Questa è una delle domande più frequenti e scomode per chi si occupa di psicologia, partiamo subito dal principio: la scienza non è una cosa, non è un ambito di studio ma è un metodo di ricerca. Tale metodo ha radici antiche ma essenzialmente si è formalizzato negli ultimi secoli.

Quindi non esistono le scienze ma esistono campi di indagine in cui è sensato applicare il metodo scientifico ed altri meno! In questo post approfondiremo in modo scomposto ma leggero (spero) questa complessa tematica.

La scienza

Come molti sanno il termine scienza deriva dal latino e significa “sapere“, ed è per questo che anche in testi molto antichi ne troviamo traccia. Solo con la sua sistematizzazione e l’avvento dei metodi matematici l’hanno resa come “avversaria” delle altre discipline che cercano di trovare “il sapere”. Proprio come aveva introdotto Platone, abbiamo capito la necessità di creare una conoscenza solida che non fosse appannaggio della soggettività e per farlo abbiamo trovato un validissimo alleato nella matematica.

In questo primo paragrafo ci sono già in nuce moltissimi dei dibattiti che emergono su questo tema: il primo è di origine epistemologica, cioè cercare di capire su cosa si basano le nostre affermazioni, come facciamo a sapere ciò che sappiamo. Se ti dico che secondo me è bene stare attenti in un quartiere pericoloso, una cosa è dire: “perché mi hanno detto che è pericoloso” ed un’altra è affermare: “perché secondo le ultime statistiche qui c’è stata una impennata della criminalità del 40%”.

Il fatto di usare la matematica per metterci d’accordo non è una cosa che nasce nel campo della ricerca ma nasce nel commercio. Le prime forme di scrittura che sono arrivate sino a noi non riguardano la poesia ma riguardano i conti: “Tizio mi deve due pecore e Caio deve due galline a Tizio”. Era una sorta di Blockchain ante litteram, un modo per avere ben chiare le cose anche a distanza e anche per interposta persona.

Un po’ come due bambini che giocano a pallone tutti i pomeriggi sotto casa, ad un certo punto iniziano a litigare per chi sia “il più forte”, come stabilirlo? Da quel giorno conteranno quante partite ha vinto l’uno o l’altro e alla fine dell’anno sapranno chi tra loro due è quello che ha segnato più goal. Se non contassero le cose resterebbero sempre ad appannaggio soggettivo, e come sappiamo ci sono talmente tanti bias nel cercare di valutare se stessi e gli altri che sarebbe impossibile decretare il più forte.

Quindi se uno fa più goal è più forte? Non necessariamente ma almeno abbiamo uno storico su cui basarci e se qualcuno chiedesse: “chi è il più forte?” saprebbero rispondere dicendo, “è Tizio” e se arrivasse la domanda “epistemologica” (come fai a saperlo) la risposta sarebbe semplice: perché abbiamo giocato un tot di partite e lui ne ha vinte più di me. Ciò non significa che la matematica sia indispensabile per ogni tipo di conoscenza ma che di certo aiuta tantissimo a fissare le cose. (Se riesco al termine di questo post ti racconto cosa penso della matematica come linguaggio).

La nostra mente è scientifica!

Se ci pensi il tentativo di capire “come fai a sapere ciò che dici“, cioè da dove derivano le tue osservazioni, è qualcosa di assolutamente naturale. Se un tuo amico ti dice che un altro tuo amico ha fatto qualcosa di interessante, la prima cosa che gli chiedi è esattamente questa: “chi te lo ha detto e poi come fai a saperlo!”. Tuttavia il metodo scientifico è ancora più interessante perché non si accontenta di sapere da dove arriva quello che affermi ma anche come ci sono arrivati.

Questo ha diverse accezioni ma in pratica è il tema della ripetibilità, il più sottile e difficile da validare (che discuteremo anche più avanti*) ma anche uno dei più semplici da afferrare. Se il tuo amico dice: “Luigi ha scoperto che esiste un modo per risparmiare tempo durante gli spostamenti da casa a lavoro”, tu avresti solo un modo per capire quanto sia valido il metodo di Luigi, testarlo! In altre parole per capire se la sua scoperta è realmente valida dovrebbe funzionare anche con te, e in realtà dovrebbe poter funzionare con tutti!

