Usi troppo il tuo smartphone? Sai quanto male può fare alla tua salute? Sapevi che la presenza di un cellulare in una stanza può rendere “tutti più stupidi”?

Queste sono solo alcune delle preoccupazioni degli scienziati che studiano gli effetti delle nuove tecnologie sulla nostra psicologia, ma è davvero così?

“Si, perché sui social tendiamo tutti a dare un’immagine fasulla di noi stessi”, direbbe la maggior parte dei miei colleghi attempati ma… ascolta la puntata:

Mentiamo 3 volte in meno di 10 minuti

Alcuni studi di qualche tempo fa hanno provato che, durante una prima interazione con uno sconosciuto, tendiamo tutti a sparare mediamente 3 bugie nei primi 10 minuti di socializzazione.

Questa notizia che può sembrare assurda non la è così tanto se immaginiamo uno di quei classici “speed dating”, dove le persone si incontrano per un tempo limitato e devono presentarsi ad un estraneo.

Ma soprattutto in quel tempo limitato devono poter “fare colpo sul prossimo” e per farlo sembra che quasi tutti tendano a prendersi qualche “libertà dalla verità”.

Se uno fa l’impiegato alle poste potrebbe dire: “sono un esperto di processo di analisi dei big data alle poste” o qualcosa del genere. Piccole bugie che ingrandiscono il nostro ego.

Tutto questo è legato ad un fattore che psicologi e sociologi conoscono da almeno 50 anni, la desiderabilità sociale.

Se posso apparire più desiderabile, lo faccio!

Uno degli aspetti di tale costrutto derivante dall’utilizzo di questionari è stato notare che se le risposte includono la possibilità di apparire “maggiormente desiderabili”, molti tenderanno ad sceglierla.

E’ un po’ come dire: hai 3 abiti a disposizione per uscire la sera, il primo è quello che utilizzi di solito, il secondo è un abito preso a caso e il terzo è un abito che ti fa sembrare più alto, magro e bello, quale scegli?

Mi sembra abbastanza scontato che la maggior parte delle persone, se messe di fronte ad una situazione sociale nuova, tenderanno a scegliere il terzo abito. Perché nessuno vuole apparire meno bello di quanto è.

Semmai la tendenza è opposta, ognuno di noi desidera mostrare il proprio lato migliore. Questo è negativo? Si se pensiamo a tutti i problemi legati al connubio tra moda e disturbi alimentari.

Si se pensiamo che più mentiamo a noi stessi e più ci facciamo del male. Ma in linea di massima tutti cerchiamo di dare una immagine positiva di noi stessi.

I primi 3 secondi

Secondo alcuni studi nei primi secondi di una nuova interazione tendiamo a farci un’idea abbastanza precisa di chi ci sta davanti. “Precisa” per noi ma effettivamente non oggettiva!

Perché siamo così rapidi a creare tale immagine? Perché anticamente avevamo pochissimo tempo per capire se chi ci stava davanti aveva buone o cattive intenzioni nei nostri confronti.

La cosa incredibile è che al di la dei pregiudizi, alcune ricerche dimostrano che siamo particolarmente bravi nell’indivuare alcuni tratti di personalità “al volo”.

Ad esempio le donne capiscono in pochi istanti se l’uomo che hanno davanti è uno “da sposare” o è uno con cui “divertirsi e basta”. Solo guardando delle foto.

Insomma il sistema è grossolano e fa un sacco di errori ma ci ha consentito di sopravvivere sino ad oggi, per cui “cavallo che vince non si cambia”!

Belli e buoni

Mostrarti bella e buona non è solo una cosa legata ai social. L’arte di tutti i tempi ha fatto una sorta di equivalenza “buono uguale bello”.

I buoni delle storie sono spesso dipinti come “belli e aitanti”, viceversa i cattivi sono spesso mostrati come “brutti e zozzi”. Una sorta di effetto alone.

Dove le caratteristiche fisiche vanno a confondersi con quelle morali dei personaggi descritti. E purtroppo tendiamo a fare lo stesso con le persone in carne ed ossa.

Quindi nuovamente: i social ci stanno facendo diventare tutti dei “dandy” super attenti all’aspetto fisico e alla moda? Forse stanno spingendo con più forza, ma tale spinta esiste da secoli.

Nota: in realtà alcune culture, come quella cristiana, avevano intuito che il “bello non sempre corrispondesse al buono”, infatti il diavolo è spesso raffigurato come un “bell’uomo” o una “bella donna”.

Ecco una passeggiata che abbiamo dedicato all’effetto alone

Quindi i social sono innocui?

La risposta è “assolutamente no”! Nessuno strumento è innocuo di per se soprattutto quando è molto molto potente. Anzi più è potente e più può trasformarsi in qualcosa di negativo.

L’aspetto che più spaventa è legato all’enorme quantità di denaro che fanno gli imprenditori che stanno dietro ai social. Tanti soldi uguale tanta capacità di ricerca e sviluppo.

E cosa devono fare per mantenere i propri guadagni? Devono farci passare il maggior tempo possibile sulle loro piattaforme.

Più traffico hanno più valgono in borsa, detto in modo molto semplicistico. Per tanto non stupisce che utilizzino ogni mezzo possibile per aumentare la permanenza sui social.

Fino a studiare nei minimi dettagli i colori, le interazioni, le notifiche ecc. con il fine ultimo di farti restare appiccicato, di renderti quindi “dipendente”.

Una differenza sleale

Ora si potrebbe pensare che sia sleale avere 1000 super ingegneri che studiano ogni singolo dettaglio per incollarci agli schermi, ma anche questa tendenza è sempre esistita.

I retori dell’antica Grecia studiavano ogni singola parola e gesto prima di fare un discorso politico, lo scopo? Quello di farti cambiare opinioni e atteggiamenti.

