Hai mai sentito dire che siamo nella società dell’intrattenimento? Oggi la cosa è particolarmente evidente dato che la maggior parte delle persone che incrociamo per strada guarda il proprio smartphone, ma in realtà è qualcosa che ci appartiene in quanto genere umano. Sembra che vi sia una tendenza a non voler pensare a se stessi… scoprirla e rivelarla a se stessi può aprire la mente!

Una gita in città

Nelle scorse settimane sono stato spesso a Milano per lavoro, ho preso “1000 metro” e sono rimasto stupito nel vedere che praticamente più della metà della gente guardava il proprio smartphone. Me ne sono accorto quando sono tornato di sera tardi, temevo che usare il cellulare in metro o per le strade sarebbe stato pericoloso: “eh se qualcuno mi rubasse il mio prezioso telefono?”, ma vedendo tutti con il device in mano mi sono prima rasserenato e poi ho pensato:

“Cavolo ma siamo tutti con il cellulare in mano”! Da anni qui su Psinel parliamo delle connessioni tra psicologia e tecnologia, qui siamo ottimisti e convinti che l’uomo si avvantaggi sempre di una nuova tecnologia se gestita adeguatamente. Tuttavia vedere tutte quelle persone immerse nei propri schermi mi ha fatto sorgere diverse riflessioni, la prima è stata: abbiamo tutti bisogno di intrattenimento, ma da cosa ci stiamo davvero intrattenendo?

La prima risposta che mi sono dato è stata piuttosto ragionevole: già quando ero piccolo conoscevo molte persone che appena entravano in casa accendevano la televisione (nella mia casa natale era sempre accesa) e non la spegnevano fino a quando non uscivano nuovamente dall’abitazione. Quando si chiede a queste persone come mai tengano la tv accesa la maggior parte risponde così: “mi fa compagnia”. Ma come fa a fare compagnia un oggetto inanimato?

Anche qui si aprono mille risposte, i cospirazionisti pensaranno che sia un disegno antico per schiavizzare le menti del popolo, altri crederanno che sia perché siamo esseri stupidi, ed altri ancora che la tecnologia sia malvagia e ci convenga stargli alla larga. Una risposta più plausibile ha a che fare con come siamo fatti, cioè costruiti con l’intento di sopravvivere ad un mondo molto più pericoloso di quello che ci circonda oggi. Ad un mondo nel quale le risorse sono terribimente scarse e la possibilità di essere uccisi è altissima.

Cosa c’entra tutto questo? Tutto ciò ci fa pensare che il cervello ed il nostro organismo siano progettati per continuare a lavorare e pensare al futuro, a ciò che dovremmo fare fra qualche minuto o domani. Non riusciamo a staccare la mente dalle cose che facciamo non perché siamo stupidi o perché la società moderna ci assilla, ma perché siamo progettati per avere sempre qualcosa da fare. Ne abbiamo discusso di recente nel post dedicato alla “sensazione di perdere tempo“. Certo questo non esclude altre cause ma di certo questa esiste e l’abbiamo provata più volte.

Le pause e l’ozio

Pause ed ozio erano qualcosa di molto diverso fino a pochi anni fa, ancora oggi ci sono persone totalmente all’oscuro del fatto che, fino a poco tempo fa non esistevano vacanze e neanche i week end, le uniche pause erano quelle determinate dalla natura. Certo la religione ci ha dato alcune regole come il non lavorare in determinati giorni ma di certo fino a qualche manciata di secoli fa, la gente si fermava quando non c’era più luce per vedere, quando faceva troppo freddo o troppo caldo ecc.

Nonostante fosse chiaro a qualsiasi essere umano apparso sul pianeta che non fosse bene lavorare sempre, perché di certo anche i nostri antenati sentivano la fatica, questa consapevolezza è qualcosa di squisitamente moderno. Un tempo non ci ponevamo tali domande perché chi si perdeva nell’ozio, senza nascere particolarmente agiato, aveva vita breve. Ciò non significa che non si tendesse a cercarlo, cioè al risparmio energetico. Mi piace ricordare come gli Dei rappresentati nell’Olimpo oziassero tutto il giorno ed avessero schiavi (robotici) che facevano le cose per loro.

Insomma il mito di una vita dove non si fa nulla, dal paradiso terrestre biblico all’Olimpo, ci accompagna da sempre. Per quanto mi riguarda è probabilmente il riflesso della nostra tendenza al risparmio energetico, sappiamo da sempre quanto sia importante gestire le nostre energie e che, evitare di fare sforzi può diventare un rinforzo positivo, cioè è qualcosa di piacevole. Oggi, anche se non siamo tutti agiati e ricchi, rispetto ai nostri antenati siamo ricchissimi e le possibilità di oziare sono innumerevoli.

Tuttavia abbiamo ancora un cervello antico e quando ci fermiamo “boom” inizia a pensare a tutto e al contrario di tutto, più tempo abbiamo per pensare e più si aprono le maglie della nostra mente. Un po’ come quando stiamo per addormentarci e arrivano pensieri inusuali, a volte anche negativi, magari perché durante la giornata li abbiamo tenuti a bada (consapevolmente o meno) restando coinvolti in una qualche attività intrattenente (che fosse lavorativa o meno).