Immaginiamo un uomo delle caverne, un giorno esce per andare a caccia e scopre un piccolo luogo zeppò di selvaggina. Dopo avere fatto un po’ di caccia cercherà per prima cosa di ricordare come ha fatto a raggiungere quel posto, poi lo condividerà con altri membri della propria tribù. E ad un certo punto cercherà di capire come mai c’era tutta quella selvaggina, per farlo dovrà formulare delle ipotesi: forse ci sono alcune bacche di cui sono ghiotti diversi animali? Come verificarlo? Andando alla ricerca di tutte quel segnali che possono indicare la presenza di quelle piante e andando a verificare se c’è la selvaggina.

Nel caso la sua ipotesi venga verificata, cioè trovi della selvaggina, ecco che generalizzera questa conoscenza: dove ci sono le piante rosse è possibile ci siano molti animali da cacciare. Ora la nostra mente è terribilmente attratta dalle storie e dalle narrazioni, quindi non riusciamo proprio a resistere alla domanda successiva: “perché quei frutti rossi attirano la selvaggina?” e qui si apre il mondo perché è facile raccontarci una storia, anche se fasulla. É facile accontentarsi della prima storia che fila: “ovviamente si ciberanno di quei frutti” ed una volta che la storia si forma diventa difficile smontarla.

Quindi noi siamo intuitivamente scientifici quando cerchiamo di capire qualcosa tuttavia la nostra mente tende a cadere in alcuni tranelli, il primo è quello della narrazione ma c’è ne sono davvero tantissimi poco conosciuti. Un secondo tranello è emerso di recente nella storia della formulazione del metodo scientifico e riguarda il tema della falsificazione o falsificabilitá resa nota dal filosofo Karl Popper. Cosa significa? La cosa è complessa ma non è difficile da capire soprattutto se hai seguito i miei esempi sino a qui.

(Questa è una cogitata insieme al Prof. Fabio Grigenti)

Verifica e falsificazione

La prima mossa che un membro della tribù fa quando viene a sapere della selvaggina è cercare di capire se quando vede le bacche vede anche le prede e viceversa, cioè cerca di verificare ciò che ha osservato. Questa è la cosa più intuitiva da notare, cercare di verificare ed è stata studiata con attenzione dal noto Circolo di Vienna ad inizio 900’, il quale pensava che oltre ad una formulazione logica, ad una struttura empirica, fosse necessario cercare di verificare. Più prove abbiamo della selvaggina collegata alle bacche è più è probabile che la ipotesi “bacche = selvaggina” sia corretta, sei d’accordo con me? Si? Fai male, perché in realtà la verifica conduce a diversi errori di ragionamento il più noto è il famoso tacchino induttivista di Russell.

Bertrand Russell racconta la storia di un tacchino il quale viene rifocillato di cibo tutte le mattine alla stessa ora. A furia di verificare il fatto che ogni mattina riceve cibo gratis da una allevatore gli fa pensare che la sua vita sia fatta così, di giri in mezzo ad altri animali e di cibo regolare. Fino al giorno del ringraziamento nel quale il tacchino smette di trovare cibo e diventa egli stesso il cibo! Questa storiella però non spiega bene il fenomeno di cui sto parlando, Russell voleva solo mostrare un errore tipico del ragionamento induttivo che tuttavia limita il processo di ricerca per verifica.

Come probabilmente ricorderai il vero genio qui è stato Popper, il quale aveva compreso il problema della induzione ma fa un passo ulteriore, scopre che ciò che non può essere falsificato non può entrare nel processo di ricerca scientifica. Tornando al nostro strano esempio delle bacche e della selvaggina, se chi si mette alla ricerca di questo legame non riesce a trovare alcuna associazione significa da un lato che non riesce a verificare e dall’altro che non può falsificare le affermazioni del primo.

In un processo scientifico chi ha fatto la prima affermazione, la prima ipotesi, in caso altri non trovassero la stessa associazione dovrebbe essere pronto a mettere da parte la propria. In altre parole non conta che una persona sia stata testimone di una situazione, se questa non si può mettere sotto il microscopio della confutazione, cioè se non può essere messa al vaglio dell’esperienza non può entrare nel processo scientifico. Ora la domanda sorge spontanea, la psicologia ha queste propietà? Si e no, cioè noi possiamo di certo vedere e misurare un sacco di cose, come ad esempio i comportamenti.

