Come alcuni avranno notato il titolo di questa puntata fa il verso ad un famoso libro di qualche anno fa, tuttavia si tratta di un dibattito vastissimo e antichissimo. Che come al mio solito semplificherò cercando di non banalizzare temi profondissimi (lo so è un’aspettativa difficile da perseguire e forse impossibile) per mostrarti come funziona questo Ego e come mai è così rilevante comprenderne i meccanismi. Mi raccomando, se puoi ascolta prima la puntata e poi prosegui con la lettura…

Piano terra

Immaginando questo post come un condominio fatto a piani, più saliremo e più le cose diventeranno complesse, il che non implica che però siano difficili da comprendere (soprattutto se mi segui da un po’ di tempo). Quando parliamo di Ego nella vita quotidiana ci riferiamo alla individualità di una persona, la frase: “quella persona è egoista“, può significare molte cose ma essenzialmente indica che quella persona pensa a se stessa. Pensa alla propria individualità e la mette sopra la collettività, sopra la relazione, sopra i legami, sopra “le altre persone”. La qual cosa sembra davvero squallida in superficie ma a ben vedere…

Noi nasciamo costitutivamente in relazione e siamo intrinsecamente cablati per la relazione. Un esempio molto concreto è la presenza dei neuroni specchio nelle nostre teste, i quali come sappiamo imitano il comportamento altrui e ci consentono di entrare in risonanza con il prossimo in un accoppiamento che viviamo da sempre. Da quando siamo nel grembo materno, fin da quando usciamo e moriamo, siamo sempre predisposti per la relazione ed è la relazione a nutrirci e farci crescere. Tuttavia, come ricorda ognuno di noi ad un certo punto diventiamo adolescenti e vogliamo “liberarci dai legami”.

Tutta la vita come tentativo di diventare individui autonomi, unito alle enormi possibilità che esistono al giorno d’oggi, ci hanno quasi convinti che sia possibile vivere “senza nessuno”, farci da soli. Nonostante questo il cercare di essere autonomi, come sanno i genitori, non è solo un obiettivo in cui spera l’adolescente ma è anche l’obiettivo di una sana educazione. Essere in grado di assumersi le proprie responsabilità e sapersela cavare sono aspetti molto importanti. E per farlo serve un’attenzione verso se stessi che, per varie ed eventuali può essere più o meno intensa.

Ora questa era la critica necessaria che spesso dimentichiamo, perché in realtà noi siamo sempre interconnessi e nasciamo, cresciamo e ci sviluppiamo in collaborazione. Senza questo aspetto la nostra umanità si sarebbe estinta e le prove a riguardo sono moltissime. Tuttavia bisogna ricordare che se da un lato è necessario tenere a mente la connessione dall’altro, per connetterci davvero bene, è necessario un certo grado di maturità e tale crescita dipende dalla nostra autonomia. Per fare un esempio utilizzerò l’analogia del gioco di squadra, che ci aiuta molto bene a capire la questione.

Immagina una squadra del tuo sport preferito: immaginiamo una squadra fatta di campioni, non so tutti bravi come Maradona o Jordan ai tempi d’oro. Ma immaginiamo che vogliano tutti primeggiare, quindi non passano volentieri la palla, non si proteggono vicendevolmente ecc. Come finirà la partita? Probabilmente non troppo bene, perché come sappiamo si chiama appunto “gioco di squadra”, la quale squadra deve sicuramente essere composta da grandi cannonieri ma allo stesso tempo anche da grandi registi e condottieri. Dentro di noi è un po’ la stessa cosa!

L’orgoglio

Se proprio volessi riassumere in forma semplice cosa si intende per “ego” in occidente direi che si accoppia al termine orgoglio. Termine che da dizionario viene anche visto come “eccessiva stima di sé” può essere visto come quell’ego di cui tutti parlano: “guarda quel tizio ha un ego enorme” è come dire che quella persona ha una stima esagerata nei propri confronti. Cosa che di solito viene distinta dalla buona considerazione di sè, da che cosa? Bè dal fatto che chi ha una eccessiva stima in tal senso tende a sentirsi migliore degli altri.