Ecco perché per riposarci dobbiamo: viaggiare, leggere, guardare un film, scalare montagne ecc. perché restare con le mani in mano sembra anti-natura al nostro cervello. Attenzione, non sto dicendo che queste attività non siano rigenerative, infatti non sono qui a dirti che restare fermi sia la cosa migliore per il nostro cervello ma solo creare ragionamenti che ci facciano riflettere su questi temi che ritengo importanti, sia a livello individuale che sociale!

Perché dovremmo temere la nostra interiorità?

Una delle conclusioni più semplici al quesito del perché ci intratteniamo continuamente è che abbiamo paura di confrontarci con la nostra interiorità. Questa faccenda è vera e in questa puntata sui “buchi neri” ti ho spiegato anche (in parte) tale meccanismo, tuttavia ho una ipotesi ancora più sconvolgente, siete pronti? L’ipotesi è che la nostra interiorità non sia fatta per essere indagata ma sia fatta per agire e farci sopravvivere. E vorrei parlarti del fatto che queste due forza all’apparenza antitetiche possono coesistere.

Di certo è vero, viviamo in un’epoca che richiede moltissima “testa” rispetto a secoli fa, tuttavia il nostro sistema cognitivo è sempre stato sotto sforzo: immagina un cacciatore dell’antichità, quante cose doveva tenere d’occhio? Una miriade, erano anche in grado di fare cose che noi abbiamo perso, riuscivano a sentire e distinguere i suoni degli animali, scovarne le tracce, capire la distanza dagli odori ecc. Per riuscirci dovevano accontentarsi di ciò che sapevano, anzi dovevano crederci per agire.

Anche se non avevano spiegazioni complete del perché un animale si fermava in un certo luogo si inventavano una storia per spiegarlo. “Il Dio della natura vuole che si fermino là”, non contava se la storia era inventata l’importante era che funzionasse, cioè consentisse loro di trovare quegli animali in quel luogo. Questo meccanismo esiste ancora oggi (la scatola nera), solo che ne siamo decisamente più consapevoli, a proposito, sai come funziona l’aggeggio che ti consente di leggere queste parole? Fino a che punto conosci realmente il suo funzionamento?

A meno che tu non sia un super appassionato o un esperto del settore, difficilmente saprai rispondere con accuratezza a questa domanda (io non so rispondere). Come abbiamo visto in questo episodio restare sulle spine ci stressa non poco, anzi è uno degli stress più rilevanti, come facevano i nostri antenati? Credevano con molta forza alle storie che si raccontavano, oggi le cose sono molto diverse, la conoscenza da un lato ci libera e dall’altro ci getta il fardello della responsabilità.

Sapere come mangiare bene, fare esercizio e prendersi cura della propria mente da un lato ci aiuta tantissimo e dall’altro ci ricorda che “la responsabilità è la nostra“. Penso che nessuna altra società sia mai stata così consapevole (nel senso che sa, fino ad un certo punto di non sapere, non nel senso della meditazione, ci arriviamo dopo) ma ancora una volta sono convinto che il problema sia legato alle contingenze: torniamo per qualche istante alla mia teoria dei buchi neri, una cosa davvero molto semplice che è bene riprendere.

I buchi neri

Questa teoria (link sopra), dice qualcosa che solitamente gli antichi riassumevano in una singola frase: “Ubi maior minor cessat“, lo so può sembrare un motto strano per la nostra interiorità ma noi funzioniamo più o meno così. Immagina di aver appena litigato con un tuo collega, se tieni a quella relazione è possibile che tu possa dedicarci molta energia mentale. Magari ci pensi così tanto da distrarti in altre attività che solitamente risultano piacevoli, poi di colpo succede qualcosa di peggiore: ti tamponano, ti muore il pesce rosso, insomma qualcosa di peggiore per te.

Ecco che di colpo il problema con il collega diventa molto meno assillante, come mai? Naturale, perché siamo così intelligenti da spostare le nostre energie su questioni che hanno maggiore rilevanza. Se poi di sera vieni inseguito da una banda di criminali ecco che in quel momento dimentichi tutto, collega e pesce rosso compresi. Succede questo fenomeno per motivi di priorità interiori, lo facciamo continuamente, ciò che risiede sulla nostra scrivania principale (la memoria di lavoro) dipende da vari fattori ma soprattutto da tali priorità interne. Se hai letto il mio libro “Facci Caso” ti ricorderai di questa funzione della nostra mente.

In realtà ci succedono molte cose che potrebbero prendere il posto sulla scrivania, solo che naturalmente non ce ne rendiamo conto, soprattutto se sono cose piccole rispetto alle sfide estemporanee. Quindi se smetti di pensare ad uno di questi problemi, ad uno di questi faldoni sulla scrivania, ciò che succede è che ne emerga un altro, a volte di eguale forza a volte minore forza (nei casi peggiori di forza maggiore). Per scoprire perché la chiamo “teoria dei buchi neri” ascolta la puntata, ma il tema è questo: quando portiamo vera consapevolezza dentro noi stessi emerge di tutto… soprattutto le cose che non ci piacciono!

