Dal lontano 2009, data in cui abbiamo iniziato a parlare di meditazione in modo “serio” qui su Psinel, la faccenda è esplosa e in alcuni casi è “sfuggita di mano”.
Ci sono persone che dichiarano che la meditazione fa “bene a tutto”, si è vero fa bene a moltissime cose. Ma pochi sanno che esistono 4 circuiti cerebrali scientificamente appurati su cui lavora la meditazione…
…o meglio su cui lavorano diversi tipi di pratica di meditazione, ed è il tema della puntata di oggi. Buon ascolto…
I circuiti cerebrali
Come ti ho detto in puntata non esiste alcuna strada nel cervello con su scritto “via dell’illuminazione” o “area del linguaggio”, ma esistono dei pattern che riusciamo a riconoscere.
Questi schemi di funzionamento vengono spesso chiamati “circuiti” con una forte assonanza alle parti elettriche di una qualche moderna tecnologia, ma in realtà è qualcosa di diverso.
Si tratta di insiemi di strutture che tendono a fare la stessa cosa in modo ripetuto e ridondante e che oggi, grazie ai moderni “scanner” (risonanze magnetiche) riusciamo ad isolare.
Così oggi conosciamo moltissimi circuiti legati alle emozioni, al linguaggio, all’auto-controllo ecc. Tra questi ce ne sono 4 che sono stati isolati da diversi autori e ricercatori nel campo della meditazione.
La cosa interessante è che non si sono limitati ad individuarli ma hanno anche cercato di capire se potessero essere potenziati, cioè se si potesse attraverso l’esercizio aumentare quella specifica funzione.
La neuroplasticità
Ne è passata di acqua sotto ai ponti da quando i medici credevano che la plasticità cerebrale fosse una sorta di chimera. Eppure se ci pensiamo è sempre stata sotto il loro naso.
Alcune persone, anche dopo gravi incidenti, ritornano a parlare, camminare, pensare, vivere la vita. Anche se determinate strutture sono andate completamente perse.
Tuttavia solo in tempi recenti abbiamo raccolto prove a sufficienza sulla veridicità della plasticità cerebrale, cioè della capacità del tuo cervello di modificarsi in base all’esperienza.
E non si tratta tanto di una questione filosofica quando biomedica, ma che in un qualche modo ci porta in ambito “filosofico”. Cioè ci porta a mettere da parte la famosa diatriba tra “natura e cultura”.
A dire il vero “non la mette da parte” ma ci mostra quanto queste due cose, l’ambiente in cui nasciamo, l’addestramento e le predisposizioni innate siano in un qualche modo correlate tra di loro.
Cosa cambia davvero?
Molti intellettuali (alcuni dei quali apprezzo davvero) sono convinti che sia inutile conoscere i correlati neuronali dell’attività psichica. “A cosa serve sapere dove si trova l’area delle emozioni?”.
Se uno ci pensa a mente fredda hanno completamente ragione, sapere di avere un’area deputata alle emozioni non aumenta la tua capacità di gestirle.
Tuttavia è un modo utile per chi fa ricerca di capire e avere un metro di paragone. Ad esempio prendendo in esame persone che sono brave e altre meno brave a gestire il mondo emotivo e facendo un confronto.
Non solo un confronto comportamentale ma mettendole dentro uno scanner e cercando di capire se vi sono delle differenze anatomiche e funzionali nel loro cervello.
E personalmente sono convinto che “sapere che esiste” non è solo un vezzo per chi fa ricerca. Anche a me piace pensare che aspetti fortemente psicologici, come l’empatia e il focus, non siano solo “costrutti mentali”.
Il nostro cuore
Per fare un’analogia pensiamo di muoverci in un mondo moderno senza sapere quali siano le funzioni del nostro cuore. Sicuramente non solo la medicina sarebbe zoppa ma anche molte altre applicazioni attuali.
Gli sportivi non saprebbero come massimizzare le proprie performance, non avendo un parametro di qualità come la frequenza cardiaca. Si la gente correva anche quando non sapeva cosa fosse il cuore.
Tuttavia se ci pensi bene nessuno ha mai corso così bene come facciamo oggi. E questo è il frutto del miglioramento degli allenamenti, cosa visibile in ogni disciplina sportiva, ti basta guardare i record delle olimpiadi.
Ogni anno c’è qualcuno che batte un record mondiale, le ipotesi sono due: o noi esseri umani nasciamo sempre più forti o sono migliorati i metodi di addestramento.
E’ chiaro che la risposta è la seconda. Quindi conoscere l’esistenza di “circuiti” e “parti” del corpo che si possono allenare (come la frequenza cardiaca) non è un semplice vezzo ma una nuova guida.
Le neuroscienze contemplative
Come ti raccontavo uno dei fautori più rinomati in questo ambito è il Dalai Lama. Il quale prende parte annualmente alla famosa conferenza Mind and life e ne è uno dei maggiori promotori.
Vedi chi si occupa seriamente di queste cose non teme di rapportarsi con la moderna ricerca. Per questo quando qualche appassionato di meditazione mi dice: “guarda che è stato già tutto scoperto dagli antichi”… rido!
Rido non per denigrarlo ma perché si tratta di un atteggiamento settario e pseudo-religioso che dobbiamo lasciare se vogliamo addentrarci seriamente nelle questioni più raffinate della coscienza.
Credere che una cosa sia vera perché ha millenni di storia è come dire che tutto ciò che c’è scritto nella Bibbia è vero e che Darwin ha raccontato solo favolette… ovviamente non è così.
Con questo non voglio denigrare la tradizione, anzi, è proprio da questa che sono nati gli studi più interessanti nell’ambito che oggi (da circa 30 anni in realtà) prende l’esotico nome di “neuroscienze contemplative”.
