Ci sono cascato ancora una volta, non ho potuto fare a meno di ribadire uno dei concetti più importanti di tutta la crescita personale. Un tema molto facile da capire ma difficilissimo da sperimentare direttamente: TU non sei i tuoi pensieri! Questo non è un aforisma Zen è la verità dei fatti, una realtà talmente evidente da risultare celata alla nostra consapevolezza. Ciò che conta non è capire questo concetto ciò che conta davvero è farne esperienza… ecco come:
Ogni volta che mi capita di ripetere che “non siamo i nostri pensieri” di fronte a persone perspicaci, qualcuno mi risponde: “Mi sembra ovvio che io non sia solo i miei pensieri, sono questo corpo, sono le cose che faccio ecc.”. E le cose stanno esattamente in questo modo, non c’è assolutamente bisogno di ricordare questa faccenda fino a quando le cose vanno bene. Infatti diventa abbastanza evidente a molti che i pensieri possono disturbare quando stiamo soffrendo, quando ci lascia il nostro partner, quando subiamo una battuta d’arresto ecc.
In quei casi molte persone iniziano a pensare così tanto da dimenticarsi di non essere “solo quella parte“. Ma la faccenda in realtà è molto più profonda, perché ciò con cui noi ci identifichiamo maggiormente non sono semplici “pensieri” ma sono pensieri che hanno a che fare con la nostra identità. Insomma possiamo diventare prigionieri dei nostri pensieri anche quando non stiamo soffrendo ma magari ci incastriamo in una serie infinita di valutazioni su di noi, sugli altri, su come ci dovrebbero trattare ecc. Questa prigione è invisibile per questo è difficile liberarsene.
Il centro di tutto il discorso di oggi è questo, ci abbiamo dedicato un sacco di episodi perché credo sia qualcosa che tutti debbano conoscere. Perché le storie che ci siamo raccontati per millenni non ci hanno solo dato direzione e forza, senso e appagamento ma ci hanno anche imprigionati in molti modi diversi. Per chi è interessato alla puntata qui sotto approfondiamo ed estendiamo le tesi proposte.
Come afferma Tolle e molti altri pensatori: è una vera e propria liberazione accorgerci che non siamo quella voce nella nostra testa. Allora chi siamo? Siamo lo spettatore che assiste a quella voce, a quelle rappresentazioni, che è testimone del mondo e allo stesso tempo ne fa parte. Andiamo oltre i miti, le narrazioni e le convinzioni… tu sei molto molto di più. Buona consapevolezza…
Cosa sono i pensieri?
Diamo un’occhiata al modello più semplice di interpretazione del comportamento umano (e vivente in generale) ponendoci la domanda essenziale: perché pensiamo? A cosa servono i pensieri? Come abbiamo visto analizzando gli studi del prof. Vallortigara il pensiero non è un’abilità squisitamente della specie Sapiens ma è trasversale a tutto il mondo vivente. Anche il “paramecio”, essere unicellulare, ha una qualche forma di pensiero e rappresentazione del mondo. Al punto tale che possiamo condizionarla attraverso semplici esperimenti di laboratorio.
Qui su Psinel ripetiamo da anni la stessa frase: “il pensiero è un simulatore che serve per risparmiare energia“. Se devi fare budget per la tua azienda cosa fai concretamente? Prevedi in quali modalità saranno spese alcune risorse, più sei bravo in questo atto di previsione e più sei in grado di gestire le tue risorse. Ecco il pensiero fa qualcosa di simile solo che lo fa di continuo e solitamente non ne siamo consapevoli, almeno fino a quando tali previsioni non sbagliano di brutto. Come quando una situazione viola in modo significativo le nostre aspettative o come quando pensiamo che ci sia un gradino in più (o in meno) ed abbiamo quello strano sussulto.
Ora perché c’è bisogno di affermare che la nostra mente si comporta in questo modo? Perché la parte di noi più rilevante è mantenuta da questo stesso sistema, mi sto riferendo a quella che chiamiamo “identità”. Quando pensiamo a noi stessi non lo facciamo attraverso semplici sensazioni ma continuando a ripeterci storie che mantengano un senso di identità. Chiediti per un istante “chi sono” ed aspetta la risposta ciò che emergerà saranno storie che ti racconti: “Mi chiamo Giacomo, faccio l’architetto, ho 42 anni e 2 figli. Amo stare in compagnia e mi emoziono quando guardo la mia squadra del cuore ecc.”.
Niente di strano se continuiamo a tenere a mente che tutto ciò serve per risparmiare energia. Pensa se in ogni istante dovessi notare ogni singolo cambiamento della tua personalità, se ogni volta che essa si modifica un po’ tu dovessi notarlo, di certo saremmo più consapevoli ma anche molto incastrati in un continuo processo di aggiornamento. Ok il pensiero non mantiene solo la nostra identità ma per la nostra esperienza soggettiva questo è l’aspetto più rilevante, cosa fa di altro? Bè risolve problemi e riflette sulle esperienze che gli capitano.
