista ci riesce perché ha imparato a regolare la propria attenzione, la propria intenzione mentre suona non perché regola le sue abilità sulla sfida. Tutto ciò genera un altro problemino tecnico…

Intenzione e automatismi

Come probabilmente saprai le azioni che compiamo possono essere immaginate su un continuum che va da comportamenti automatici: i movimenti del nostro organismo totalmente fuori dal nostro controllo come il cuore che batte ecc. I riflessi del nostro organismo e anche le cose che abbiamo appreso bene da tanto tempo. E comportamenti controllati: cioè quando non conosciamo una certa azione e dobbiamo necessariamente prestare maggiore attenzione consapevole. Quando hai imparato a leggere facevi fatica a mettere insieme il senso di questi segni strani su una pagina, oggi non solo lo fai immediatamente e senza sforzo ma non puoi fare a meno di farlo.

Non mi credi? Guarda queste lettere: “C. A. S. A.” le hai viste? Scommetto che hai anche letto il senso nonostante abbia cercato di distanziarle, questo è un automatismo talmente potente che è molto difficile da estinguere. Si potresti farlo smettendo di leggere per qualche anno (cosa molto difficile e forse impossibile) con qualche malattia del cervello o momentaneamente con l’ipnosi (come avviene con l’effetto stroop). Più siamo bravi a fare qualcosa e più è probabile che vi siano un insieme di automatismi che abbiamo costruito intorno a quella abilità. Più una cosa ci viene automatica e meno necessita della nostra attenzione, anzi ti dirò di più l’attenzione può fare brutti scherzi!

Ti è mai capitato di farti prendere dal ritmo e metterti a ballare in discoteca, sei lì tutto o tutta bella e serena e di colpo ti chiedi: “ma sto ballando bene?” ed ecco che perdi tutta quella magia? Succede esattamente in questo modo, gli automatismi e gli stati di flusso sono nemici delle prese di consapevolezza e della coscienza in genere. Se hai accanto un pilota mentre guidi che continua a darti dritte su come alzare la frizione, su quando inserire le marce, anche se hai la patente da 20 anni è possibile che tali istruzioni ti facciano sbagliare manovre molto semplici.

Per semplificare possiamo dire che gli stati di flusso sono stati di trance nei quali siamo pienamente identificati con ciò che stiamo facendo. Mentre giochi a calcio sei un calciatore, mentre leggi quel romanzo diventi il protagonista o il narratore ecc. Ora cosa determina questa identificazione? Un sacco di cose ma primariamente il grado di attenzione che poni mentre fai quella cosa. Se giochi a calcio pensando alla cena difficilmente ti sentirai “un giocatore”, se leggi un romanzo sperando di terminare il capitolo perché ti sta annoiando non ti sentirai come il protagonista.

Ora tornando alla distinzione automatismo e controllo in realtà non esiste alcun comportamento complesso che sia totalmente automatico o totalmente controllato (a parte gli organi viscerali ma anche lì potremmo discutere). Perché ti ho raccontato questa distinzione? Perché la gente tende a confondere le cose che gli vengono automatiche con il flusso, certo in quello stato sembra che tutto sia automatico ma non è perché ti affidi solo agli automatismi. E’ per un insieme di fattori ed il più rilevante è la tua capacità di prestare attenzione a ciò che stai facendo in quel preciso momento!

Guardarsi dentro rende ciechi

Questa è una frase meravigliosa che spiega alcuni concetti davvero interessanti nel campo della psicologia ad opera di quel genio di Paul Watzlawick (reso noto qui da noi in Italia dal suo allievo più prolifico, il prof. Giorgio Nardone). Per semplificare questa frase possiamo dire che: quando osservi consapevolmente un processo che ti viene automatico, cioè attraverso un processo controllato, rischi di bloccarlo o di deviarlo. L’esempio splendido e più classico è la storia del mille piedi che avrai sentito un sacco di volte e te la risparmio

(Anzi no, per i più curiosi ecco il famoso millepiedi: un giorno un farfalla guarda un millepiedi che muove con estrema eleganza ogni suo piccolo arto, lo guarda e gli dice stupita: “me come fai a muovere tutti quei piedi in quel modo splendido”, il millepiedi ci pensa e proprio per questo… si blocca!)

In realtà quella frase prende in considerazione gli aspetti sistemici ed è più ampia ma possiamo per semplicità vederla come un: se osservi con attenzione un tuo automatismo rischi di rovinarlo. Non so se hai mai sentito quel detto che dice che prima non sappiamo di sapere, poi impariamo qualcosa e sappiamo fare ma non sappiamo come e poi sappiamo sia fare che come lo facciamo. Prima di prendere la patente non sapevi di non saper guidare (almeno non fino in fondo), poi hai imparato e quella abilità è diventata automatica, al punto tale che non sai ricostruire tutti i passaggi dell’apprendimento.

Al punto tale che se provi a chiederti che marcia hai raggiunto (la quarta? la quinta?) oggi se hai guidato, probabilmente per saperlo devi fare delle ipotesi: “sono rimasto nel traffico forse non ho messo la quinta”, oppure: “sono andato in tangenziale e quasi sicuramente ho messo la quinta” (o forse hai il cambio automatico e allora l’esempio non calza) ma non ricordi bene ciò che hai fatto. Ah questo è un dato molto interessante per tutti: gli automatismi non vengono salvati in memoria, quindi se inizi a chiederti se hai chiuso il garage o l’auto non trovi quell’informazione, questo fa spesso esplodere i pensieri ossessivi.