Ma per far avvenire tale “cambiamento” o “affiliazione” era necessario che tu restassi incollato a quel discorso a quell’oratore. Tecniche di comunicazione che non hanno nulla da invidiare al moderno marketing.

Lo stesso possiamo dirlo per le opere teatrali e poi in epoca più recente per i giornali, le riviste ed i libri, tutta l’editoria in generale.

La capacità di attrarre l’attenzione di molte persone e di guidarla è qualcosa che è sempre esistito.

Suonare dal vivo

Quando ero “giovane” volevo fare il musicista, come ogni ragazzino impallato di musica avevo le mia “band”. Giravamo per locali e localini alla ricerca di ingaggi.

Vuoi sapere cosa interessava al proprietario del locale? Che suonassimo bene? Che fossimo creativi e innovativi? Assolutamente no!

Ciò che interessava maggiormente era sapere quanta gente saremmo riusciti a portare nei loro locali. Perché? Perchè quelli consumavano e facevano tornare i soldi dell’ingaggio nelle tasche del proprietario.

I piccoli gruppi erano degli investimenti, se investivo 100 per un gruppo mi aspettavo che almeno mi portasse 200 o 1000. Semplici regole di mercato.

Si, anche 20 anni fa non contava quanto fossi davvero bravo a suonare, ma quanta gente apprezzasse ciò che facevi. Il punk inglese degli anni 80′ ne è una super dimostrazione.

Il vero problema dei social

Forse il problema più grande legato ai social e in generale ad internet è la privacy. Sappiamo ormai bene che quando diamo il nostro assenso ad un servizio gratuito ci stanno “prendendo i dati”.

E’ qualcosa che sembra terribile ma in realtà è una delle poche monete di scambio qui sul web, anche su Psinel ti chiedo la tua email in cambio dell’entrata nella community.

Ma a questo ci pensano le leggi, come il terribile GDPR al quale tutti noi ci siamo dovuti adeguare nell’ultimo anno (con costi e sbattimenti importanti).

Il vero problema psicologico è legato alla “virtualità” della cosa, al fatto che tendiamo a immaginare che ciò che stiamo guardando “sia vero”… ed in parte lo è.

La verità delle relazioni

Prendiamo in esame uno dei dolori psichici più forti per l’essere umano: l’essere rifiutati. Che tu venga cacciato via da un gruppo di amici o da un gruppo di Facebook, cosa cambia?

Devi sapere che il dolore percepito è molto simile. In questi giorni ho pubblicato diversi studi che parlano di come si crei una profonda sensazione di rifiuto, sai come fanno?

I miei colleghi ti mettono a videogiocare con degli sconosciuti, il gioco consiste nel passarsi una pallina (come nel “torello calcistico” per i più anziani).

Ad un tratto alcuni complici dello sperimentatore smettono di passarti la palla, e sai cosa succede? Ti incazzi come se ti avessero offeso “la mamma”.

Esatto, un semplice videogame provoca dolore da rigetto esattamente come un esilio reale. Per tanto per il cervello non c’è grossa differenza.

Simulazione e realtà

Sono ormai anni che ti stresso con l’idea che il cervello è un super simulatore di realtà. Non solo perchè non può attingervi completamente date le sue limitazioni strutturali.

Ma anche perché deve continuamente prevedere un “futuro prossimo” per riuscire a barcamenarsi nella estrema complessità della realtà.

Per tanto, quando gli presenti una “realtà simulata” per lui non c’è una grossa differenza con “la realtà reale”. Questo non accade solo negli ambienti digitali.

Ti basta vedere due amici che litigano di brutto mentre giocano a Risiko, la simulazione del gioco tende a farci entrare in una realtà immaginaria condivisa.

Che può portare ad avere reazioni identiche a quelle della “realtà”. Ed è per questo che i “role play” utilizzati dai miei colleghi nella formazione funzionano davvero!

Educazione alla realtà

Ora, lasciando da parte per qualche istante l’idea che non possiamo davvero entrare in contatto con “la realtà fattuale oggettiva”, come possiamo limitare tali effetti “simulativi”?

Beh un modo potrebbe essere quello di addestrare le nuove generazioni a nostre “le differenze”, e forse hai già capito dove voglio andare a parare.

Si perché un ottimo modo per capire che siamo costantemente all’interno di realtà simulate è quello di “uscirne temporaneamente”.

Ed il metodo migliore che io conosca è quello delle pratiche di contemplazione, si ancora una volta la nostra meditazione.

Meditare serve per diventare bravi ad osservare cosa accade dentro di noi, e una delle prime abilità è proprio quella di distinguere la “realtà dalle illusioni”.

No, non è per nulla facile, ma sicuramente abbiamo molti spunti dal passato ed abbiamo molti strumenti per iniziare a pensarci seriamente, per il bene delle generazioni future.

Ecco i trend del 2019 secondo la American Psychologica Association:

Craving e meditazione

Infine la pratica della meditazione è qualcosa che ci aiuta con ogni forma di “craving”, cioè il desiderio smodato di utilizzare qualcosa che provoca dipendenza.

Per tanto non mi sembra così assurdo immaginare delle forme di “educazione alla realtà” che partano proprio dalle pratiche contemplative.

E come sai per quanto mi riguarda non significa abbracciare alcun credo religioso ma comporta il cercare di fare “esperienza diretta della realtà”.

O meglio cercare di renderla, il più diretta possibile… proprio come sanno tutti i miei corsisti, sia chi si cimenta con “i 10 giorni” e ancor di più gli iscritti ad MMA.

Insomma un sacco di carne al fuoco e potrei proseguire con tale analisi ancora e ancora.. ma per ora mi fermo. Fammi sapere cosa ne pensi.

Genna

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Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.