Hai mai sentito parlare dell’effetto Dunning-Kruger? Se sei appassionato di psicologia molto probabilmente si, anche perché risale al lontano 1999. Quello è il fratellino minore dell’illusione della conoscenza.
Quando racconto alle persone che “sanno meno di ciò che sanno” la prima risposta è di profonda diffidenza e successivamente pensano che si tratti della “scoperta dell’acqua calda”.
Purtroppo le cose non stanno così e credo che conoscere a fondo tali meccanismi mentali possa esserci di grande aiuto… buon ascolto:
“Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi” Bertrand Russell
In questo aforisma del grande filosofo e matematico B. Russell è condensata tutta la puntata di oggi: meno sappiamo qualcosa è meno strumenti abbiamo per sapere quanto ne sappiamo!
Lo so questa frase sembra una “supercazzola” ma posso assicurarti che non è così. La nostra conoscenza del mondo che ci circonda si è evoluta per “approssimazioni e simulazioni”.
Pensa se un nostro antenato avesse dovuto conoscere tutta la fauna e la flora che lo circondava prima di potersi muovere nel mondo, ci saremmo sicuramente estinti.
Invece il nostro cervello ha la fantastica capacità di muoversi in ambienti sconosciuti senza dover necessariamente capire tutto ma semplicemente affidandosi a ciò che “crede di sapere”.
Più le cose sono complesse e più siamo costretti ad affidarci a tali approssimazioni, non lo facciamo perchè siamo “stupidi o sempliciotti” ma perché questo ci consente di sopravvivere in ambienti sconosciuti.
Economia cognitiva
Tutte le volte che abbiamo accennato al funzionamento del nostro “sistema cognitivo” abbiamo parlato di “economia cognitiva”, cioè del fatto che il cervello tende costantemente a risparmiare energia.
Non lo fa solo perché un tempo era difficile procurarsi da mangiare ma perché se dovesse soffermarsi a soppesare tutte le variabili in gioco diverrebbe vittima della “paralisi dell’analisi”.
Ma mentre un nostro antenato poteva sospettare di “non sapere tutto”, oggi con l’avanzamento della scienza e la possibilità di conoscere tutto “con un click” le cose sono “peggiorate”.
Nel senso che ci sembra di poter conoscere le cose, perché in realtà ne sappiamo molto di più, ma il nostro cervello continua a restare pigro e a preferire le semplificazioni.
E tutto questo si è esacerbato con la possibilità di poter accedere alle informazioni online, dove la gente crede che avere a disposizione la conoscenza, sia conoscere!
L’anti-biblioteca di Umberto Eco
Umberto Eco divideva i visitatori di casa sua in 2 categorie: quelli che si limitavano a fargli i complimenti per la libreria imponente che possedeva e quelli che gli chiedevano se avesse letto tutti quei libri.
Per Eco la biblioteca non era uno “sfoggio di cultura” (come afferma Taleb nel suo spettacolare “Cigno nero”) ma uno strumento di ricerca, qualcosa che ci ricordi che “non sappiamo tutto”.
E’ come se i libri “non letti” siano molto più importanti di quelli che conosciamo o che crediamo di conoscere. Ora per uscire da questo turbinio intellettuale e “complesso” ci basta pensare a qualcosa di molto semplice:
Se non sai fare una certa cosa non hai neanche gli strumenti per valutare le tue abilità in quel campo. Come nell’esempio del nuoto usato in puntata, se non sai nuotare come fai a valutare le prestazioni di un nuotatore?
Puoi di certo restare affascinato dalle gesta di Federica Pellegrini, puoi apprezzare l’eleganza di un tuffo, ma se non lo hai mai fatto, puoi capire solo una minima parte di quel gesto.
Simulazione e apprendimento
Come abbiamo visto in diverse occasioni il nostro cervello si muove nell’ambiente attraverso una serie di simulazioni, cerca di capire il mondo attraverso la continua costruzione di scenari “virtuali”.
In parte lo fa perché gli mancano gli elementi ed in parte perché è un ottimo modo per apprendere. Noi psicologi l’abbiamo visto dapprima con l’apprendimento vicario di Bandura, il famoso modeling.