Se un giorno dovessi spiegare ai tuoi figli come si guida o dovessi fare un corso di guida avanzata, è possibile che tu sia costretto a rivedere il tuo processo di apprendimento. Per farlo ti servirà riuscire ad essere realmente consapevole di ciò che fai, proprio come quando hai imparato, questo non è facile ma è assolutamente possibile. Per migliorare, come abbiamo visto in questo recente video Youtube x dobbiamo uscire dal flow, dobbiamo affrontare la via della pratica deliberata. Questo è il punto nel quale intenzionalmente entriamo negli automatismi per cambiarli o migliorarli.

Lo so la guida è un esempio vetusto ma è molto utile, perché è un comportamento complesso, che molti di noi fanno quotidianamente. Il flusso come identificazione con ciò che stai facendo ha come benzina energetica principale la tua attenzione, l’esempio di quando devi parcheggiare e abbassi il volume della radio è perfetto. Oppure un altro classico: stai guidando in una bella giornata, la strada e libera e tu canticchi le canzoni alla radio. Non hai bisogno di prestare particolare attenzione. Di colpo esplode un temporale, per prima cosa abbassi la radio, forse attivi i tergicristalli e sposti la tua attenzione consapevole sulla strada e sulle curve.

Un po’ di Jazz sugli stati di coscienza

Come sa chi mi segue da molto tempo io nasco prima come esperto di ipnosi, ho passato praticamente tutta la mia parte di studi e carriera psicologica esplorando l’affascinante mondo dell’ipnosi e in generale degli stati modificati di coscienza. Poi per farla breve ho scoperto le pratiche di consapevolezza che non hanno sostituito la pratica ipnotica ma mi hanno fatto comprendere come essa funzioni. Milton Erickson amava dire che noi siamo sempre in uno stato di trance ipnotica o per lo meno che ci siamo molto più spesso di quanto ci piaccia pensare, un tema che viene spesso risolto con la “everyday common trance”, termine coniato da Ernest Rossi (un suo allievo e biografo).

Quando studiavo l’ipnosi ero abbastanza certo di aver compreso bene quel tema: capita a tutti di ritrovarsi completamente immersi in qualcosa senza accorgersi dello scorrere del tempo. Ecco quello è un tipico esempio di trance ipnotica naturale, da queste tematiche (che in realtà sono molto più complesse ma è bene sintetizzare e semplificare) viene fuori una nuova idea di osservare la trance ipnotica. Mentre prima pensavamo che la misura della trance fosse il grado di suggestionabilità, cioè quanto il soggetto risponde a delle suggestioni, abbiamo iniziato a vedere la dissociazione dalla realtà come segnale di trance.

Cioè quanto più il soggetto è distante dalla realtà circostante tanto più è all’interno di uno stato di trance. Se per caso hai mai praticato la meditazione di consapevolezza per un certo periodo di certo ti sarai accorto che la mente continua proprio a fare questo gioco: ti porta distante dalla realtà attuale. Questa faccenda non è così semplice da spiegare per chi non medita se non come assenza di presenza: a tutti è capitato di mangiare senza accorgersi di cosa abbiamo mangiato, a tutti è capitato di guidare per chilometri senza ricordare tutti i dettagli ecc.

La ricerca sulla mindfulness e sulla Default mode network poi ci racconta che per quasi metà della nostra giornata non siamo presenti. Non so a te ma a me questa faccenda ricorda molto le affermazioni di Erickson: siamo molto più spesso in trance di quanto ci si renda conto di esserlo. Ora come fanno i miei colleghi che usano l’ipnosi per aiutare le persone ad entrare in questo stato? Giocano sulla regolazione del focus attentivo, detto in modo sintetico ma posso assicurarti precisissimo: qualsiasi tecnica ipnotica ha lo scopo di regolare la attenzione (aumentandola, distraendoci, sovraccaricandoci, dissociandoci ecc.).

Tutto questo casino può essere riassunto così: il flow è uno stato di trance nel quale siamo totalmente identificati con ciò che stiamo facendo, il motore di tale identificazione è la nostra capacità di restare attenti. Questo può essere facilitato dalle caratteristiche del compito, dalle nostre abilità e da altre variabili ambientali, ma il fattore per mantenere questo stato non è esterno ma interno. Proprio come la vera motivazione non è mai estrinseca ma soprattutto intrinseca, sei tu che devi poter monitorare quando sei fuori e dentro da quello stato e per riuscirci devi allenarti a regolare l’attenzione. Tutto qui…

Lo so “tutto qui un cavolo” starai pensando, ed avresti ragione ma se esistesse una tecnica magica in grado di farti entrare nella tua zona ottimale di prestazione fidati che la vedresti applicata su ogni sportivo professionista, su ogni manager di alto livello e probabilmente ci sarebbero migliaia di video che ti spiegano come farla. Non c’è, perché le pillole magiche quando si parla di crescita personale, quella vera, non esistono. Magari nel futuro chissà, per ora non esistono…

A presto
Genna

Ps. Il termine “zona” che veniva già utilizzato prima di flusso è forse maggiormente azzeccato. Mentre il flusso da come l’impressione di essere uno stato “tutto o nulla”, “o ci sei o non ci sei”, la zona rende l’idea di una sorta di “circa”, possiamo anche essere attorno a quello stato senza necessariamente aspettarci di essere sempre e subito nella nostra Zona ottimale. Ci sarebbe ancora molto altro da discutere… magari ne parliamo in Live giovedì.

Pss. Ho limitato la quantità di link in questo post ma abbiamo parlato decine e decine di volte di questi temi in passato. Cercali attraverso google, semplicemente inserendo “nome + Psinel” nella ricerca (usa le virgolette).


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.