Diversi anni fa un amico mi disse: “Genna tu pensi troppo” riferendosi al fatto che ero particolarmente indeciso su una certa scelta da compiere. Dato che ero già iscritto a Psicologia ho immediatamente risposto: “solo le persone stupide non pensano abbastanza”, sembrava una risposta intelligente, ma forse dopo anni devo ammettere che il mio amico aveva ragione. Esistono momenti nei quali realmente pensiamo troppo, oggi vediamo insieme questo fenomeno…
Pensare
Che cosa è il pensiero? Questa è una di quelle domande che sembrano facili ma non lo sono, perché se lo chiedessimo a 100 persone (e anche a 100 esperti) potremmo ricevere 100 risposte diverse. Parto con il dire che tecnicamente ciò che intendiamo con tale termine non è esattamente ciò che ho inteso all’interno di questa puntata, si perché ogni operazione del cervello (cosciente o meno, fisica o meno) potrebbe essere vista come pensiero. Per questo motivo si afferma spesso che anche altri animali pensino, anche se non possono esplicitarlo attraverso il linguaggio, in quel caso attraverso rappresentazioni mentali.
Nel caso odierno intendo con pensiero il “parlarti dentro“, quel continuo dialogare che fai con te stesso e che, quando viene svolgo in maniera eccessiva tende a bloccarci. Non intendo solo i casi estremi di pensieri ossessivi o intrusivi e neanche solo la famosa paralisi dell’analisi, ma intendo un fenomeno più generale che ci porta costantemente a parlarci dentro. Ora il problema vero non è parlarsi dentro ma il fatto che, in determinate occasioni, crediamo che quella sia la voce da ascoltare con attenzione, come se si trattasse di una sorta di “voce della coscienza”, quindi partiamo smontando questo pregiudizio: la voce che senti dentro NON è la tua coscienza!
O meglio, si fa parte della tua coscienza ma non è quella voce profonda dei film che ti dice cosa sia giusto o sbagliato fare. Quando tutto fila liscio sembra proprio che le cose funzionino in questo modo: “dovrei continuare a leggere questo post? Mah forse si, forse trovo qualcosa di interessante” ecco questa delibera interna che facciamo è un aiuto a capire e risolvere ma in realtà non è ciò che determina se continuerai o meno a leggermi. Qui arriva la parte complessa da comprendere: il pensiero è una macchina predittiva che cerca di creare rappresentazioni stabili che le diano sicurezza nelle proprie previsioni. Quando questo funziona tutto fila liscio, quando questo perde qualche colpo tendiamo a fare qualche piccolo casino.
Come fa il nostro cervello a predire cosa sta per accadere? Crea delle rappresentazioni (delle mappe) di come funziona il mondo, in quell’incessante meccanismo che chiamiamo “dare senso“. Questo processo ci consente di fare una cosa ancora più rilevante per la nostra sopravvivenza: risparmiare energia. Immagina di essere un’azienda che vende farina, se puoi prevedere con precisione quanta te ne servirà per fare il pane poi risparmiare, se al contrario sbagli tale previsione rischi o di gettare via delle risorse o di restarne senza. I problemi iniziano a sorgere quando ci sembra di non riuscire più a fare una buona previsione mentre stiamo prevedendo senza agire.
Torniamo adolescenti per qualche istante: ti ricordi quando c’era quella ragazza o ragazzo che ti piaceva, volevi andare a parlargli ma qualcosa dentro di te ti bloccava? Certo era una emozione a farlo ma se ci pensi bene dentro di te avevi un dialogo del genere: “Ok adesso mi alzo e vado a parlarle. E se si gira e mi fa fare una pessima figura? E se mi rifiuta? E se mi offende o mi prende per un pervertito? E se sta aspettando il suo ragazzo? E se… e se… e se… e se?”. Tutti questi tentativi di previsione “e se” sono un tipico fenomeno di blocco da pensiero che può essere capitato a tutti (onestamente penso proprio a tutti).
Facciamola semplice
Per farla davvero semplice le cose stanno più o meno così: la nostra mente per farci restare sereni di fronte al fatto che non possiamo davvero conoscere cosa ci circonda racconta delle storie, cioè costruisce delle mappe, suppur raffazzonate del territorio. Meglio avere una mappa anche se non contiene tutto ciò che è presente che non averla, giusto? Meno ci sentiamo sicuri di cosa abbiamo intorno (e dentro) e più questa voce continua a fare ipotesi. Solitamente non ci accorgiamo di questo processo, almeno fino a quando non fallisce, ed il fallimento avviene quando invece di agire restiamo imprigionati nei pensieri.
