Alzi la mano chi non ha mai cercato di avere una comunicazione efficace? O meglio di migliorare le proprie doti di comunicazione? Chi bazzica nel mondo della crescita personale solitamente è attratto da poche cose: comunicazione, autostima e serenità (o intelligenza emotiva).
Questi sono i temi principali ma in questi anni di divulgazione mi sono accorto che molte persone tendono a riempirsi di libri, corsi e altro per migliorare la propria comunicazione facendo 2 errori fondamentali. Nella puntata di oggi vedremo questi due errori e 5 consigli per comunicare al meglio.
Un gioco senza fine
Come in ogni gioco “senza fine” anche la comunicazione è composta di abilità che possono essere allenate per tutta la vita. Così come non esiste un picco massimo alle conoscenze, alla consapevolezza, alla nostra capacità di gestire i nostri stati interiori.
Anzi nel momento in cui ci illudiamo di “essere arrivati” ecco che arriva una situazione che ci dimostra che non lo siamo! Tutte le variabili che possiamo prendere in considerazione possono aiutarci a migliorare ma essendo un gioco aperto è quasi impossibile prevedere ogni singola mossa.
Molto spesso ho sentito paragonare il dibattito ad una partita a scacchi, in parte è vero: esistono manovre di apertura, attacchi e contro-attacchi studiati e noti nel campo della comunicazione. Tuttavia a differenza degli scacchi questo gioco non ha regole fisse, non ha obiettivi prestabiliti e ogni variabile ambientale può rovesciare le sorti in un baleno.
Questo è sia la somma di tutti gli errori che abbiamo esaminato nella puntata: cioè se pensi che una volta detta la frase segreta (la formula magica) avrai di certo una reazione che ti aspetti allora preparati alla sorpresa. Perché in una interazione tra due o più persone non potrai mai avere la certezza dell’efficacia della tua comunicazione.
Questo significa che sia stupido studiare le “mosse dei grandi campioni”? Assolutamente no, ma bisogna tenere a mente che la prevedibilità del loro successo non è mai certa e che il sale di tutto sta nella capacità di adattarsi mossa dopo mossa a ciò che sta accadendo.
Il mindset del jazzista
Qualche anno fa abbiamo dedicato una puntata intera a questo strano concetto: il mindset del jazzista. Per chi non lo sapesse il Jazz è una delle forme più strane di musica, esistono degli standard, cioè dei brani simili o identici che tutti conoscono, esistono delle sonorità e delle tecniche, ma il vero sale del Jazz è l’improvvisazione.
Cioè la capacità di dialogare con gli altri musicisti in tempo reale adattandosi al loro modo di suonare. Ora, quando dico ad una persona “vai e imporvvisa” sembra che gli stia dicendo: “purtroppo non sei preparato per cui dovrai improvvisare”. Questa frase non si adatta per niente alla musica Jazz.
Infatti per riuscire a suonarla non devi solo conoscere molto bene gli standard e le tecniche ma devi aver fatto un sacco di pratica, per questo è a tutt’oggi una delle musiche più complesse da eseguire. Perché richiede una maestria molto spiccata e allo stesso tempo la capacità di adattare tale maestria ad ogni contesto musicale.
Queste caratteristiche fanno sì che il Jazz sia molto simile alla comunicazione: ci sono delle regole da seguire ma non troppe, via via che si interagisce tali regole possono anche essere completamente violate, serve una forte conoscenza di base che ci consenta di aggiungere senza bloccarci nell’analisi di ciò che aggiungiamo ecc.
Insomma quando comunichi con qualcuno sei più simile ad un jazzista che ad un giocatore di scacchi. Ovviamente anche il nostro musicista deve essere molto molto preparato, o perché ha studiato molto o perché ha praticato molto. Solitamente vale più la pratica che la grammatica, ma avere entrambi è solitamente molto vantaggioso.
E se sono un musicista classico?
I musicisti più strutturati sono quelli “classici”, spesso dipendenti dallo spartito e sono anche quelli che hanno maggiori abilità esplicite. Un musicista classico sa quante note riesce ad eseguire un certo lasso di tempo, conosce bene i suoi punti di forza e di debolezza e quello più intenso di tutti sta proprio nella rigidità delle strutture che esegue.
Quando comunichiamo siamo inconsapevolmente tutti musicisti classici, senza saperlo utilizziamo strutture linguistiche che abbiamo imparato decine di anni prima. Certo non siamo fini come un musicista ma sappiamo come si costruiscono i periodi e come argomentare, perché tutti abbiamo dovuto farlo nella nostra vita, seppur in modo non sempre esplicito.
Anche se l’analogia è un po’ forzata possiamo dire che un musicista classico, anche se suona in una grande orchestra, potrebbe tranquillamente fregarsene degli altri elementi. Perché a lui basta seguire il suo spartito, sapere che tutti cominciano in un certo momento e finiscono in un certo momento, per il resto guarda il direttore, è lui ad occuparsi dell’insieme e della espressività.
Nel Jazz le cose stanno completamente al contrario: se non riesci ad ascoltare gli altri componenti della band non puoi suonare, a meno che non ci sia uno spartito ovviamente. Tuttavia si perderebbe tutta la magia dell’improvvisazione, del andare sopra, sotto e a lato del brano prestabilito per creare di volta in volta una nuova composizione.
Continuiamo questa nostra bella chiacchierata nel nostro Qde
A presto
Genna