Riflettere: anche se nella sua accezione semantica indica una sorta di introspezione rivolta proprio al pensiero il verbo riflettere sembra c’entrare moltissimo su come usiamo i nostri pensieri. Noi li riflettiamo sul mondo e non solo, abbiamo prese di consapevolezza che arrivano su pensieri meta, cioè pensieri sui pensieri. Probabilmente il termine deriva dal fatto di flettersi su qualcosa rispetto al riflettere la luce, tuttavia mi piace pensare che il termine possa indicare in modo implicito la capacità che abbiamo di usare le nostre mappe per muoverci nel mondo. Riflettiamo chi siamo… lo so probabilmente un filologo inorridirebbe a questa mia interpretazione ma può essere un modo semplice per ricordarci che il nostro mondo tende sempre a prendere il colore dei nostri stati interiori.
L’analogia più semplice
L’analogia più semplice per spiegare cosa sia il pensiero è quella che ho usato molte volte qui su Psinel, ma nel caso fossi qui per la prima volta è bene ripeterla. Noi assomigliamo molto ad una sorta di macchina a guida autonoma, la quale si muove nello spazio e nel tempo usando 2 parametri: ciò che conosce sul territorio, le mappe che ha già dentro il suo navigatore ed i sensori esterni che le consentono di aggiornare le mappe stesse. Come abbiamo visto molte volte noi ci muoviamo nel mondo seguendo qualcosa di molto simile, anticipando ciò che sta per accadere, e come facciamo a farlo?
Ci basiamo sulle conoscenze pregresse. Se ti metto davanti ad alcuni oggetti allungati, con alcuni fogli e ti chiedo di disegnare una casa penserai subito che quegli oggetti siano delle penne o matite e che quel foglio sia il luogo in cui disegnare. Immagina se tu non avessi mai visto fogli e penne, ecco sarebbe impossibile eseguire quelle istruzioni. Dovresti per prove ed errori capire cosa servono le penne, cosa serve il fogli, cosa disegnare ecc. Ma non facciamo così, usiamo gli oggetti per ciò che sappiamo essi servano sulla base di ciò che abbiamo appreso in precedenza, tuttavia siamo anche capaci di aggiornare quelle conoscenze.
Anni fa lavoravo in uno studio che aveva una porta finestra da attraversare, questa porta si apriva anche a “vasistas”, il che significa che quando tiravi in giù la maniglia (come solitamente si fa per aprire una porta) invece di spalancarsi si apriva dall’alto. Quando arrivavano nuovi pazienti mi divertivo a fargli un piccolo test, lasciavo che aprissero loro quella porta ed il 99% delle volte cadevano in errore. Allo stesso tempo però la stessa percentuale, una volta che dicevo loro “è una vasistas, tiri semplicemente verso di lei” aggiornava subito quel comportamento e raramente ci ricascava le volte successive.
Certo alcuni se ne dimenticavano, ma nonostante molti di essi non avessero mai visto una porta del genere (neanche io, stiamo parlando di circa 15 anni fa) aggiornavano immediatamente le proprie conoscenze. Questo test mi consentiva anche di misurare in modo grossolano l’effetto del “senno di poi” (di cui ci siamo occupati di recente), cioè alcuni di essi a distanza di mesi non ricordavano di aver sbagliato ad aprire la porta le prime volte. Questa analogia con l’automobile può essere estesa ai computer e in generale a tutto ciò che possiamo immaginare di meccanico… ed immagino già le critiche “aiuto pensi che siamo macchine”.
No, penso che in realtà le macchine siano simili a noi perché le abbiamo fatte noi, e non a caso gli avanzamenti tecnologici legati a tali temi puntano tutti alla creazione di qualcosa di simile all’essere umano, perché è il modo più efficace per farle agire. Infatti gli sviluppi più incredibili che vedremo nei prossimi tempi sulla intelligenza artificiale derivano proprio dal modellamento del funzionamento del nostro cervello. E non solo, diventerà davvero incredibile quando avrà un corpo come noi e si dovrà muovere nello spazio ed interagire con altri oggetti e altri esseri viventi.
Ammazza il romanticismo
So che quando affermo che il pensiero serve per muoversi nel mondo risparmiando energia, quindi in modo efficace ed efficiente la gente oltre a pensare che sia una riduzione materialistica crede che sia la morte del romanticismo. Ma come il pensiero non è l’inizio di tutto? Non posso attraverso il pensiero trascendere la materia ed inventare mondi che dimostrano una sorta di superiorità di questa abilità su tutto il resto? Non è il pensiero che ha generato meravigliose opere d’arte, profondissimi pensieri filosofici e altro? Questa storia che si tratti di mappe non è troppo riduttiva? Il pensiero non serve per arrivare al significato al succo delle cose?
Queste domande sono profondissime e per quanto mi riguarda si “ammazzo il romanticismo con l’evoluzionismo” o quello che viene chiamato con un nome ancora peggiore “funzionalismo”. Che significa in soldoni chiedersi “se esiste una funzione biologica per quale motivo è rimasta con noi? Che tipo di funzione svolge per la nostra sopravvivenza?”. E quando si parla di sopravvivenza tutta la poesia sfuma però allo stesso tempo restano i meccanismi, che sono in fin dei conti ciò che ha realmente rivoluzionato (e sta tutt’ora rivoluzionando) la psicologia e non solo.
