Ragazzi e ragazze non ci crederete ma mi siete mancati, per ben 3 settimane il sito è stato offline. Altro che “pausa” è stata una piccola tortura con la quale stiamo facendo ancora i conti. Per fortuna siete meravigliosi e avete continuato ad ascoltare il podcast e seguirmi sui social.
Lo so che questa introduzione non è molto “SEO friendly” ma è la prima cosa che mi è saltata in mente associando il tema di oggi alle vicissitudini degli ultimi giorni. La qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla nostra capacità di gestire le nostre emozioni.
Ecco perché oggi aumenteremo la nostra intelligenza emotiva con un semplice esercizio, buon ascolto:
La pausa “croce e delizia” del cervello
La pausa è realmente un tocca sana per il nostro cervello, ce lo dicono i dati in qualsiasi ambito. Tuttavia allo stesso tempo viene percepita soggettivamente come un intoppo, come qualcosa che fai quando le cose non filano correttamente, questo è uno dei più grossi ostacoli alla tecnica presentata oggi.
I motivi sono molti, i più deleteri sono presentati da un’idea di prestazione della nostra società. Cioè dal fatto che nella nostra epoca se non sei prestante non vali niente, per tanto se non sei capace di gestire le tue emozioni, di leggere 100 pagine al giorno, di fare 50 ore di lavoro di fila, “sei incapace”.
Questa è la cosa peggiore di tutte ma ne esiste un’altra più sottile e nascosta ed è insista nella natura della nostra percezione. Per quanto ci piaccia immaginare di vedere un mondo fluido e concreto in realtà questa è una ricostruzione del nostro cervello. Anche in questo momento riesci a leggere solo poche parole per volta, per quanto ci sia chi afferma il contrario gli studi più accreditati ci dicono questo.
Perché è importante saperlo? Perché per un cervello che fa di tutto per mostrarci una continuità percettiva del mondo e di noi stessi, prendersi una pausa è qualcosa di contro producente per tale mantenimento di un flusso di realtà costante. E nota, questa roba non è filosofia, per davvero il nostro sistema nervoso fa questo in ogni istante.
Amiamo le pause solo quando siamo davvero stremati, soprattutto quando una cosa ci prende e ci fa entrare in uno stato di flusso, è una cosa meravigliosa ma allo stesso tempo ci fa sopravvalutare le nostre abilità. Un esempio classico è la guida dell’automobile, siamo immersi in pensieri, telefonate e altro che spesso ci impediscono di capire che siamo stanchi e abbiamo bisogno di una pausa.
Consapevolezza
Ancora una volta la “differenza che fa la differenza” è la consapevolezza, quando l’automobilista si accorge di essere stanco è in realtà già tardi, ed è per questo che chi si occupa di attenzione e guida ha delineato, per i professionisti dei trasporti, degli orari massimi di guida consecutiva. Non è per impedire alla gente di portare a termine il proprio lavoro.
Ora è chiaro che ci siano delle differenze soggettive, c’è chi è realmente più resistente e potrebbe guidare per più tempo ma in generale, tutti siamo poco consapevoli. Anche perché, sotto sotto, avremmo delle potenzialità incredibili da sfruttare, tuttavia il rischio di sopravvalutarci è altrettanto alto ed è necessario fissare delle soglie attentive.
Lo stesso vale per le emozioni, io solo il primo a non rendersi conto di quando alzo il tono della voce e conosco persone che non ne hanno affatto contezza, che anche di fronte ad un amico che dice: “ehi hai cambiato i connotati da quanto ti sei arrabbiato l’altro giorno”. “Io? Ma no non ero arrabbiato, forse stai sopravvalutando la tua capacità di notare come si sentono gli altri”.
Ci tengo a ripetere che credo davvero che ognuno di noi abbia una marea di risorse interiori, molte di più di quante pensa di possederne, ma quando si entra nel campo della consapevolezza e in modo particolare di quella “emotiva” siamo in molti a non renderci conto di quando tendiamo ad uscire dalla finestra di tolleranza. Perché?
I motivi sono diversi ma il principale è legato al fatto che quando entra il circuito della minaccia tendiamo a comportarci in modo automatico e come sappiamo gli automatismi oltre ad essere inconsapevoli, vanno avanti con il pilota automatico e ci allontanano dal momento presente.
