Qualche anno fa l’umorista e scrittore Garrison Keillor ha descritto un luogo di fantasia chiamato: “Lake Wobegon” dove tutti i bambini erano al di sopra della media, più belli, intelligenti e forti.
Da questa battuta nasce un’osservazione psicologica molto interessante, una sorta di bias al quale siamo tutti più o meno sottoposti, l’effetto Wobegon: la tendenza sentirci al di sopra della media.
Che tu ti senta sopra o sotto la media, ascolta la puntata di oggi per comprenderne le sottili dinamiche psicologiche… buon ascolto:
Processi di categorizzazione
Da diversi decenni i miei colleghi hanno analizzato per filo e per segno il funzionamento del nostro sistema categoriale: cioè di come creiamo delle categorie per riuscire a comprendere la complessa realtà che ci circonda.
Tali ricerche partono dallo studio della percezione, mescolando insieme concetti di fisiologia (come funzionano i nostri sensi) e di psicologia (come aggreghiamo le conoscenze). I risultati sono interessanti e a tratti inquietanti.
Come aveva già capito anni fa Gregory Bateson noi conosciamo il mondo che ci circonda in base alla “differenza”: immagina un bambino che scopre il mondo e che cerca di capire come è fatto, per prima cosa capirà che alcune cose non sono uguali ad altre.
Che il suono della voce della mamma non è uguale a quello delle persone che lo circondano e crescendo imparerà a distinguere anche tutti gli altri suoni e le voci. Via via che cresce la sua capacità di creare distinzioni diventa sempre più precisa e marcata.
Tutto ciò avviene attraverso un sistema cognitivo in grado di fare continui confronti tra le esperienze del bambino, qualcosa che continuerà in modo praticamente incessante per tutta la vita ma con una profonda differenza…
Pensare di sapere
Quando pensiamo che sia sufficiente continuare a fare distinzioni, quando pensiamo di aver capito come funziona qualcosa, smettiamo di fare tale continuo confronto o per lo meno pensiamo di “smetterla”. Si crea dentro di noi come la convinzione che tutto sia “confronto”.
Come il “polemos” di Eraclito, secondo il quale tutta la vita era dialogo e scontro tra gli opposti, allo stesso modo la nostra mente compie tali operazioni. Quando i confini sono chiari però tale situazione non è così insondabile come quella a cui siamo sottoposto oggi, lascia che mi spieghi:
Se vivessimo in una società di 500 anni fa, dove le categorie sociali erano ben distinte tra loro, la gente continuerebbe a porre tali distinzioni ma solo all’interno della propria categoria di appartenenza. In altre parole il confronto sarebbe quasi tra “pari”.
Più una società diventa liquida e senza confini precisi e più tale confronto diventa qualcosa di massa, dove tendiamo a confrontarci con qualsiasi persona ci capiti a tiro. Se a tale tendenza ci aggiungi l’avvento di internet e poi dei social media, ecco che la frittata è fatta.
Si possono passare ore a guardare profili di persone che sembrano simili a noi ma che invece hanno “una vita da sogno” (o per lo meno sembrano averla). Così possono sorgere due tendenze: la prima è quella di svalutare quelle persone e la seconda è quella di pensarci superiori a loro.
Il confronto sociale e la statistica
Si è vero sto generalizzando, non sempre tendiamo consapevolmente a fare confronti con le altre persone ma vivendo in un mondo sempre più competitivo rischiamo spesso di cadere in comparazioni non appropriate, o meglio inconcludenti.
Il nostro cervello non è molto bravo con la statistica, anche se il suo modo di pensare (paradossalmente) è statistico. Ci sono molti esempi come i vari bias fatti emergere dal lavoro di Simon, Kahneman e Thaler o come alcune semplici osservazioni.
Un esempio per tutti è legato alla “memoria del caso”: chiunque abbia studiato un minimo di statistica sa che il caso “non ha memoria”. Cosa significa? Che se lancio una moneta 1000 volte e viene per assurdo sempre testa, al lancio 1001 la probabilità che venga croce è identica al primo lancio.
Questo fenomeno è evidente in chi ama il “gioco d’azzardo” e magari pensa che puntare su “croce” sia vantaggioso perché non è mai ancora uscito. Magari attaccandosi alla teoria dei “grandi numeri” che dice che se lanciamo la moneta all’infinito tenderà ad avere 50 e 50 di probabilità.
Ma la verità è che ogni singolo lancio è indipendente! Ora ti starai chiedendo cosa c’entri tutto questo con il confronto sociale, c’entra moltissimo perché anche pensare di essere superiori ad una “media” è un modo errato di interpretare la statistica.
Il campione rappresentativo
Affinché una statistica sia affidabile è necessario che il campione preso in esame sia rappresentativo, cioè rappresenti al meglio possibile tutta la popolazione presa in esame.
Se ad esempio voglio creare un campione di psicologi è bene che i singoli membri del campione rappresentino tutta la categoria. Così dovrò avere tutti i tipi di psicologi, di tutte le età, di diverso genere e orientamento ecc. Si se stai pensando che è difficile farlo sei sulla buona strada.
