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Hai mai provato a metterti li e praticare la meditazione di consapevolezza? Allora quasi sicuramente ti sarai accorto che, nonostante le istruzioni siano molto semplici, è davvero difficile restare nel presente.

Ma dove va a finire la nostra mente? Tempo fa ti avevo parlato dell’importanza di notare quando la nostra attenzione scivola nel passato oppure nel presente, in una dimensione temporale. Oggi scoprirai altre 2 dimensioni che ti aiuteranno a comprendere meglio questi “movimenti mentali”.

Allora l’hai ascoltato? No perché c’è un “bel po’ di carne sul fuoco” e mi auguro che tu non sia vegetariano…ovviamente sto scherzando! Prima di discutere questi argomenti lascia che faccia il punto schematico della situazione:

  1. Ti ho detto che per “rafforzare la mente” dobbiamo essere in grado di riconoscere i nostri contenuti mentali.
  2. Che questi contenuti mentali appartengono a “dimensioni” collegate ma diverse.
  3. Conoscerle aiuta a ri-conoscerle durante la pratica e quindi a differenziarle attraverso il discernimento che è “diverso” dal “giudizio di valore”.

Allora andiamo con ordine partendo dal primo punto. Da tempo ti parlo dei risultati della meditazione di consapevolezza sul nostro benessere psicologico, non si tratta ne di suggestione e ne di elaborazione mentale razionale.

Ma semplicemente di allenare la mente (anche se questo non è il termine più corretto) a riconoscere i suoi movimenti senza identificarci con essi. La tecnica è semplicissima, osserva le tue sensazioni ed ogni volta che ti distrai, torna gentilmente alle tue sensazioni.

Questa sarebbe la pratica nella sua forma più pura e semplice. Tuttavia, in questi ultimi 30 anni, i miei colleghi hanno cercato di massimizzare questo sforzo, identificando gli elementi da osservare.

Diverse pratiche psicologiche come l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) o la DBT, hanno integrato nei loro approcci esercizi di consapevolezza semplificati che hanno dimostrato sul campo avere effetti positivi.

Sulle spalle di questi studi ho iniziato a notare l’utilità, sia in termini di apprendimento e sia in termini di “aumento della consapevolezza”, del conoscere in anticipo gli elementi da osservare durante la pratica.

Ok Genna scusami un attimo, ma la pratica non è allenarsi a notare ciò che emerge momento per momento? Allora, se mi preparo prima non sto viziando il mio sguardo a cercare proprio quelle cose, in un qualche modo, creandole?

Ottima domanda! La risposta è si e no… da un lato hai perfettamente ragione, il fatto di dire prima ad una persona di notare “le sensazioni piacevoli” può essere un modo per suggestionarlo a cercare qualcosa che, potrebbe anche non esserci.

Tuttavia, nella esperienza di migliaia di praticanti, per quanto sia qualcosa di soggettivo ed unico, possiamo ritrovare degli aspetti comuni. Alcuni di questi sono racchiusi nelle 3 dimensioni che hai ascoltato nel podcast.

Quindi, mentre il “rilassamento” potrebbe non esserci affatto, di certo quando la mente si distrae, finisce in una dimensione temporale e/o edonistica e/o morale. Quindi o ti perdi nel tempo, o nella valutazione di “bello o brutto” oppure nel chiederti se è “giusto o sbagliato”.

Non si tratta delle uniche dimensioni in cui “vai a finire mentre pratichi” ma di certo tutti ne possiamo avere avuto esperienza diretta, anche se non ci siamo mai seduti in silenzio ad osservare i nostri “movimenti mentali”.

Parliamo di “movimenti” perché la mente è un verbo e non un sostantivo!

In altre parole i pensieri, le emozioni, i sentimenti, i tuoi umori, i tuoi giudizi ecc. non sono scolpiti nel marmo, ma sono processi che vanno e vengono all’interno di quella che, per semplicità chiamiamo mente.

Se hai un pizzico di esperienza con la pratica, ti rendi conto da solo di questo fenomeno dinamico. Ma ci si può arrivare anche attraverso il puro intelletto, anche se il modo migliore per “apprezzarne la fattezza” è quello di fare una reale esperienza personale.