Solitamente le cose che non ci piacciono riguardano piccoli o grandi problemi personali sui quali non ci piace fare mente locale. Se non mi credi che le cose stiano così, ti basta iniziare a fare una pratica di meditazione di consapevolezza per averne piena esperienza: questo è anche uno dei motivi principali per cui molte persone non amano la meditazione. Ma come ti ho raccontato in questo episodio questo è anche il motivo per cui la meditazione ci aiuta a livello psicologico come nessun altra tecnologia umana.

Intrattenerci ci aiuta ad evitare emersioni di materiali dalla nostra mente inconscia, ma per capire davvero cosa intendo con questa parola ascolta l’episodio sull’inconscio (lo so sono molti rimandi ma è bene approfondire per capire bene cosa stia intendendo con il termine “inconscio”) non è una cosa stupida che facciamo, lo facciamo tutti in un modo o nell’altro. Come spiegato più sopra lo facciamo perché a volte la vita richiede altre priorità, lo facciamo quando gli eventi perdono contingenza ed iniziano ad essere elaborati inconsciamente, lo facciamo anche quando vogliamo resistere alle tentazioni!

Intrattenersi per auto-regolarsi

Intrattenerci è diventata una sorta di auto-regolazione emotiva, sappiamo essere un meccanismo particolare che può esserci di aiuto in casi particolari. Ad esempio, sei a dieta e senti il morso della fame e allora decidi di fare una passeggiata invece di stare davanti alla tv a guardare l’ennesimo programma di cucina. Lo sappiamo anche a livello sperimentale, ti ricordi il famoso esperimento dei Marshmellow di Mischel? E’ uno studio del 1972, ne abbiamo parlato molte volte, su YouTube puoi anche trovare delle sue riedizioni anche ad opera del nostro Philip Zimbardo.

Si tratta di un esperimento per misurare la capacità dei bambini di dilazionare il piacere. Si prende un bambino e lo si accompagna in una stanza, a quel punto gli si presenta un piattino con dentro 2 dolci, lo sperimentatore dice qualcosa del genere: “Ho dimenticato alcune cose di là, ora vado a prenderle, se quando torno ci sono ancora i 2 dolci ne riceverai altri 2, altrimenti no”. I bambini sono abbastanza grandi da capirlo ed infatti provano a resistere alla tentazione, la modalità più usata? Distrarsi con qualcosa.

L’esperimento è stato ripetuto in varie salse, una di queste prevedeva di farlo in una stanza completamente vuota oppure in un luogo pieno di cose con le quali i bambini potevano distrarsi. Indovina in quale condizione hanno resistito di più? Esatto in quella arricchita da distrazioni. Distraendosi il bambino auto-regola il suo desiderio di mangiare i dolcetti, cioè regola il proprio sistema emotivo… ecco perché avanzo l’ipotesi che l’intrattenimento venga utilizzato per tale scopo, per auto regolarsi, in fin dei conti era la stessa cosa che mi diceva mia madre sulla tv: “la lascio accesa, mi fa compagnia”.

In altre parole facciamo ciò che siamo più bravi a fare: regolare il nostro budget energetico, nel male o nel bene. E lo facciamo anche decidendo come trascorrere il nostro tempo. Con un piccolo problema, siamo terribilmente attratti da tutte quelle attività che ci sembrano ci facciano bene perché sono semplici, ma la ricerca ha provato più volte che questa cosa è una cavolata. Non mi credi? Allora lascia che ti anticipi uno studio di cui ti parlerò prossimamente sui miei canali social. Secondo te si impara meglio leggendo o ascoltando?

Se hai risposto: dipende dal tuo stile di apprendimento, sappi che la risposta è sbagliata, ci hanno fatto sopra una valanga di studi ed indovina, vince la lettura! I ricercatori, dopo aver fatto l’esperimento hanno chiesto ai due gruppi (lettura e ascolto) come avessero percepito l’apprendimento. La maggior parte delle persone che ha ascoltato si è divertita molto di più rispetto a chi invece ha letto, ma in definitiva sono stati questi ultimi a ricordare molte più cose rispetto ai primi. Dimostrando una cosa molto semplice ma che non ci piace pensare:

Non sempre le cose facili sono più efficaci, anche se per caso ci viene più semplice ascoltare ciò non significa che sia anche la cosa più efficace da mettere in campo, anzi a quanto pare è la più difficile. Torneremo presto su questo tema perché sono usciti un sacco di studi interessanti che parlano della relazione tra flow, pratica deliberata e piacevolezza… eh no, nessuno di questi ti dice che è meglio scegliere la strada facile (ma neanche ammazzarti di fatica è la strada giusta).

Nel frattempo fammi sapere cosa ne pensi. Nota cosa succede nei prossimi giorni con il tuo modo di distrarti, potrebbe diventare molto utile farlo, fammi sapere!

Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.