Quindi che tipo di meccanismo evolutivo svolge il pensiero? Le risposte sono molte come: pianificare e immaginare scenari che non sono ancora presenti, risolvere problemi in modo rapido (motivo per il quale abbiamo anche molti bias), riflettere sulle nostre azioni e sui nostri sentimenti. Insomma non sono cose piccole, non vorrei infatti con la storia del “non siamo i nostri pensieri” svalutare questa funzione, anche se a volte lo faccio eccome. Sai perché? Perché senza rendercene conto siamo spesso schiavi del pensiero, quando ci identifichiamo troppo con lui perdiamo flessibilità e agiamo peggio.
Per questo motivo oggi molti approcci di psicoterapia e di miglioramento personale prendono spunto dalle pratiche di consapevolezza, perché senza di essa perdiamo abilità e risorse. Possiamo nutrirci di poesia, di arte e letteratura, di filosofia e restare ore a discutere con gli altri o con noi stessi sul senso della vita. Sono tutte cose meravigliose che però, quando prendono il posto del territorio generano problemi. Sì ancora la mappa che non è il territorio, un concetto mastodontico ma molto semplice che solitamente è facile da capire ma non sempre ci accorgiamo del suo funzionamento.
E’ brutto da dire ma la nostra ricerca di senso romantica su noi stessi è spesso fonte di problemi. Perché è come se cercassimo di trovare una volta per tutte il senso della vita, si tratta di una domanda che non ha fine, un tema indecidibile. Saper riconoscere quando vogliamo fare una analisi del genere da quando pensieri del genere ci sembrano la soluzione al nostro malessere non è cosa semplice. Fin quando stiamo bene nessun problema potrà sembrare assurdo per alcuni, ma diverse persone si incastrano in pensieri del genere.
Prigionieri dei pensieri
Ho usato il termine “prigionieri” in questa puntata per non ripetere ancora una volta che “non siamo quelle cose la”. Ma allo steso tempo dare a tutti una immagine molto chiara di cosa possono fare i pensieri, cioè renderci schiavi. Come fanno a farlo? Con la stessa modalità che usano per chiarirci la strada, quando ci dicono che una cosa è in un certo modo, perché ci sembra di averla compresa noi smettiamo di ricercare e ci fondiamo solo su di essi… diventandone inconsapevolmente prigionieri. Questo è il caso classico delle convinzioni che possiamo assumere da ciò che ci raccontano gli altri.
Ma possiamo diventare schiavi anche di altri tipi di pensieri come le aspettative. Mi aspetto che gli altri si comportino in un certo modo, mi aspetto di dovermi sentire in un certo modo, mi aspetto cioè di poter prevedere chiaramente ciò che succederà. Ancora una volta confondo la mappa con il territorio, confondo ciò che spero accada con ciò che accade realmente. Nuovamente, avere aspettative è normale e sano, non è sano invece che esse si trasformino in pretese assurde.
Chiaramente se dico ad un amico che ci vediamo alle 16 mi aspetto che venga, e fin qui tutto bene, ma se mi aspetto che il mio amico non si arrabbi, non mi parli in un certo modo ecc. le cose si complicano. Le aspettative peggiori le abbiamo su noi stessi per quanto riguarda come ci dovremmo sentire: “ora mi iscrivo a quel corso e dopo mi sentirò bene”; “ora farò la cosa X e dopo mi sentirò alla grande” ecco questo è un cercare di controllare il nostro mondo interiore il che conduce spesso a molta infelicità.
Da questa descrizione sembra che le aspettative più difficili da gestire siano quelle sulle persone, e in effetti è così, tuttavia anche noi siamo bravi a generare aspettative su noi stessi e confonderle per realtà assolute. Come quando pensiamo di essere bravi o meno bravi in qualcosa, come quando pretendiamo di controllare il nostro pensiero come se fosse un oggetto: “non voglio più pensare a quella cosa lì” ecc.
Ora ci sono vari gradi di identificazione con i nostri contenuti interiori e le peggiori arrivano quando soffriamo. Quando non stiamo bene tendiamo a pensare così tanto da non renderci conto di essere in un turbinio di pensieri. Ed è questo effetto che fa capitare cose paradossali come quelle descritte in oriente: prende fuoco la casa ed invece di scappare cerchiamo di capire chi è il colpevole.
Prenderci una mini pausa quotidiana dai pensieri attraverso la pratica della meditazione di consapevolezza non è solo il regalo più bello che possiamo farci ma è anche l’esercizio psicologico più potente e studiato che sia mai stato inventato. Se non mi credi provaci per qualche settimana, la ricerca indica un periodo di almeno 8 settimane ma posso assicurarti che già solo dopo un paio inizierai a toccare con mano la VERA differenza tra i PENSIERI e chi sei davvero.
A quel punto, ogni volta che leggerai o ascolterai le parole: “Tu sei più dei tuoi pensieri” sorriderai dentro perché ne avrai una piena esperienza. E io non vedo l’ora che arrivi quel momento anche per te e che tu possa condividerlo con noi.
A presto
Genna