Se vendo scarpe e noto che tutte le persone comprano sempre le scarpe poste in un certo punto della vetrina posso escogitare un esperimento, come ad esempio cambiare di tanto in tanto il tipo di prodotto, per vedere se è suscettibile a cambiamento. Formulo una ipotesi, ad esempio che le scarpe poste in quella vetrina avranno un aumento del 20% e poi vedo se riesco a verificarla. A questo punto ti chiederai, come faccio a sapere quante volte hanno senso? Beh non è una cosa lasciata al caso ma alla statistica in particolare a quella che si chiama significatività.

La misurazione

In psicologia così come in molte altre discipline (come la meccanica quantistica) si usa soprattutto una matematica che ha a che fare con le probabilità. Dato che per fortuna siamo tutti diversi è praticamente impossibile avere numeri esatti, se accadesse la cosa sarebbe inquientante ma per fortuna non va così. Esiste una quantità di caso che dopo un po’ non è “più caso”. Facciamo un esempio, immaginiamo che una persona ci dica di essere in grado di influenzare il lancio di una moneta, dichiara sin da subito di essere capace di far venire fuori “tutte teste”.

Per far si che il risultato sia significativo, cioè non casuale, ci dovremo aspettare circa 7 volte la precisione. Nel nostro caso succede quando si fanno 7 teste, il che implicherebbe qualcosa fuori dal caso, ma basterebbe a decretare che abbia un potere sui lanci? No, perché per le leggi della probabilità è addirittura possibile che faccia 10 teste. Per questo non basta una sola volta ma dovrà farlo in varie situazioni, diverse ripetizioni in diverse condizioni. Come vedi per quanto intuitiva la ricerca scientifica nasconde degli aspetti non semplici… e non finisce qui.

Ad esempio per alcuni questa approssimazione indicherebbe proprio il fatto che chi utilizza tali tecniche non sia nel campo della scienza. Ma non è così, altrimenti solo alcune cose della fisica e della chimica sarebbero strettamente scientifiche poiché i loro intervalli di confidenza sono più piccoli. Eppure sappi che questo tipo di ricerca ci influenza ogni giorno, le app, i siti internet, le pubblicità usano metodi statistici, i quali non ci potranno mai prendere al 100% altrimenti non saremmo più umani. E questo vale per moltissime altre discipline comprese alcune che la gente ritiene “ultra scientifiche”.

Quindi come è possibile che alcune cose abbiamo una capacità più alta di essere ripetute in modo esatto? Per una mera questione di complessità, se ci pensi la chimica e la fisica sono 2 ambiti di base della materia. Quando studiamo una roccia, per quanto vi sia un sacco di complessità anche la dentro non sarà mai complessa come un organismo vivente. Ed infatti quando chimica e fisica si uniscono fanno emergere la vita la quale è più complessa, le scoperte della biologia infatti non hanno lo stesso grado di certezza delle due precedenti materie che la compongono.

Se usciamo dalla cellula e vediamo aggregati cellulari possiamo arrivare agli animali e a noi umani (che siamo sempre animali) e la materia che se ne occupa si chiama “medicina”. Se poi prendiamo la medicina, la biologia, il comportamento e le intenzioni ecco che emerge una materia ancora più complessa che chiamiamo psicologia. Via via che saliamo con i livelli di complessità la prevedibilità diventa sempre inferiore, perché? Perché la quantità di variabili in gioco cresce sempre di più!

Vincere la complessità

Quindi se un giorno ci fossero metodi e algoritmi in grado di comprendere tale complessità potremmo avere delle materie precise al 100%? Forse si, la gente non crede che sia possibile ma in realtà lo stanno già facendo soprattutto chi si occupa proprio di algoritmi. Nessuno si sarebbe mai aspettato che un giorno arrivassero metodi di profilazione che arrivano a conoscerci meglio di noi stessi. Nessuno si sarebbe mai aspettato che chiedere ad un computer di prevedere la prossima parola avrebbe creato chat-GPT.

A proposito l’hai mai usato? Ci hai mai chiacchierato (è stato lui a generare le immagini che vedi qui sopra) se per caso lo hai fatto di ceto ti avrà sorpreso scoprire quanto sembri intelligente. Nota che dico “sembri” perché in realtà non è intelligente ma usa complessi algoritmi che lo aiutano a prevedere (ovviamente in modo statistico) quale sarà la parola più probabile messa in fila. Cioè aumentando la capacità statistica ci sembra quasi di dialogare con una persona, assurdo ma realistico. Nonostante ciò non credo che mai riusciremmo a prevedere tutto, così come non prevediamo perfettamente il lancio di un missile.