E poi con la “simulazione incarnata” dei neuroni specchio. Vedi un certo gesto atletico ed il tuo corpo ti dice: “si potrei farlo anche io” perché nella sua simulazione è in grado di farlo.
Questo facilita l’apprendimento da un lato e dall’altro ti illude di saper fare le cose. E in un mondo dove abbiamo molte “simulazioni virtuali” a disposizione, è più facile illuderci di saper fare ciò che osserviamo.
Un esempio lampante è proprio ciò che stai leggendo in questo momento: la gente vede che uno apre un blog, un canale di youtube e pensa: “ma quello li pubblica quelle robe? Anche io sarei in grado di farlo”… allora provaci 😉
L’illusione della conoscenza ci motiva
Come sai il web ci da enormi opportunità, chiunque può aprire un blog, un canale di youtube o di qualsiasi altro social ed iniziare a postare. E osservando gli altri pensare che sia possibile farlo.
E’ proprio attraverso questa simulazione che uno puoi sentirti motivato nel saper fare questa cosa, non stai a pensare: devo fare 10000 cose prima di poter usare bene lo strumento, vedi che tanti lo fanno e pensi di poterlo fare.
Questo è un bene! Lo so che è pericoloso dirlo così ad alta voce, ma senza questa illusione iniziale nessuno inizierebbe nulla. Infatti il vero gioco diventa tale solo dopo un bel po’ di tempo che lo si fa, in qualsiasi contesto.
Suonare uno strumento, tenere un blog, iniziare un nuovo sport e fare queste cose per 2 mesi siamo tutti capaci. Ma farlo per 1 o 10 anni cambia completamente la prospettiva.
Però come ha detto qualcuno di molto più saggio di me: “anche un viaggio di 10000 leghe inizia con un primo passo”, senza questa illusione difficilmente facciamo “primi passi”.
Non pensare mai da soli
Gli studiosi che si occupano di questa “illusione” attribuiscono ad un altro fattore evolutivo tale fenomeno: al fatto di esserci abituati a non pensare mai “da soli”.
Fin dalla antichità le società si sono costituite con la suddivisione del lavoro. Il cacciatore che si occupava di portare le prede a casa non si occupava di come raccogliere frutta, bacche e ortaggi.
Senza tale suddivisione dei compiti non saremmo riusciti a svilupparci e crescere come società. La specializzazione dei compiti ha consentito ai gruppi di diventare più efficienti ed organizzati.
Questo deriva anche dal limite delle nostre capacità, del fatto che non possiamo fare tutto e sapere tutto. Solo che ci dimentichiamo che la suddivisione dei lavori serve a questo.
E, in una società dove sembra che si possa conoscere tutto (come la nostra) cadiamo con maggiore facilità in tali illusioni, nel credere di poter fare “tutto da soli”.
Sopravvalutiamo la nostra specializzazione
I medici sono convinti che senza di loro il mondo andrebbe a rotoli ed in parte hanno ragione. Il guaio è che anche gli ingegneri sono convinti che senza di loro il mondo andrebbe a rotoli ecc ecc.
Chiunque sia specializzato in un pezzeto di competenza crede che la sua sia la più importante. In realtà abbiamo sia bisogno dei medici che degli ingegneri. Ho usato queste due categorie ma potremmo mettercene tante altre.
Restando in questo piccolo esempio: se gli ingegneri non avessero progettato le macchine per la diagnostica ad immagini (TAC, Risonanza ecc.) saremmo ancora nel medioevo della medicina.
Potremmo espandere questo concetto anche in campi apparentemente molto lontani tra di loro. Ogni specializzazione ha un proprio senso e senza questa rete di conoscenze i singoli nodi non si reggerebbero da soli.
Avere uno sguardo sulla complessità, come descritto in puntata, significa sapere che la nostra società e le conoscenze che vi appartengono fanno parte di sistemi complessi a cui dobbiamo “addestrarci”.
L’ecologia
Un esempio lampante della complessità è l’ecologia. Questa materia come studio dell’ambiente ha oltre 1 secolo, ma solo oggi si sente tanto parlare di “cambiamento climatico”, perché i suoi effetti sono diventati evidenti.