Come nell’esempio di prima con la conquista del nuovo partner. Questa voce (o Sè narrativo) mette ordine alla grande quantità di ipotesi che creiamo nella nostra mente, o per lo meno ci da l’idea di creare un ordine. La realtà ha tantissimi significati, quando vedi un tizio per la strada che porta una borsa pesante, non pensi che potrebbe usarla per dartela in faccia, ma pensi che la stia semplicemente portando. Eppure una parte di te fa anche certi tipi di ipotesi, ma se tutto ci sembra abbastanza prevedibile (questa è la parola chiave) ecco che sceglie l’opzione più comoda e conosciuta: “sta portando una borsa pesante”.
Se invece qualche dettaglio della situazione o interiore ci destabilizza ecco che iniziamo anche a vedere altre opzioni. Se ad esempio siamo in un vicolo buio di notte ed il tizio sembra barcollante, ecco che quel peso che porta tra le mani potrebbe anche costituire un pericolo per noi. La nostra mente continua a fare queste previsioni di continuo per preservare la nostra incolumità, e come ti ho raccontato tante volte (anche nel mio primo libro) a volte, quando siamo super felici per qualcosa potremmo non notare le intenzioni negative di chi ci sta accanto, giusto per far comprendere che il sistema non si disregola solo quando le emozioni sono (per così dire) negative.
Potremmo dire che in quel caso sarebbe stato bene “pensare di più“, tuttavia molto spesso la nostra mente confondendo la realtà esterna con quella interna (la famosa mappa con il territorio) inizia a credere che per sbarazzarsi di un contenuto interiore debba fare la stessa cosa che si fa quando dobbiamo risolvere un problema. Si mette cioè a fare un sacco di ipotesi per stare meglio: “perché sto pensando a quella cosa? Non è che sto impazzando? ecc.”. Ammettiamo che mentre guardi un tizio con la borsa pesante in pieno giorno inizi a pensare che potrebbe usarla come un’arma ecco che potresti pensare di essere impazzito e quindi cercare di eliminare quel pensiero.
Ed ecco la trappola mortale: i pensieri non si possono eliminare, non esiste un tasto “spegni i pensieri”, quindi per cercare di sbarazzarcene li trattiamo come se fossero dei problemi da risolvere, quando in realtà si tratta solo di ipotesi da vagliare. Il vaglio di tali ipotesi potrebbe incastrarci in esse: “vado o non vado a parlare con quel tizio?”. Ciò succede in maniera molto forte in diverse occasioni: quando non stiamo bene, quando altre ipotesi precedenti hanno attivato quella interpretazione (ci hanno appena aggrediti o abbiamo letto una notizia simile) o quando siamo di fronte a domande esistenziali. Esempio: “come faccio ad essere davvero felice? Perché sono su questo pianeta? Qual è il senso vero della mia vita? Ecc.
“Stai senza pensieri”
Allora come si fa a liberarsi dei pensieri? La frase “stai senza pensieri” resa nota dalla serie TV Gomorra spiega in modo semplice cosa s’intende normalmente con il termine “avere troppi pensieri” cioè avere troppe preoccupazioni. So di avertelo già detto molte volte, di averlo ripetuto anche nella puntata di oggi ma è estremamente importante ripeterlo: per stare senza pensieri dobbiamo imparare a restare con i pensieri. Cioè l’ultima cosa che devi fare è cercare di spegnere, eliminare o cambiare i tuoi pensieri. Questo è un passaggio controinutuitivo come tutte le cose che funzionano davvero in psicologia e ora vediamo i perché…
O meglio in realtà li abbiamo già visti: perché cerchiamo di prevedere, dare ordine e senso al mondo anche quando non abbiamo davvero tutti i dati a disposizione. Quando ti preoccupi, cioè ti “occupi prima” ciò che stai facendo e simulare di continuo cosa accadrà nel futuro nella speranza che prima o poi troverai un modo di vedere quella cosa che ti calmerà. Ed è esperienza comune che questa cosa accada davvero di rado, cioè se immaginiamo che tu sia preoccupato per un esame che dovrai sostenere, certo potrai studiare, prepararti alle domande più difficili, immaginare la sessione di esami ecc.
Ma non potrai mai davvero “occuparti prima” di ciò che accadrà, cioè non potrai controllare tutto ciò che potrebbe accadere in quel contesto. Un primo passo è quello di cercare di rivolgerti verso le cose che puoi davvero controllare, in questo caso le ore di studio e la tua preparazione in generale, ma non saprai mai che domande ti farà, come ti sentirai in quel momento e se ti chiederà cosa si trova a pagina 345 del manuale in Sanscrito (spero si capisca che sto scherzando). Allora perché ti preoccupi? Semplice perché quel continuare a pensare ti da l’idea di prepararti di più ma in realtà non lo fa o per lo meno non lo fa così tanto come ci piace credere.
