L’età dell’oro è un’espressione che ho sentito dal prof. Alessandro Barbero, uno degli storici più famosi che abbiamo in Italia. Con tale termine s’intende la convinzione che le cose una volta “andavano meglio”.
Questa non è solo una frase da “vecchi” ma è una sorta di mitologia che accompagna la storia di quasi ogni popolo, la convinzione che un tempo le cose andassero meglio ha per me molto a che fare con la psicologia.
Oggi ti mostrerò perché è bene liberarsi da tale convinzione e come lavorare attraverso il nostro “tempo mentale”. Buon ascolto:
L’importanza della tradizione
Le tradizioni che ci portiamo dietro non sono solo “convinzioni irrazionali” come quella descritta dell’età dell’oro, ma sono “archetipi” che continuano a infulenzare le nostre condotte.
Se un rituale è arrivato sino a noi sotto sotto c’è un motivo, spesso tali motivazioni sono di origine evolutiva, come ad esempio mangiare solo certi tipi di cibi in specifici momenti (cosa presente in molte religioni).
Come ti raccontavo in puntata smetterla di credere all’età dell’oro non significa rigettare il passato e tutto ciò che ci ha dato. Perché noi siamo stati determinati dal passato, che ci piaccia o meno, è necessario saperlo.
Prendere consapevolezza del fatto di essere nati in occidente, in un determinato Paese piuttosto che in un altro è un primo passo di “crescita personale ecologica” quella che da millenni ci dice “conosci te stesso”.
Per natura sono spesso gli anziati a prediligere “l’età dell’oro” ed i giovani invece a rifiutarla, a fare le rivoluzioni. Tuttavia se ci pensiamo bene anche le rivoluzioni “giovanili” seppur tenendo al futuro, cercano un “mondo migliore”.
Un mondo migliore
Non esiste un mondo migliore di quello in cui vivi. Questo non significa accontentarsi di ciò che si ha, accettare le ingiustizie sociali ed evitare di ribellarsi … ma tutto nasce dalla consapevolezza di dove sei.
Questa affermazione non è solo il risultato dei pareri storici ed intellettuali più accreditati oggi (vedi Harari e Pinker) ma è anche l’unico modo per “portare la palla al centro” e accettare le cose.
Immagina di entrare in un locale sapendo già che si tratta di un postaccio, di un luogo dove non ti divertirai perché ormai “la festa è finita”, come ti comporti?
Difficilmente cercherai di rallegrare la festa, di migliorare la serata e probabilmente cercherai un altro locale. Il punto è che non puoi cambiare bar, se sei costretto a restare qui è bene iniziare ad accettarlo.
E se mi segui sai che “accettare” non significa arrendersi ma il suo esatto opposto, significa diventare consapevole di ciò che c’è e partendo da tale consapevolezza eventualmente cercare di fare qualcosa.
Il tempo mentale
Nella mia piccola esperienza clinica (piccola rispetto ai miei colleghi più attempati) ho notato che sicuramente l’età anagrafica conta nel determinare il tempo “mentale preferito”.
Ma non per tutti! E’ naturale immaginare che un giovane protenda verso il futuro ed una persona più anziana per il passato, tuttavia ho notato che questa tendenza può essere presente anche in persone molto giovani.
Personalmente ho sempre amato “il futuro”, e nonostante abbia 40 anni ancora oggi mi piace pensare che “domani le cose andranno meglio” ma non è così per tutti.
Ho conosciuto persone di 18 anni convinte che i “bei tempi” non torneranno più e molte volte questo è legato ad eventi traumatici della vita. La morte improvvisa di un caro, un pesante fallimento economico ecc.
Quindi oltre all’età, quindi all’esperienza di vita accumulata, oltre alla percezione dei singoli eventi (se è piacevole dura mento se spiacevole di più) il tempo percepito è soggettivo… ma a lungo andare ci piace pensare “che le cose non sono più come una volta”.