Da molti decenni
In realtà queste idee esistono da molti decenni, ma solo negli ultimi tempi abbiamo la tecnologia adatta per studiare queste cose. Ed è un po’ quello che è successo con l’astronomia.
Fino a quando non abbiamo avuto gli strumenti per studiarla era ancora un mix tra “astrologia e astronomia”. Ti basta solo sapere che Galielo per arrotondare faceva spesso gli oroscopi alle persone.
La tendenza non è nuova e forse nasce anche grazie ai miei colleghi che da ormai 2 secoli tentando di studiare in modo scientifico la mente. Nonostante tutte le critiche da parte del mondo intellettuale.
Critiche a volte giuste. Perché quando si legge “scoperta l’area del pensiero felice” sappiamo che le cose non sono così semplici. Tuttavia la scienza richiede un certo riduzionismo, altrimenti non sappiamo più cosa stiamo cercando.
E ora devo farti una confessione personale, legata proprio alla meditazione. Dove per anni mi sono sentito dire cose del genere: “non hai bisogno di studiare quelle cose, ti basta meditare per capire”.
La meditazione non basta
Ok la maggior parte delle cose che si scoprono oggi sulla meditazione erano già state individuate da qualcuno. Ma hai idea di quanti meditanti ci siano stati nel mondo?
Per non parlare dei tipi di meditazione presenti nel mondo. Sono tantissimi anzi troppi. Ed è chiaro che su migliaia se non milioni di intuizioni molte siano corrette, e non perché si acceda ad un qualche “luogo mistico”.
Sono infatti convinto che le intuizioni siano corrette semplicemente perché noi esseri umani siamo sempre gli stessi da quando abbiamo scoperto le pratiche di contemplazione.
Cioè il nostro cervello funziona pressapoco nello stesso modo di come funzionava ai tempi del primo Buddha. Si, è chiaro che molte cose fossero diverse, ma ti basta leggere un po’ di storia per capire che ci sono troppe affinità.
Già nell’antica Grecia si parlava di “panico e angoscia”, in oriente si parlava di “sofferenza” ma in termini psicologici, di insoddisfazione personale e non di sofferenza puramente fisica.
La visione della terra
Come ti raccontavo in puntata, per me, sapere di poter avere dei dati oggettivi sul funzionamento del cervello non è un semplice vezzo da addetto ai lavori.
Ma è un modo per guardare “la terra dallo spazio”. E’ una storia molto affascinante questa, non so se sia vera al 100%, ma di tanto in tanto mi capita di risentirla e sembra plausibile.
Il fatto cioè che il movimento ecologista sia nato dopo la divulgazione a livello mondiale delle prime immagini della terra dallo spazio. Perché anche se l’avevamo già disegnata e immaginata…
…nessuno si aspettava le nuvole! Che viste così sono semplicemente addensamenti nuvolosi che vediamo tutti i giorni. Cioè avevamo già esperienza diretta delle nuvole ma non da quel punto di vista.
E nel campo della conoscenza il punto di vista è molto importante perché guida la nostra ricerca. Tuttavia ci tengo a sottolinearlo, non è un’analogia troppo calzante, l’approfondiamo nel Qde di oggi.
Si può allenare
Uno dei risultati più sorprendenti negli ultimi decenni della ricerca è la già citata “neuroplasticità”. L’idea che l’esperienza possa modificare fisiologia e in alcuni casi l’anatomia del cervello.
Fino a pochi anni fa eravamo convinti che l’attenzione fosse una funzione passiva! Nonostante tutti avessero l’esperienza diretta del contrario chi si occupava di percezione era convinto che fosse così.
Erano convinti che l’attenzione fosse misurabile e che tale misura fosse identica per tutti. Un po’ come quando studiamo a scuola i limiti percettivi dei nostri apparati sensoriali.
Sappiamo tutti di non poter vedere tutto lo spettro elettromagnetico e di non poter udire tutte le bande sonore. Sono limiti fisici dei nostri sensi che possono essere misurati e stabiliti.
Tuttavia vari studi, molti dei quali sono stati pubblicati su Psinel nel corso degli anni (guarda questo sul “blink effect”) hanno invece dimostrato che l’attenzione si può addestrare e si può espandere.
Si, non puoi diventare “l’uomo ragno” però hai un ampio margine di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la tua capacità di sostenere e dirigere il tuo focus attentivo.
Diversi miglioramenti tangibili
Ormai è innegabile, l’enorme mole di ricerche nel campo della meditazione ci hanno dimostrato più volte che i benefici di queste pratiche sono più che tangibili.
Ed è un campo talmente delicato da aver portato i ricercatori ha cercare costantemente di mettersi in discussione, tanto che ormai gli standard in questi campi sono altissimi.
E’ molto più facile che una qualsiasi ricerca che senti dai media sia “fasulla” che non una sulla meditazione, sempre che vengano citate quelle degli ultimi tempi.
Per te che hai avuto pazienza di seguirmi fino a qui ti dico dove puoi trovare tutte queste affascinanti ricerche e anche questi dati che per molti possono sembrare “sparate”.
I luoghi e le risorse sono molte, e la maggior parte le troverai nel Qde, ma quella che ho utilizzato è stato un libro di qualche anno fa dal titolo meraviglioso “Altered Traits” .
Tradotto da noi in “La meditazione come cura“, titolo assolutamente fuorviante rispetto agli scopi del testo, che erano proprio quelli di cercare di studiare come i benefici della meditazione passino da “stati a tratti”.
Sarà il tema di una delle prossime puntate, nel frattempo fammi sapere cosa ne pensi lasciando un tuo commento qui sotto e sui social.
A presto
Genna