Ovvio che se ti preoccupi perché non hai studiato allora è giusto che le cose stiano così. Ma se ti sei preparato come al solito ecco che quei pensieri in più non sono così utili, anzi in alcuni casi possono bloccare anche la preparazione nelle persone maggiormente ansiose. Lo che può sembrare strano ma uno dei motivi principali delle nostre preoccupazioni è che siamo convinti che ci aiutino, che siano il modo corretto di continuare a prepararci, ed in parte è vero perché ti mettono il “pepe al culo” e ti motivano allo studio, ma solo fino ad un certo punto.
Quindi un buon modo per gestire quei pensieri è iniziare a vederli come tali: previsioni sul mondo che cercano di rasserenarci ma che, in fondo in fondo, non ci rasserenano. Quindi? Quindi dobbiamo intanto iniziare a notare che abbiamo questa tendenza e lasciare che il nostro Sè narrativo faccia il proprio dovere, iniziando a vederlo come una parte di noi che fa previsioni e non come NOI. Questo è un passaggio pericoloso e forse mi serve qualche altro paragrafo per spiegarlo meglio.
TU non sei i tuoi pensieri
Orami sono anni che ripeto questa frase e di tanto in tanto qualcuno mi dice: “ma cosa diavolo significa?”. Significa che spesso noi siamo così tanto in preda di quel chiacchiericcio interno da scambiarlo per la nostra coscienza, da credere che sia la nostra mente disordinata e non un processo stocastico e automatico di risoluzione dei problemi. Quindi in realtà il problema non deriva dal fatto che pensiamo troppo ma dal fatto che confondiamo quel pensiero come la cosa più importante che stiamo facendo, ed invece la cosa più rilevante che facciamo sono le azioni che decidiamo di compiere e non i pensieri.
Lo so che pensieri e azioni sembrano indissolubilmente legati ma non è così. Non mi credi? Prova a leggere questa frase dicendo a te stesso: “non leggere questa frase“. Lo so è un po’ stupido ma in realtà lo fai di continuo, vedi una bella auto che vorresti ma non puoi permetterti? Immagini di possederla ma mica questo ti fa diventare un ladro che cerca di ottenerla subito. I pensieri sono come le nostre gambe, ci aiutano tantissimo ma sono una parte di noi che possiamo anche decidere di non ascoltare perché, magari abbiamo capito che in alcuni casi sta solo cercando di proteggerci.
Come quando non ci alziamo per andare a parlare con quella ragazza per paura del rifiuto, come quando continuiamo ad immaginare l’esame di domani perché temiamo di essere bocciati ecc. Se credi di essere i tuoi pensieri, che quella sia la tua vera coscienza, ecco che c’è solo un modo per stare bene, cercare di fare pace con essa, cioè pensare ancora di più fino a quando non ti sentirai meglio… ecco l’errore peggiore di tutti: cercare di risolvere l’angoscia generata dai pensieri con altri pensieri. E credere che fino a quando non ci sentiremo davvero bene, fino a quando quel processo non ci farà sentire in pace, sarà bene non agire!
Ecco il vero inganno, ed invece lo sappiamo tutti in fondo cosa dovremmo fare: andare lo stesso da quella ragazza/o anche se ci tremano le gambe; presentarci all’esame anche se temiamo di essere bocciati ecc. Cioè fare le cose nonostante i pensieri e nonostante le emozioni, le quali possono essere messe nel calderone insieme ai pensieri o meglio insieme a quelli che tecnicamente chiamiamo contenuti interiori (per approfondire leggete Antonio Damasio e poi magari Restare in Piedi tra le onde).
Purtroppo so che chi sarà arrivato a questo punto del post probabilmente ha già letto i miei libri, conosce bene queste idee e sa anche che non si tratta di pura speculazione filosofica. Nel caso fossi qui per la prima volta voglio sottolineare che questa faccenda ha ripercussioni più che pratiche nello studio degli psicoterapeuti di tutto il mondo, forse il personaggio che ha maggiormente contribuito negli ultimi anni a questo tema è il dott. Steven Hayes (il padre del modello ACT), in caso avessi voglia di approfondire.
Cercando su Google “Pensieri Psinel” (oltre ai link che trovi qui e al nostro canale Youtube) potrai trovare una marea di altri contenuti gratuiti su questa tematica. Sì i pensieri fanno parte di te, le storie che ti racconti anche ma non sono la parte più importante di te, sono una sorta di computer interno che utilizziamo (un agente IA. Se ci dimentichiamo che è un agente che noi utilizziamo lui inizia ad utilizzarci, facendoci credere che per avere tutte le risposte sia necessario continuare ad usarlo ancora e ancora e affidarsi sempre a cosa ci dice…
Insomma ci siamo capiti… forse.
A presto
Genna