Come una volta
Quando torno nel mio paesino natale passo sempre davanti ad una vecchia sala giochi che oggi è diventata una sorta di “mostra permanente” di un riccone delle mie parti. Una roba inguardabile 😉
E rimpiango quando era la nostra “sala giochi”, il nostro punto di ritrovo, qualcosa che in realtà oggi i ragazzi non hanno o almeno non ne hanno bisogno perché con la tecnologia, qualsiasi punto “è un ritrovo”.
Più invecchio più tendo a fare questi confronti che sono “stupidini” perché se qualcuno mi dicesse: “invece di una sala giochi dove la gente diventa stupida sui video game (cosa falsa) ci mettessimo una bella mostra culturale?”.
Sembra un miglioramento no? Sempre nel mio paesino quando ero adolescente si potevano fare le feste in spiaggia, poi i troppi vandalismi alle strutture balneari hanno fatto nascere gruppi di vigilantes ed è finita la pacchia.
E’ stata una tragedia per noi ragazzi, ancora oggi racconto di quanto era bello quando di potevano fare le “mini feste in spiaggia”. Ma se guardo dal punto di vista dell’imprenditore balneare forse per lui le cose sono diverse.
Ontologia e storia
E’ chiaro che se pensiamo che le cose di un tempo erano migliori questa potrebbe essere una buona spinta a cercare di migliorare anche il nostro tempo. Anche se ho dei seri dubbi che le cose vadano così.
Da un punto di vista psicologico credere che vi sia una sorta di ontologia delle cose migliori, dove un tempo tutto era bello, migliore, più etico, regolato da valori sani ecc. è limitante.
Credere che le cose andavano meglio in un tempo recondito è una sorta di convinzione che per me ha molto a che fare con aspetti mistico religiosi. Ora cari credenti prendete questo pensiero con le pinze.
Ma è una sorta di “paradiso perduto” che ci portiamo dietro. Un po’ come ha descritto Jung nei suoi archetipi, ci portiamo dietro il peso di quelle narrazioni anche nelle nostre azioni di oggi.
Il paradiso perduto è un’ottima metafora religiosa ma è una cattiva maestra di vita, perché mira ad una sorta di eccellenza e di perfezione inarrivabile e molto probabilmente mitica.
I miti di fondazione
Noi esseri umani abbiamo bisogno di avere miti “di fondazione”, ce lo dimostra la storia delle nostre Città e delle nostre comunità. Tutte le antiche Città hanno “miti di fondazione”, ti ricordi Romolo e Remo?
In realtà anche a noi stessi piace avere “miti fondativi”, se guardi alla semplice storia delle aziende di successo anch’esse hanno queste narrazioni. Perché sembrano dare forti fondamenta.
Ma una cosa è pensare di avere “radici mitologiche” ed un’altra è pensare che il bel tempo passato non tornerà mai più! La differenza è radicale se ci pensi ma la gente tende a confondere le due cose.
Tornando al mondo aziendale sono molte le attività che falliscono perché i figli non accettano un “pesante mito fondativo”, perché non se la sentono di continuare con quella narrazione o per mancanza di abilità o perché vogliono rinnovare.
Non è una semplice diatriba tra “conservatori e progressisti” ma è una sorta di bias psicologico quando iniziamo a pensare che “quel tempo non tornerà”. Dobbiamo allenarci ad avere una sorta di sguardo più ampio.
Eredità
Non hai idea di quanti giovani imprenditori vengano nel mio studio e mi dicano qualcosa del genere: “lo so che non potrò mai eguagliare mio padre, ciò che ha fatto lui è stato fatto in un periodo magico”.
Si è vero dal dopoguerra in poi abbiamo avuto il fantomatico “boom economico” ed è difficile che un’impresa oggi abbia la stessa fortuna. Si se vediamo tutto questo dallo stesso punto di vista.