Iniziamo quindi ad addentrarci nel secondo punto, mostrandoci che questi “movimenti” hanno la stessa natura, si comportano in modo molto simile e si influenzano vicedevolmente.

Ad esempio: per alcune persone trovarsi nel passato può significare soggettivamente, trovarsi in ricordi negativi o positivi (l’edonismo) oppure ricordi di azioni giudicate come “buone o cattive” (la dimensione morale).

E’ interessante notare oltretutto che queste 3 dimensioni hanno, a livello cerebrale, sia aree in condivisione e sia zone completamente diverse di elaborazione. Ecco quindi che andiamo al terzo punto di questa descrizione:

L’utilità nel riuscire a riconoscere quando finiamo in una certa dimensione.

Ora, è chiaro che puoi semplicemente accorgerti di non essere più nel presente e ritornare a ciò che stavi facendo. Questo è l’esercizio principe di ogni pratica di consapevolezza, via via che osservi te stesso impari a conoscerti e a gestirti in modo nuovo.

Tuttavia farlo non è facile… ripeto una cosa di qualche post fa: “tieni a mente che semplice non sempre significa facile”. Tutti gli insegnamenti saggi sono semplici ma difficilissimi da seguire, proprio come la pratica di consapevolezza!

Per cui, sapere in anticipo che potresti finire con la mente, “di qui o di la” è un buon modo per apprendere velocemente la tecnica. Si tratta di una modalità semplificata di avere una sorta di “feedback”.

In ogni apprendimento… più feedback abbiamo e più velocemente impariamo!

Immagina di non conoscere le regole di un certo gioco (mettiamo gli scacchi), se ti limiti ad osservare senza feedback ci metterai un sacco ad imparare, se invece qualcuno ti corregge e/o addirittura ti mostra le regole di base prima, allora diventa molto più semplice apprendere.

Lo stesso vale per qualsiasi tipo di apprendimento. Per questo gli esperti di ogni settore psicologico stanno cercando strutture tecniche e teoriche per far apprendere la consapevolezza, magari senza passare 10 anni in una grotta a meditare!

Ovviamente scherzo, la si può raggiungere anche solo stando seduti in osservazione mindful, ogni giorno per qualche tempo (in base all’intensità del training).

La nostra “scienza moderna” ci ha messo un sacco a comprendere questi aspetti positivi della pratica. Ma in realtà in ogni forma di “conoscenza interiore” sono sempre esistite tecniche simili, almeno da quando abbiamo imparato a scrivere e a tramandarci conoscenza e cultura.

Secondo molti scienziati negli ultimi 40000 anni non ci siamo evoluti biologicamente ma culturalmente. Quindi la differenza fra noi ed i nostri antenati non sta nella anatomia, in come siamo fatti, ma in quello che sappiamo… la cultura a tutto tondo!

Se consideriamo i processi mentali (i movimenti della mente) come elementi singoli di un sistema, allora comprendiamo bene l’utilità di riuscire a differenziarli.

Come ti raccontavo due strumenti riescono a creare un’armonia quando, sono sintonizzati tra loro ma allo stesso tempo sono “differenziati”. Altrimenti ciò che ascolteresti sarebbe lo stesso suono più forte, in termini di volume.

Lo stesso vale per ogni elemento che si trovi inserito in un sistema (e quale elemento in natura non lo è?;))

In fondo, quando osservi in modo mindful stai differenziando le cose che ci sono da quelle che non ci sono. Le sensazioni dai pensieri… i pensieri dalle emozioni ecc. E secondo le ricerche di Daniel Siegel e della sua neurobiologia interpersonale…

…ogni volta che differenzi (durante la pratica) stai anche aprendo la strada dell’integrazione, proprio come i nostri strumenti musicali si integrano nel creare una melodia, una sinfonia!

Durante questa settimana, aggiungi un pizzico di consapevolezza a queste 3 dimensioni…spero sia chiaro che non sono “le uniche dimensioni”…tu intanto osserva queste e poi vieni a farmi sapere come è andata.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.