La psicologia è una materia complessa ed alcuni potrebbero obiettare che si tratti di una finzione proprio perché si tratta di più cose, di una multidisciplina. Ma se ci pensi, come discusso più sopra, la è in parte anche la biologia, la è la medicina, L’ingegneria, l’informatica ecc. Non si tratta di una esagerazione tutta le materie moderne che hanno assunto lo statuto di “scienza” sono insiemi di cose, anche se le studiamo da sempre hanno cominciato a diventare corpus di conoscenza interessante da quando applichiamo loro il metodo scientifico.

La medicina esiste da sempre, da sempre ci siamo occupati di cercare di guarire le persone. Ma è solo da pochi secoli che è diventata qualcosa di più serio, questo significa che sia infallibile? Ovviamente no ma di certo è meglio di tutto ciò che c’era prima, giusto per fare un esempio la teoria degli umori di Galeno è una cavolaia pazzesca. Certo è stato un colpo di genio, di certo ha dato le prime mosse verso una ricerca a se ancora pensassimo alla sua validità, solo perché più antica sbaglieremmo. Un caso simile è quello della medicina tradizionale.

Questo significa che la medicina tradizionale sia una cavolaia? Dipende, di certo quella cultura tramandata da secoli può contenere cose valide ma se queste non superano il vaglio della ricerca, se non possono essere falsificate, se non possono essere misurate e sottoposte ad esperimento. Se non possono essere ripetute, ecco che le facciamo uscire dal processo scientifico. Non è una questione di cattiveria ma di intelligenza, solo che oggi va di moda cercare di dire cose come: “la scienza non può provare tutto” ma la verità è che la scienza non prova un bel niente la scienza è un metodo di osservazione e di studio.

La scienza non può provare tutto

Esattamente come abbiamo visto la scienza non può provare le cose non sottoponibili a verifica empirica. Quindi da un certo punto di vista è corretto affermare che non possa provare tutto ma sarebbe ancora meglio dire che non può STUDIARE tutto perché mancano i presupposti. Torniamo al nostro scienziato ingenuo: se non avesse mai più incontrato l’associazione “bacche selvaggina” avrebbe smesso di crederci per un mero principio associativo.

Tutti gli animali fanno così, metti dei topi dentro un labirinto e gli fai trovare il formaggio sempre nello stesso punto. Dopo poco imparano la strada per raggiungerlo, tenderanno così ad andare sempre nello stesso posto quando si trovano in quel labirinto. Ma se dopo numerose altre prove non lo trovano, smettono di cercarlo. Ci sono molte analogie con l’apprendimento animale, le associazioni creano come delle ipotesi che si perseguono fino a quando sono verificabili, tecnicamente: fino a quando c’è un rinforzo (un premio).

Potrei parlarti per ore delle similitudini tra noi “animali” nel creare conoscenza ma ho ancora alcune cose da raccontarti, torniamo al fatto che la scienza non possa provare tutto. Tale affermazione non ha alcun senso alla luce di quanto detto, la scienza è un metodo di indagine che potenzialmente può essere applicato a tutto ma non tutto rientra nei suoi parametri. Quando si dice “comprovato dalla scienza” significa: “che la ricerca ha dato risultati positivi numerose volte su quel tema” ma non che quel tema sia granitico e consolidato.

Questa faccenda che il metodo è sempre aperto alla revisione non ci piace: “Ah ma scusa ma la scienza dice tutto e il contrario di tutto” perché non è una cosa ma è un processo di indagine che si fonda proprio sul DUBBIO e non sulla certezza. Ma dato che il nostro cervello ama le certezze (e sostanzialmente non conosce il metodo) tende a rifiutare qualcosa di ballerino ed apprezza molto di più ciò che è stabile e granitico. E anche i così detti scienziati ci cascano, soprattutto quelli che ci tengono a sottolineare che la loro “è una scienza esatta”.

Per me dovremmo spiegarla così la scienza ai bambini: si tratta degli occhiali più belli che abbiamo mai inventato per guardare la realtà il punto è quando confondiamo gli occhiali con la realtà. Si forse è troppo per un bambino ma sono certo che chiunque abbia seguito questo lungo post avrà un’altra piccola ed efficace metafora per comprendere meglio questi concetti.

E’ possibile sbagliarsi?