Se tuo padre vendeva elettrodomestici, magari era uno dei pochi nel paese allora era facile. Oggi con Amazon e altro sembra quasi impossibile avere le stesse opportunità.
Eppure se guardi la storia di “tuo padre” è facile che sia partito da una base molto piccola, magari si è fatto davvero in 4 per poter lanciare la propria azienda. Qualcosa che oggi noi fatichiamo ad immaginare per l’agio che ci siamo ritrovati.
A parte veri ereditieri tutti gli altri erano “guerrieri e gladiatori” che sono riusciti a risorgere dalle ceneri come una fenice ed hanno poi trovato le condizioni adatte.
Nel loro punto di vista…
Tornando all’esempio degli imprenditori di sicuro chi ha avuto una eredità è stato avvantaggiato ma allo stesso tempo magari questo lo ha accecato. Si perché non è mai esistita una società con tanti “nuovi ricchi”.
Si nessuno è riuscito senza eredità prima di oggi a costruire imperi come quello di google e facebook. Sono rarissimi i casi di persone che in epoche diverse hanno accumulato così tanta fortuna e potere in così poco tempo.
Se ci mettiamo nel loro punto di vista sicuramente non possiamo pensare che vi sia stata un’epoca migliore di questa. Si potrebbe quindi dire che dipende dalla fortuna e dalle sorti di una persona?
Si un po’ si! Se le cose ti vanno male è facile pensare che è tutta colpa del mondo che “ti hanno dato”. Mentre se le cose ti vanno bene è facile pensare che è non potevi nascere in un luogo migliore di questo.
Io protendo per un’idea progressista (non dal punto di vista politico) che ci mostra che le cose migliorano, che il genere umano cerca di migliorarsi con tutti i suoi difetti.
Verso il miglioramento
Immaginiamo di trovare un oggetto dal passato e di pensare che questo sia stato disegnato direttamente da Dio, è chiaro che per comprenderne il funzionamento dovremmo andare indietro nel tempo.
Cercare di risalire il più possibile alle fonti di quell’oggetto e cercare soprattutto di mantenerlo “illibato”. Cercare di preservarne la purezza ed insegnare ai posteri come fare altrettanto.
Le idee del passato assomigliano a questo oggetto, che sicuramente può avere delle caratteristiche da preservare ma se abbandoniamo l’idea di un origine divina allora le cose cambiano radicalmente.
Allora è possibile migliorare quell’oggetto, leggerlo con gli occhi di oggi (cosa tra l’altro impossibile da evitare) è probabilmente sbagliato ecc. Ma se non si tratta di una reliquia, di un manoscritto storico ecc. le cose cambiano.
Immaginiamo che quell’oggetto fosse un aratro, se avessimo creduto che fosse divino e per tanto immodificabile saremo ancora nell’epoca agricola e qualche “Amish” potrebbe essere contento di questo.
Storia e pensiero
Come hai visto per quanto mi riguarda mi piace pensare che l’essere umano sia rivolto al miglioramento, che tenda costantemente a tale miglioramento. Non è perfetto e fa un sacco di cavolate perché credo che ci sia questa spinta.
D’altronde è la stessa spinta che ci differenzia dai nostri cugini più prossimi, le scimmie. Le quali usano strumenti ma invece di migliorarli e tramandarli li gettano ogni volta dovendo costantemente ripartire “da zero”.
E’ come se gli animali (che usano strumenti) abbiano un programma che li induce a pensare all’età dell’oro. In realtà non è così, sappiamo che hanno una bassa capacità di immaginare il futuro, di creare rappresentazioni.
L’età dell’oro è un pensiero comodo che si sposa con la nostra tendenza a voler fare “economia cognitiva”, per poter progettare il futuro è necessario sforzarsi, è necessario progettare, simulare e anche fallire.
Se hai la testa nel passato applica i consigli della puntata di oggi che espanderemo come al solito nel “quaderno degli esercizi”… fammi sapere cosa ne pensi.
A presto
Genna