Esatto il termine visto in modo dispregiativo attuale richiama proprio questa stima esagerata verso di se (questa autostima falsa alcuni direbbero) che si fonda proprio sul continuo confronto con il prossimo, cercando di sentirsi sempre migliori degli altri. Pensaci, questo è esattamente ciò che intendiamo quando pensiamo che una persona abbia un ego molto grande, così grande da anteporre i propri bisogni e desideri davanti a quelli di chiunque, anche di chi gli sta accanto e anche di chi è più debole ecc. Insomma una persona proprio brutta brutta potremmo immaginare.

In occidente è facile immaginare l’origine di qualcosa del genere, infatti chi sono quegli esseri viventi che vogliono tutto per se, che non riescono a condividere con altri, che solitamente immaginano il prossimo come sempre a propria disposizione? Lo so ho fatto un dipinto tragico, ma essenzialmente sono i bambini. Si dice che i bambini hanno un egocentrismo tipico, il quale è evolutivamente utile, cioè senza il quale rischierebbero di morire di fame e non riceverebbero le giuste attenzioni. Via via che il bambino cresce e matura si rende conto di non essere l’unico essere sulla terra e che altre persone sono importanti quanto lui.

Quindi essere egoici non significa semplicemente pensare solo a se stessi, essere egocentrici. Ma significa anche non avere una certa sensibilità per i bisogni altrui, per la sofferenza altrui, mancare di una certa empatia e di una certa “mentalizzazione”, cioè la capacità di metterci nei panni degli altri e capire ed anticipare i loro bisogni e desideri. Mentalizzazione, come abbiamo visto diverse volte, è qualcosa di assimilabile al concetto di “empatia cognitiva” cioè la capacità non solo di risuonare con il prossimo ma attraverso tale risonanza anticipare bisogni e desideri non solo contingenti, cioè quando la persona è presente, ma anche quando non è presente.

Come quando incrociamo un amico che non vediamo da un po’ di tempo e dopo poco lui ci dice: “Cavolo ma alla fine come era finita con l’acquisto della casa?”, ricordando che eravate in pensiero per quella faccenda vi chiede conferma. Ecco in quel momento capite diverse cose, la prima è che il vostro amico vi ha ascoltati davvero la scorsa volta; non vi ha solo ascoltati ma ha anche capito che il vostro stato d’animo dipendeva dalle sorti di quell’evento. E quando vi rivede, ponendovi quella domanda è come se vi dicesse: “Mi ricordo che c’era qualcosa che ti dava fastidio, come è andata?”.

Pensare a se stessi

Visto così il pensare a se stessi sembra una specie di peccato ma in realtà ci sono varie sfumature della questione. Così come pensare solo a se stessi sicuramente conduce ad una vita misera e cieca anche cercare sempre di fare in modo che siano gli altri per primi a stare bene può condurre agli stessi risultati. In psicologia abbiamo varie situazioni in cui questo è molto chiaro, la più nota è la sindrome della crocerossina (che viene anche agli uomini), cioè la tendenza a voler soccorrere sempre le altre persone. A voler costantemente cercare di capire cosa le angoscia per alleviare il loro dolore.

Ecco anche questo estremo potrebbe sembrare lontano dal concetto di ego, tuttavia anche questo è molto più vicino di quanto appaia. Infatti chi di solito ha quella sindrome non si prodiga per gli altri con l’unico scopo di farli stare bene, ma il punto è che se gli altri non stanno bene lui/lei non si sentono bene. Di conseguenza è come dire: affinché io stia bene è necessario che le persone intorno a me stiano bene, se stanno mala starò male anche io e quindi mi prodigherò affinché gli altri stiano meglio. La sua forma più estrema l’abbiamo fotografata qualche anno fa nominandola “La sindrome di Fight Club“.

