Cosa fa funzionare davvero la meditazione? Questa sembra una domanda strana, sono millenni che la pratichiamo ed esistono fiumi di parole che hanno cercato di descriverne il funzionamento. Tuttavia la maggior parte di queste descrizioni è legata ad aspetti tradizionali e metafisici… è possibile trovare dei punti saldi a livello scientifico e sperimentale?

De-costruire la meditazione

Tutto ciò che studiamo oggi è stato in un qualche modo intuito nell’antichità, un esempio per tutti è la mega intuizione dell’Atomo da parte di Democrito, ma ne esistono una quantità enorme. La idea di un atomo (oggetto indivisibile), come mattoncino primo della materia è stata intuita millenni fa ma da Einstein in poi sappiamo che non si tratta di qualcosa di indivisibile e che al suo interno “ci sono altre cose”, le quali ci stanno aiutando a capire come funziona la materia e in generale l’Universo.

Da millenni conosciamo le pratiche di meditazione, esistono così tante pratiche e metodologie che non è affatto facile descriverne una, tuttavia tutte hanno dei denominatori comuni: si assume una posizione, spesso si chiudono gli occhi, ci si concentra su qualche cosa di specifico. Oggi, alla luce della psicologia e delle neuroscienze si evidenziano sempre più meccanismi comuni di funzionamento, al punto tale che nel campo della psicoterapia sono molti gli approcci che annettono queste pratiche o almeno alcune loro caratteristiche.

Tutto ciò mi ha fatto pensare al fatto che riuscire a de-costruirla potesse portarci a capirla ancora meglio e anche a comprendere quali sono le parti che la rendono “buona per noi” e quali sono invece quelle parti che ci portiamo dietro solo per motivi tradizionali. Senza togliere nulla alla tradizione, agli aspetti culturali e religiosi, non possiamo affidarci ad essi per valutare la efficacia di una pratica, ma dobbiamo necessariamente metterla sotto il microscopio della ricerca moderna.

So quali sono le critiche principali a questo approccio: “mica vuoi metterci di mezzo la scienza, la scienza non capisce niente, lo studio dell’interiorità ha a che fare con l’anima, con il divino, mica con la fredda materia e con la scienza”. Ecco se la pensi così sappi che sei nel posto sbagliato, perché in realtà la “scienza” non è una cosa ma è un processo di conoscenza, e per quanto mi riguarda è il miglior processo di conoscenza che abbiamo sviluppato nei secoli.

Quindi non esiste una cosa che è scientifica ed un’altra che non la è, ma esistono cose analizzate con un metodo (quello scientifico) ed altre che non lo sono o non lo possono essere. Non possiamo studiare scientificamente l’anima o il divino, ma possiamo capire se una pratica possa fare bene o male attraverso gli strumenti della ricerca. Ed è per questo che parlo di “meditazione scientifica“.

La meditazione scientifica

Dunque il termine “meditazione scientifica” non è solo una provocazione ma è anche una indicazione, vedi a ma piacciono le cose che funzionano anche senza crederci. Questa è una meraviglia della scienza, non hai bisogno al fatto di credere nella gravità, se ti lanci dalla finestra cadrai inevitabilmente, non hai bisogno al fatto di credere che fare esercizio fisico migliorerà la tua salute, se lo farai adeguatamente i miglioramenti saranno inevitabili.

Lo stesso vale per le pratiche di meditazione, non hai bisogno di credere che funzioni, che porti vantaggi alla tua mente e al tuo funzionamento. Certo se pensi per obiettivi metafisici allora le cose cambiano: se pensi che la meditazione serva per connetterti al divino, per illuminarti e diventare santo e cose del genere allora è chiaro che DEVi crederci. Ma se vuoi ricevere le decine di vantaggi che sono stati studiati dalla ricerca, non hai bisogno di credere in niente, devi solo praticare.

Questa è una visione fredda e poco romantica, a tutti piace pensare di avvicinarsi ad energie cosmiche, di acquisire poteri particolari che altri non hanno, ma la verità è che non esistono prove del fatto che meditare ci renda dei super uomini ma esistono prove del fatto che faccia molto molto bene. E i benefici più grandi che si possono riscontare sono di ordine psicologico: tranquillità, chiarezza mentale, prontezza, capacità di lasciar andare, maggiore focus ecc.