La consapevolezza retrograda
Come abbiamo già visto in questo episodio tendiamo tutti a renderci conto di come ci sentiamo solo quando quelle sensazioni arrivano alla coscienza. Quando provi una qualsiasi emozione, per quanto sembri apparire dal nulla, in realtà questa arriva da una sorta di interpretazione delle tue reazioni viscerali, che a loro volta derivano da cascate di sostanze chimiche prodotte dal tuo sistema nervoso (e non solo) sparso nel tuo corpo.
Per tanto la consapevolezza della specifica emozione è in realtà una sorta di “punta dell’iceberg”, questo non significa che sia troppo tardi o sbagliato, perché prima che arrivi alla consapevolezza (e non solo alla coscienza) quella sensazione è “solo una sensazione”, come abbiamo visto analizzando negli scorsi anni le moderne teorie sulla costruzione delle emozioni (vedi il lavoro di Lisa Feldmen Barret).
Ma tra la comparsa della consapevolezza e la capacità di auto regolazione c’è un lasso di tempo che per alcuni è insopportabile: “perché mi accorgo sempre troppo tardi di essere arrabbiato?”. E’ vero la tendenza di una emozione intensa è quella di renderci poco consapevoli, tuttavia è normale che avvenga “in ritardo” per questo dobbiamo imparare ad essere gentili e agire anche dopo, senza giudicarci troppo duramente.
Sono cose di cui discutiamo da anni, è la forma mentis proprio della meditazione, anche i praticanti più esperti si lasciano catturare da pensieri e sensazioni senza rendersi conto. Solo che al contrario di una persona alle prime armi, invece di offendersi, peggiorare le cose, sono contenti di accorgersi di ciò che accade, anche se la consapevolezza arriva con un pizzico di ritardo.
Il segreto per superare questo ostacolo naturale della mente lo abbiamo già visto nella puntata citata ma essenzialmente consiste nel accorgersi e nel cercare di mettere da parte tutti i giudizi negativi sul fatto che è “troppo tardi”, soprattutto se accade in quel frangente. Cioè se sei ancora nella interazione funziona molto meglio perdonarsi e cercare di agire in modo consapevole.
Le ricerche di John Gottman
In passato abbiamo già parlato del potere della pausa in particolare nell’ambito della comunicazione, anche quando abbiamo visto l’importanza di riuscire a restare in ascolto e in silenzio. Poi ti ho accennato a questo evento partendo dalle ricerche di LeDoux sull’ansia, il quale ci racconta degli effetti benefici di riuscire a prendersi micro pause per poi tornare in contatto con l’oggetto ansiogeno.
Tuttavia in nessuno di questi casi avevamo dei dati come quelli raccolti da Gottman sulle coppie. Come ormai dovresti sapere John Gottman è uno dei più grandi esperti di coppie, studia queste cose da decenni ed ha rivoluzionato l’ambito della terapia di coppia. Come ha fatto? Affidandosi ai dati e non solo agli aspetti teorici e pratici ma usando videocamere, strumenti di bio feedback, esperimenti di vario genere ecc.
Invece di affidarsi a semplici teorie molto belle ma poco pratiche Gottman si è messo a studiare tutte le coppie, sia quelle nel suo studio, cioè con dei problemi conclamati e sia quelle che reclutava per i suoi esperimenti. Cercando di capire come funzionasse una coppia ben assortita ha scoperto un sacco di cose anche individuali, come ad esempio il fatto che quando la frequenza cardiaca supera i 100 battiti usciamo più facilmente dalla finestra di tolleranza.
La cosa affascinante è che durante i suoi studi si è accorto che una piccola pausa, di circa 20 minuti, era non solo in grado di abbassare la frequenza cardiaca e la tensione percepita ma modificava completamente il modo di interagire delle coppi sotto osservazione. In pratica dopo la pausa funzionavano nettamente meglio!
Mettendo insieme tutti questi dati e la mia esperienza clinica e personale ho deciso negli ultimi tempi di adottare queste pratiche e devo ammettere che funzionano davvero molto bene, sia che si tratti di avere a che fare con mia moglie e sia in un qualsiasi conflitto relazionale.
Perché dobbiamo ricordarci che sono solo le relazioni davvero strette quelle che ci fanno soffrire maggiormente, o in generale sono sempre eventi relazionali quelli peggiori da gestire emotivamente. Raramente saremo molto tristi per una cosa materiale accaduta a meno che non ci sia di mezzo una relazione, una persona… e più è stretta la realzione e più entrano in campo le emozioni.
Insomma è un discorsone che proseguiamo come al solito nel nostro quaderno degli esercizi…
A presto
Genna