Nel bellissimo film omonimo il protagonista si ritrova in una sorta di crisi esistenziale, un giorno per caso si ritrova in un gruppo di auto-aiuto per persone che hanno un cancro. Ascoltando le loro storie, vedendo la sofferenza nei loro occhi, il protagonista inizia a sentirsi meglio; come se la sofferenza altrui per differenza lo facesse sentire alleggerito dai propri problemi. Quasi che ricordando a se stesso che anche gli altri possono stare male (in termini positivi in questo caso) possa sentirsi più fortunato ecc. Ma non solo, una cosa che ho notato personalmente nel mio studio è un’altra ed è ancora più interessante:

Chi vuole che gli altri stiano bene cerca di curare gli altri invece di se stesso. E’ un modo per alleviare le proprie angosce senza lavorare su se stessi ma lavorando sulle preoccupazioni altrui. E’ un po’ come dire: “mi occupo di te per non occuparmi di me ma indirettamente mi sto occupando anche di me”. Detto in altre parole la regolazione di questa attenzione in modo sano, dal punto di vista occidentale è una via di mezzo, nella quale prima imparo ad occuparmi di me e divento indipendente e poi imparo ad occuparmi anche di te ma senza esagerare in una o nell’altra direzione. Se sono centrato troppo su di me sono guai e se lo sono troppo su di te altrettanti guai.

Hai presente l’analogia con l’assistente di volo che dice che: “in caso ci fosse una depressurizzazione dell’aereo scenderanno le maschere di ossigeno. Se avete bambini piccoli accanto indossatele voi per primi e poi mettetele ai più piccoli”. Ma perché? Perché se tu adulto svieni senza ossigeno il bambino non sarà in grado di indossarla da solo! Questa è un’ottima analogia su come dovremmo vedere l’ego, come questa sorta di via di mezzo tra l’importanza e attenzione che do a me stesso e quella che do agli altri. Immaginando che se sono solo da un versante, non importa quale, significa che qualcosa è andato storto e sarà necessario riequilibrare le cose.

Individualismo e collettivismo

Come molti sanno una delle differenze più rilevanti tra occidente e oriente sta nella spiccata propensione all’individualismo del primo e del collettivismo del secondo. Tema che è stato approfondito da filosofi e politologi negli ultimi decenni. In una cultura maggiormente collettivista come quella orientale dove sono nate le pratiche di meditazione, essere concentrati su se stessi non è solo una forma sbagliata come pensieri e azioni ma come politica. Se pensi a te stesso perdi di vista il fatto che sei in una comunità e che la tua forza deriva da essa.

Un tema che noi in occidente sembriamo aver perso come già spiegato diverse volte. E’ da qui che emergono le differenze sostanziali che si intravedono nella varie culture legate alle pratiche orientali: Meditazione e Yoga e altre. In queste culture l’ego, inteso come pensare a se stessi è qualcosa di molto più complesso, non è solo pensare a se stessi ma è: evitare le cose negative del mondo (evitamento), aggrapparsi a quelle positive (attaccamento) ed ignorare la realtà circostante (ignoranza e/o incosapevolezza). Questi sono i 3 veleni in molte derivazioni del Buddismo, il quale (in accordo con molti pensatori occidentali come Jung e Janet) vede l’ego come una sorta di inganno della mente, una illusione.

Continui a mettere in atto i 3 veleni perché hai paura, perchè sei dipendente e perché sei ignorante (cioè inconsapevole). Nel momento in cui intraprendi il cammino di crescita (la meditazione) ecco via via impari ad affrontare gli aspetti negativi, a lasciar andare gli attaccamenti e a diventare gradualmente consapevole di te stesso. Questo dissolve l’ego come centro della nostra personalità trasformandolo in un campo che accoglie e osserva, trasformandoci in testimoni delle complesse interazioni tra il mondo esterno e quello interno.

Non solo, a furia di osservare questi stati diventa evidente al praticante che in realtà siamo tutti connessi tra di noi. Il che ci porta ad una visione maggiormente collettivistica, nella quale chi pensa ed agisce il contrario non lo fa solo per questioni socio-politiche o economiche ma perché non segue tali percorsi. Mentre è facile immaginare che la differenza tra individualismo e collettivismo sia di natura economico-politica (essenzialmente più siamo poveri e più abbiamo bisogno del prossimo e viceversa) secondo una visione più ravvicinata questo sarebbe causato proprio dalle loro pratiche personali.