Potrei dire ad una persona: siediti tutti i giorni e conta 40 respiri cercando di sentire l’aria che entra e che esce e ogni volta che noti una distrazione, torna gentilmente alle sensazioni del tuo respiro. Queste semplici istruzioni, senza aggiungere niente sono già sufficienti a raggiungere enormi risultati. Perché equivalgono a dire ad una persona: esci di casa tutti i giorni e corri! Per quanto correre possa essere semplice (ma non facile) non conta che tu ci creda o meno, se corri spesso e in modo regolare il tuo corpo cambierà in meglio!

“Si, però se corri male ti fai male”, certamente ma non dipende dal fatto che non si creda in una qualche forma di tradizione dipende dal fatto che non sai correre o che non ti fai seguire da un personal trainer ecc. Cosa può dirci se una persona corre male? Una ricerca delle cause, la formulazione di ipotesi e la loro messa in discussione… in pratica un metodo di ricerca, un metodo che a molti piace chiamare “scientifico”.

La ricerca del principio attivo

La ricerca del principio attivo è una analogia che amo raccontare quando parlo dell’analisi di rimedi tradizionali nel campo della psicologia. Facciamo un esempio molto pratico: “prima di parlare conta fino a dieci” dicevano i nostri nonni. Nella saggezza antica e popolare è rimasta questa idea (corretta) del fatto che quando siamo molto attivati (arrabbiati) non ragioniamo più correttamente come prima, per tanto è bene lasciare un piccolo lasso di tempo.

Oggi potremmo descrivere questa faccenda come il lasciare il tempo al nostro sistema emotivo (limbico) di calmarsi prima di poter ragionare correttamente. Il principio attivo di questa pratica sta nell’aver intuito che una piccola pausa può aiutarci a funzionare meglio. Questa pratica è molto semplice da analizzare e anche da comprendere nel suo funzionamento, ci sono però altre cose tradizionali che in realtà sono maggiormente ambigue, come lo sfogarsi.

Esprimere catarticamente le proprie emozioni fa bene? Dipende, secondo questa idea dovremmo sfogarci magari prendere a pugni qualcosa prima di parlare, ebbene la ricerca ha dimostrato che questo non è propriamente vero. Una volta che abbiamo esaurito le energie fisiche ci calmiamo ma non appena torna un pizzico di energia ecco che quella emozione ritorna. Anche questa cosa che sembra così scontata: è bene sfogarsi, non la è affatto dal punto di vista della psicologia moderna.

Le cose diventano molto complesse quando le pratiche sono più complesse, come la meditazione. Per prima cosa non esiste una pratica univoca, poi esistono molti modi per praticarla, poi esistono pareri discordanti sulle pratiche tra le diverse tradizioni. Allora cosa è che la fa essere così efficaci? Ecco perché la ricerca di un principio o dei principi che le consentono di darci quei vantaggi, che l’hanno fatta giungere sino a noi, può essere davvero davvero importante.

Cosa c’entra la scienza o meglio il metodo scientifico con tutto ciò? Essendo il miglior metodo per indagare la realtà circostante c’entra un bel po’. A questo punto la analogia che amo maggiormente è quella della scoperta dei principi attivi chimici che ci circondano. Una cosa che se detta maldestramente fa sembrare tutto una sorta di inno all’illuminismo ma così non è, è un inno alla consapevolezza di come funzionano le cose intorno a noi, perché le cose sono sempre più complesse di come appaiono.

Le cose sono sempre più complesse di come appaiono

Il mondo intorno a noi è più complesso di come ci appare, questo lo abbiamo capito proprio attraverso l’abbandono dei dogmi e l’avvio di ricerche basate sempre di più da un metodo. Fino a pochi secoli fa eravamo convinti che: i sentimenti fossero nel cuore e non nella testa, che i pianeti fossero sfere perfette spinte dagli angeli (Keplero) ecc. Insomma è innegabile che da quando abbiamo iniziato a parlare di metodi di ricerca abbiamo scoperto una cosa straordinaria: che non sappiamo un bel niente.