Per questo la statistica si è inventata una valanga di trucchi matematici per riuscire a decretare se un campione è rappresentativo o meno. Ecco quando ti confronti con gli altri dovresti fare altrettanto, doveresti assicurarti che il campione con cui ti confronti sia realmente rappresentativo.
Se sono alle scuole superiori e sono il più bravo della classe non c’è alcun dubbio che al confronto dei miei compagni di classe io sia il migliore. Ma se mi confronto con la scuola dovrò stare più attento e se confronto le scuole italiane fra di loro ancora di più, e se confronto i Paesi ancora “peggio”.
Per tanto se ti chiedo quanto sei bravo a guidare rispetto a tutte le persone della tua età, la tua risposta sarà sempre falsata da questo mancato confronto su di un reale campione statistico. A meno che tu non sia un vero asso del volante, partecipe di gare internazionali ecc.
Il vicino di casa basta
Come dicevo all’inizio del post, secondo Bateson noi conosciamo per differenze per tanto ci basta avere un confronto magari con il vicino di casa per pensare di aver già fatto una certa stima. Io sono più bravo di Marco a guidare per tanto sarò più bravo di molte altre persone.
Io sono più triste del mio collega di lavoro e questo significa che sono mediamente molto più triste di tutta l’azienda. Come vedi purtroppo questo bias funziona anche al contrario, solo che per usare il termine Wobegon ho preferito volgerlo al positivo, ma putroppo funziona anche al contrario.
In un gruppo di amici che si lamentano per il lavoro che non va bene c’è spesso una gara a dimostrare che “il mio lavoro va peggio del tuo”, viceversa in un gruppo di persone che esaltano il proprio lavoro ci sarà una tendenza diametralmente opposta.
Si potrebbe pensare che si tratti di fenomeni culturali ed in parte è così, ma la tendenza a non voler sentirsi al di sotto di una certa “media” è comune anche in paesi dove le cose sono opposte come visto in puntata. In luoghi dove il valore è l’umiltà la gente si sente “più umile degli altri”.
Le ricerche indicano che ogni volta che tendiamo a sentirci migliore degli altri, a cercare di svettare nei loro confronti si crea una disconnessione umana. Il punto è che se io devo vincere su di te per essere sopra la media allora se non vinco, sono quello che perde!
Quello che perde… è distante
In uno studio alcuni studenti sono stati invitati a partecipare ad una sorta di competizione di cultura generale. La sfida avveniva “1 contro 1”, davanti ad un computer dovevano rispondere alle domande, senza però sapere che risultato avrebbe ottenuto l’altro.
Uno dei due partecipanti era in realtà complice degli sperimentatori e in realtà conosceva già le risposte, lo studio era fatto in modo da poter manipolare precisamente la vittoria o la perdita. Al termine del quiz ogni soggetto veniva avvisato se aveva perso o vinto.
E dato che prima del quiz era rimasto qualche tempo con il suo sfidante gli veniva chiesto quanto si sentisse vicino a quest’ultimo. Come è facile immaginare chi perdeva si sentiva distante dal proprio compagno mentre chi vinceva tendeva a sentirsi più vicino.
Poi le persone venivano messe in una stanza tutte insieme, le persone che avevano “perso” tendevano a sedersi anche fisicamente più lontane dai propri avversari, che ti ricordo erano finiti perché non c’era stata alcuna reale competizione.
Questo studio dimostra che quando cerchiamo di vincere una competizione tendiamo anche a disconnetterci dai nostri avversari, anche quando si tratta di un gioco stupido, cosa rilevabile anche a livello spaziale: si sedevano più lontane.
L’acqua calda
Purtroppo per chi come noi italiani è nato in mezzo al “tifo calcistico” non dovrebbe sorprendersi di tale atteggiamento. Infatti quali sono i tifosi che tendono a fare più disastri durante le partite? Di solito sono quelli che perdono la partita.
Ci si sente come indignati di aver perso, come umiliati volontariamente da una congrega di persone cattive, ma se ci pensi è lo scopo stesso del gioco quello di vincere o di perdere, non c’è alcun connotato personale in questo ma la gente ci si identifica.
Noi in Italia siamo esperti in questo settore: personalmente ho passato le scuole elementari e medie a sentire i miei compagni di classe sparlarsi addosso perché la loro squadra aveva vinto o perso. Dico “ho sentito” perché io non sono mai stato un tifoso.
Non mi vanto di non essere stato tifoso ma probabilmente mi ha dato modo di osservare in maniera maggiormente distaccata il fenomeno. E probabilmente lo studio citato ha scoperto l’acqua calda per chi i tifosi che da anni si dichiarano guerra sugli spalti degli stadi.
Tuttavia mi sembra plausibile immaginare che se devo “essere il migliore” tenderò a sviluppare un atteggiamento difensivo nei confronti del mondo che desidera tirarmi giù dal mio podio.
Ecco sappi che se vuoi sentirti al di sopra della media con troppa veemenza è normale che tu ti senta continuamente minacciato. Continuiamo questa discussione nel nostro Qde.
A presto
Genna