E’ possibile che in realtà la psicologia non sia realmente ciò che pensiamo? Come abbiamo visto in realtà tutti gli ambiti di indagine cambiano nel tempo e si approfondiscono anche in modo decisamente contraddittorio. Ti basti pensare alla diatriba del 900′ sulla meccanica quantistica che oggi rientra perfettamente (o quasi) nel campo della fisica. Ma un esempio realmente calzante è quello dell’alchimia, che nacque come proto-chimica ma che poi cambiò letteralmente metodi e pratiche.

Lo stesso potremmo dire per la filosofia e la psicologia ma il passaggio qui è ancora più interessante. Perché così come l’alchimia ha anticipato molte scoperte della chimica, anche la filosofia ha fatto altrettanto ma dato che abbiamo a che fare con la nostra “mente”, con ciò che ci rende umani, la psicologia è rintracciabile praticamente in ogni nostra opera. Dalla letteratura alle lingue, da come costruiamo la società alla tecnologia più avanzata x.

Qualcuno potrebbe pensare che se prendiamo il substrato più reale dello studio psicologico, cioè la psicobiologia (che ha precorso e anticipato le attuali neuroscienze) sia il vero modello. Quindi tra qualche anno non si sentirà più parlare di psicologia ma solo di biologia comportamentale, questo indicherebbe in modo più o meno netto che si tratti di una sorta di pseudo-scienza. Ma le cose non stanno così per fortuna, perché in realtà è andata esattamente al contrario. La psicologia è un livello di rappresentazione diverso.

Così come puoi utilizzare il computer (tablet o smartphone) che usi per leggermi molto bene senza sapere niente dell’elettronica e dei circuiti che vi sono all’interno. Un ingegnere elettronico saprà usare il livello di rappresentazione giusto per descrivere quel tipo di funzionamento, quello informatico saprà descrivere le architetture dei software all’interno, dei programmi. Sono due livelli di descrizione diversi che ovviamente si intrecciano e si influenzano ma è bene tenerli separati per capire di cosa ci stiamo davvero occupando.

Non tutti sanno che i primi studiosi del cervello si rifiutavano di dare ascolto agli psicologi. Pensavano che si trattasse di due mondi molto distanti e che, ciò che si vedeva da fuori e si riportava attraverso il linguaggio (comportamenti, cognizioni ed emozioni), non fosse altro che un modo poco scientifico di descrivere il cervello. I modelli della mente che gli psicologi costruivano erano solo una specie di speculazione filosofica sul funzionamento umano.

Poi sono arrivate le macchine che guardano dentro alla testa ed abbiamo capito che tutte quelle intuizioni (prima filosofiche) e tutte quelle conferme empiriche (della psicologia sperimentale) si accordavano molto bene alla fisiologia del cervello. Per fare un analogia semplice, è come se avessimo da sempre avuto la possiblità di osservare il funzionamento di una automobile, ma senza poterla mai smontare.

Intuizioni scienza e apprendimento condiviso

La ricerca scientifica si è sempre nutrita di intuizioni, tutte prese da dati di esperienza ma elaborati dalla nostra mente. Continuando la strana analogia, immaginiamo che un popolo antico avesse avuto la strana possiblità di studiare il funzionamento di una automobile, ma senza poterla smontare. L’unico modo possibile sarebbe stato quello di fare degli esperimenti: allora se muovo questa leva cosa succede? E poi via via raccontare a chi ci sta accanto cosa sta succedendo.

E’ la stessa cosa che ha fatto il prof. Sugata Mitra con il suo apprendimento condiviso (temo che nella pulizia di questo blog sia andata persa la vecchia puntata su questo tema, ma voglio riprenderla). Sugata Mitra ha messo dei computer all’interno delle baraccopoli indiane (gli slum), ha fatto in modo che i bambini potessero giocarci liberamente ed ha scoperto delle cose pazzesche. In pochi mesi i bambini avevano compreso il funzionamento del computer e come farci musica e video.

Ci erano riusciti condividendo le informazioni tra di loro in un processo di apprendimento molto rapido. Ora immaginiamo quindi alcuni nostri antenati che cercano di capire come funziona un’auto ma senza poterla aprire, lo so è un esempio del cavolo perché poter poterla usare davvero dovrebbero avere la benzina e altre cose ma immaginiamo che quest’auto magica possa essere usata senza benzina. Così i nostri antenati possono provare ad usarla per molto tempo e creare ipotesi sul suo funzionamento.