So che chi non ama la scienza ama usare questo argomento: “Eh se lo ammettete anche voi seguaci della scienza che non sapete niente, allora?”. Be allora noi sappiamo di non sapere perché conosciamo, fino a qualche secolo fa pensavamo di sapere molte più cose, la gente quando aveva un dubbio andava dal prete e questo gli consigliava le “scritture”, nelle quali c’era la verità per qualsiasi cosa. Anzi, chi diceva il contrario solitamente non faceva una bella fine.

Questo non è un discorso anti-religioso ma serve per inquadrare le cose, soprattutto quando abbiamo delle pratiche che ci tramandiamo da millenni e vogliamo cercare di capire come funzionino. Non mi basta per niente sapere che le facciamo da tanto, sapere che ci sono persone “illuminate”, sapere che è tutto scritto da qualche parte… voglio indagare ed il metodo migliore per farlo è quello scientifico. Che, come dovremmo ormai sapere tutti non è una cosa ma è una procedura.

Cioè quando la gente dice: ma quella materia (come la psicologia) non è una scienza, non ha ben chiaro cosa intendiamo per scienza negli ultimi 2 secoli, materia iper dibattutta tra scienziati e filosofi. Oggi sappiamo che la scienza è un metodo di ricerca, un metodo che tra l’altro assomiglia tantissimo al nostro modo naturale di pensare quando siamo liberi da preconcetti. Immagina un uomo preistorico che trovi dei meravigliosi alberi da frutta in una zona specifica.

Ecco inizierà a farsi delle ipotesi: forse crescono lì perché sono esposti al sole, forse perché c’è un fiume lì accanto, forse perché abbiamo sacrificato quell’antilope. Poi via via che si avventura per il mondo scopre che anche se sacrifica altre mille antilopi non arriva alcun frutteto magico di colpo e che magari è più probabile che derivi dal sole e dall’acqua e via dicendo. Cioè costruisce ipotesi e poi le mette in discussione con l’esperienza empirica, questo è già una sorta di proto-metodo scientifico in atto.

Rispetto per le tradizioni

Le tradizioni vanno rispettate perché al loro interno c’è sempre una saggezza che le nuove generazioni faticano a comprendere, tuttavia questo non significa che la tradizione abbia sempre ragione, dunque ecco che il metodo scientifico può aiutarci a capire: cosa tenere della tradizione e cosa lasciar andare. Si, perché per quanto ti piacciano le cose tradizionali o spirituali non puoi far finta che la ricerca non esista.

Hai presente l’adagio: “scegli la meditazione che fa per te“? Ecco io ci credo sino ad un certo punto, certo che tra le varie tecniche alcune ci piacciono maggiormente, ma questo non significa che fare qualsiasi tipo di pratica abbia lo stesso effetto. Per quanto mi riguarda, sperimenta e scegli la pratica che ti piace di più ma tra quelle comprovate dalla ricerca!

Guarda caso tra quelle comprovate dalle ricerche il denominatore comune è molto chiaro, ed è la nostra cara consapevolezza. Per questo quando mi chiedi: “cosa faccio il bodyscan o seguo il respiro?” la mia risposta è spesso: “quella che vuoi tanto alla fine ti renderai conto che sono la stessa cosa”. Si, sono davvero la stessa cosa: prestare attenzione alle sensazioni dell’aria che entra e che esce è la stessa cosa che prestare attenzione alle sensazioni del tuo corpo.

Tecnicamente si tratta sempre di propriocezione, cioè della consapevolezza del nostro corpo nello spazio. Per alcuni sarà più semplice sentire il respiro per altri il corpo, ma si tratta sempre di sensazioni del nostro organismo che ci aiutano a fare due cose: restare nel presente, perché le sensazioni sono sempre “qui e ora” e riuscire ad osservare i nostri pensieri, la disidentificazione. Questa seconda parte sembra la più esoterica ma si può spiegare molto facilmente.

Sensazioni e pensieri (contenuti interiori) competono tra di loro: più senti e meno pensi… o meglio, più senti e più riesci a staccarti dai pensieri fino ad osservarli. Solitamente noi facciamo il contrario, siamo talmente immersi nei nostri pensieri da non riuscire a sentire o da preferire il pensare al sentire, perché è meno dispendioso a livello energetico (e non solo).

Insomma tutte cose che probabilmente mi hai già sentito dire molte volte, prossimamente ci sarà un’altra puntata dedicata alla nostra “de-costruzione della meditazione“. Facci sapere cosa ne pensi…

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.