Un pensiero “ecologico” non è solo legato all’ambiente ma è anche legato alla complessa trama di interconnessioni che vi sono al suo interno, come ha dimostrato elegantemente Gragory Bateson nel suo capolavoro: “verso un’ecologia della mente”.
Avere uno “sguardo sistemico”, come direbbe Fritjof Capra non è un vezzo intellettuale ma è l’unico modo per riuscire a comprendere la realtà che ci circonda. Altrimenti i medici continuano ad ignorare l’ingegneria e viceversa.
Sapere che il mondo è complesso è la vera chiave per capirlo, per cercare di comprendere tutti i fenomeni che vi accadono, anche e soprattutto quelli che ci interessano, cioè quelli psicologici.
Fluidità Cognitiva
Il nostro cervello è talmente innamorato della semplicità che costruisce delle vie preferenziali quando la trova. Questo è l’effetto della fluidità cognitiva.
Tutto ciò che riusciamo a capire facilmente e senza troppo impegno tende anche a piacerci maggiormente, perché ci consente di mantenere l’illusione della conoscenza senza sprecare energie “cognitive”.
Da un lato è molto utile non dover “reinventare la ruota” tutti i giorni, ma dall’altro lato può diventare pericoloso soprattutto quando affrontiamo cose che non conosciamo ancora.
Questo è un paradosso bilaterale, si perché se da un lato tendiamo ad apprezzare ciò che è per noi “fluido” non ci rendiamo conto dall’altro lato che tale fluidità cambia da persona a persona.
Tornando al nostro medico e al nostro ingegnere, per un medico sarà più facile interpretare il mondo da un punto di vista biologico mentre per un ingegnere dal punto di vista della “fisica” e della “meccanica”.
L’illusione della conoscenza
L’illusione della conoscenza è il nome che ho preso dalle ricerche di Steven Sloman e Philip Brenbach che hanno pubblicato anche un testo in italiano con lo stesso nome (lo trovi nel link qui sopra).
Come descritto in puntata, i due “scienziati cognitivi” hanno svolto degli studi davvero interessanti, alcuni talmente banali da risultare spiazzanti ed auto-evidenti.
Come quello della bicicletta che ti ho descritto, dove i soggetti erano invitati a completare alcuni disegni di biciclette incomplete. Lo hanno fatto anche con strumenti che usiamo tutti i giorni come “le penne”.
Dimostrando che siamo realmente immersi in una sorta di “inconscio artificiale” (Legrenzi ed Umilità) che corrisponde a quella teoria delle “scatole nere”: viviamo immersi in cose che non conosciamo.
L’avvento del digitale ha peggiorato questa sensazione, il problema è che alcuni sono completamente inconsapevoli di questo, e anzi credono di sapere molto più di ciò che sanno realmente.
Proprio come le persone a cui è stato chiesto di descrivere il semplice funzionamento di una penna o di completare il disegno stilizzato di una bicicletta, senza catena o pedali.
Bianco e nero
Il pensiero “bianco/nero” è tra i più affascinanti in assoluto: perché rispecchia in pieno l’illusione della conoscenza ma in certi contesti è essenziale per delimitare il campo della conoscenza.
Non potendo sapere tutto dobbiamo imporre dei paletti ed affermare che una certa cosa è tale solo se rispetta determinati parametri. Altrimenti tutto è tutto… perché la nostra rete sistemica ci mostra che tutto “è collegato con tutto”.
Questo non dovrebbe scoraggiarci ma semplicemente farci aprire gli occhi verso un mondo molto più complesso ed affascinante. Non si tratta di magia o di newage, come nel video che hai visto qui sopra.
Il fatto che Capra sia apprezzato in tali ambienti non significa che lui sia una sorta di santone, tutt’altro. Perché spesso negli ambienti “spirituali” si cerca di spiegare le cose da molti punti di vista.
Tuttavia cercare spiegazioni nell’anima quando basterebbe conoscere meglio la complessità della natura è un altro errore cognitivo. Non a caso gli antichi pensavano che a mandare piogge e fulmini fossero degli Dei.
Insomma come vedi è molto più complesso di così… per oggi mi fermo perché potrei andare avanti ancora per molto, continuiamo la nostra discussione nel Qde.
A presto
Genna