Ecco che nascerebbe una “auto-logia” che come una psico-logia cerca di intuire il funzionamento di qualcosa che può solo vedere in azione ma senza poterlo scomporre. Immaginiamo secoli e secoli di osservazione, esperimenti per vedere come va, prima o poi riuscirebbero a guidarla, coglierne le prestazioni e magari capire come aggiustare i piccoli danni. Insomma questo insieme di conoscenze sarebbe poi migliorato dalla possibilità di aprire l’auto e guardare il motore ecc.

La filosofia è stata la prima a fare qualcosa del genere con la mente (e non solo) ed è la stessa filosofia che è arrivata a capire che per conoscere, sarebbe stato necessario passare dall’esperienza e da lì fino alla costruzione di “metodi” scientifici per indagare il mondo. Quindi le neuroscienze non sono altro che un livello di rappresentazione ulteriore che ci aiuta a validare o confutare le nostre intuizioni. Tutto questo processo è il processo scientifico di cui stiamo discutendo e la psicologia ne fa pienamente parte!

Il segreto di pulcinella

Non tutti sanno che la psicologia ha diverse anime, una delle più note è rappresentata dalla psicoanalisi la quale affonda le radici nella ricerca (la prima opera incompiuta di Freud si chiama “progetto di una psicologia scientifica”) ma poi utilizza metafore e metodi della ricerca storiografica e culturale tipica delle materie umanistiche. Ma già prima di Freud molti altri scienziati studiavano la mente ed il comportamento ed il mondo della ricerca della mente si spezza in due: in chi prosegue con il metodo scientifico e chi lo abbandona perché lo vede riduttivo e poco esplicativo.

E’ vero, c’è sempre una intrepretazione umana dei dati e questo vale per tutta la ricerca non solo per la psicologia. La forte radice filosofica ha poi spezzettato le cose con ancora più forza ma la verità è che chi si occupa di queste cose, di classificare cosa sia o meno “scienza”, sa benissimo che la mole di ricerca della psicologia è a tutti gli effetti all’interno del solco della ricerca scientifica. Già Kant aveva costituito diverse categorie per le scienze teoretiche (o descrittive) e quelle pratiche o prescrittive, come ad esempio la differenza tra la biologia e la medicina.

Il segreto di pulcinella è che se la psicologia non avesse abbracciato il metodo scientifico e prodotto una mole enorme di dati affidabili oggi non esisterebbero le facoltà di Psicologia. Ecco una cosa che forse non ti aspetti, magari non esisterebbero le Università ma esisterebbero i professionisti, perché è andata esattamente così. Proprio come i medici prima di creare un albo ed un percorso definito esistevano da secoli e secoli lo stesso vale per gli psicologi, da sempre qualcuno si è occupato di aspetti “mentali” in un certo senso.

A livello pratico arriva prima la prassi della scienza descrittiva, sembra assurdo vero? Eppure è del tutto naturale, prima sorge un bisogno a cui fare fronte e poi la ricerca per migliorare gli strumenti che si sono creati nella fase di risoluzione di quei problemi. Prima hanno costruito le piramidi e poi è nata l’ingegneria edile, per dirla in modo prosaico ma spero efficace.

Concludendo, sì la psicologia è una scienza nel senso che la maggior parte delle sue applicazioni pratiche e utili sono vagliate dalla ricerca fondata sul metodo scientifico. La verità è che dovremmo smetterla di dire “quella cosa è scienza e quell’altra no” ma dovremmo iniziare a dire: quella cosa è validata dal metodo scientifico e quell’altra no. La domanda quindi è: quella materia si fonda sulla ricerca oppure no e la risposta non include l’oggetto di studio in una categoria “scienza o non scienza“.

Esiste dunque una gradualità della ricerca, non esiste una categorizzazione bianco o nero ma esistono metodi che hanno vari gradi di certezza. La ricerca in psicologia ha la stessa validità di quella della medicina e di molte altre discipline, ovviamente non ogni cosa che viene ipotizzata ha questa forza, così come capita in ogni ambito del sapere umano.

Per chiosare: circa 300 anni fa eravamo convinti che le stelle fossero sfere perfette mosse dagli angeli… non aggiungo altro!

A presto
Genna

Ps. Il post è lunghissimo e sei arrivato/a fino a qui complimenti, purtroppo non è esaustivo e ci sarebbe molto altro da aggiungere. Per questo ho inserito la cogitata con il prof. Fabio Grigenti, che trovi qui sopra e in futuro continueremo a discutere di questi temi…


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.