Per quanto sia affascinante questa ipotesi però non corrisponde a pieno la realtà dato che moltissimi orientali non praticano la meditazione pur essendo religiosi. E una cosa è sapere che esistono certi precetti ed un’altra è metterli in pratica. Quello stato di lavoro sull’ego avviene solo se ci cimentiamo in quelle pratiche, non avviene perché nasciamo in un’altra parte del mondo. Di certo la cultura conta tantissimo ma gli studi rivelano che anche loro hanno una sorta di “ego al contrario”. Cioè fanno a gara a chi riesce a staccarsi da più cose, chi è più ligio ai precetti religiosi insomma a chi è più “santo del santo”, che è un’altra forma di ego se ci pensiamo bene.

Le pratiche orientali

Insomma potrei parlare per ore di questa faccenda, anche perché ci manca ancora tutta la parte sul Sè e sulla sua illusorietà, il che potrebbe essere accumunato all’Ego ma non è proprio la stessa cosa. Ma per oggi mi fermo qui ricordando le parole di Jung nel suo splendido saggio “Viaggio in India”, il quale ammoniva gli occidentali che praticavano Yoga dicendo qualcosa del genere: non scimmiottate gli orientali con le loro pratiche, perché voi non siete orientali. Ricordandoci che spesso quando siamo fuori da un contesto culturale non possiamo davvero capire cosa accade in quei contesti…

Con ciò Jung non voleva dire “non fate Yoga o meditazione” voleva semplicemente dire: state attenti a non abbracciare ciecamente queste idee e le loro filosofie, perché voi siete diversi e forse, farlo in tal modo potrebbe fare più male che bene. Così pensare di dover annientare il nostro Ego, come se fosse un corpo estraneo di cui loro sono riusciti a liberarsi, è una pia illusione, dato che anche loro “hanno il proprio ego”. Per usare un’analogia sarebbe come per un calciatore andare a fare qualche mese di pallacanestro per mantenersi in forma e poi quando torna a giocare a calcio iniziasse a prendere la palla con le mani e a palleggiare.

Un calciatore potrebbe imparare diverse cose giocando altri sport, come modalità differenti di fare squadra, modi diversi per allenare la visione del campo ecc. Tutte cose utilissime anche nel suo sport, ma se quando entra nel campo da calcio si dimentica le regole di base di quello sport (la cultura) il rischio è che quel tentativo di auto-miglioramento possa trasformarsi in una sorta di trappola. Ergo, possiamo tutti trarre vantaggi dalle pratiche orientali come lo Yoga e la meditazione, ma ricordandoci che noi non viviamo in quel contesto … poi certamente possiamo approfondire leggendo Pierre Hadot il quale ci mostra che anche noi avevamo pratiche del tutto simili.

Ma nuovamente le nostre pratiche, per quanto simili, non accennavano minimamente nell’abbandonare quei tratti tipici di quello che oggi tutti chiamano EGO. Si tratta di contesti diversi, punti di vista diversi e anche di culture diverse. Per questo motivo da anni qui su Psinel parliamo di meditazione scientifica, non è un modo per creare un brand che non esiste. Ho ripetuto molte volte che non si tratta altro che delle pratiche studiate in laboratorio, quindi essenzialmente quelle di derivazione Vipassana e Zen che oggi chiamiamo Mindfulness.

Lo so, il termine “scientifico” fa venire i brividi a tutte le persone che abbracciano le tradizioni. Ma onestamente ho frequentato e conosciuto decine di persone che giocano a fare gli orientali in occidente ed è davvero raro non assistere a forme deviate di ego. Da questo punto di vista sono completamente d’accordo con Jung: andiamo pure a giocare a pallacanestro ma quando torniamo sul nostro campo ricordiamoci che nel nostro sport la palla non si tocca con le mani.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.