Secondo alcune ricerche molto interessanti esistono 2 tipi di persone che comunicano online, queste si distribuiscono nella famosa proporzione 80/20.
L’80% della popolazione, la maggioranza, tende a comunicare in un modo specifico mentre un’altra parte, la minoranza, in un modo completamente diverso.
Queste 2 differenze ci fanno capire come comunichiamo e come migliorarci non solo come comunicatori ma in quanto persone… buon ascolto…
Tasha Eurich
Nel suo interessante libro “Insight” la psicologa delle organizzazioni Tasha Eurich ci parla di consapevolezza, un tema che qui su Psinel abbiamo visto in diverse salse.
Ma lo fa in modo un po’ particolare, parlandoci della differenza tra consapevolezza degli stati interiori (emozioni, pensieri ecc.) e consapevolezza di come veniamo percepiti all’esterno.
Si, non ti sbagli, ne abbiamo già parlato perché il Ted Talk della Erucih (che vedi più avanti qui sotto) è noto al grande pubblico e fa alzare le spalle a chi magari crede che tutta la consapevolezza sia solo “introspezione”. (Cosa da approfondire).
Perché possono esistere persone molto consapevoli dei propri stati interiori e persone molto consapevoli di come appaiono all’esterno. Queste due caratteristiche non sembrano però coincidere ed è questo che mi affascina.
Si perché è vero, non solo come differenza tra persone “introverse ed estroverse” ma è vero anche nel campo della meditazione. Ho incontrato molti esperti con anni di pratica alle spalle con questa apparente incoerenza.
Consapevole dentro e fuori
Come è possibile essere consapevoli solo dell’interiorità e non esserlo all’esterno? E’ possibilissimo anche se sembra contraddire quanto ci diciamo da anni sui vantaggi della meditazione e della consapevolezza.
Infatti per me consapevolezza non fa rima con “introspezione”, la differenza è semplice, chi si perde nei propri pensieri interiori non è detto che sia maggiormente consapevole dei propri stati interiori.
Sono due cose molto diverse: essere pensierosi non conduce alla consapevolezza, infatti chi medita sa perfettamente che farlo non significa analizzare i propri pensieri ma imparare ad osservarli.
E come noti ho usato il verbo “imparare” perché non siamo naturalmente predisposti a tale osservazione, siamo invece costantemente identificati con i nostri contenuti interiori.
E chi è molto pensieroso tenderà a credere di essere maggiormente consapevole della propria interiorità. Tuttavia qualche collegamento c’è: se mediti per molto tempo non ti importa più di tanto come vieni percepito all’esterno.
La meta-cognizione
Come abbiamo visto numerose volte per riuscire a cogliere i nostri pensieri in modo consapevole è necessaria la nostra “meta-cognizione” la capacità di osservare i nostri pensieri. Nelle relazioni questa può trasformarsi in:
Mentalizzazione, che come abbiamo visto è la capacità di metterci nei panni altrui ipotizzando e tenendo a mente il loro mondo interiore. Questo è un tipo di consapevolezza a cui non si fa riferimento negli studi citati.
Per mentalizzare adeguatamente non possiamo basarci però solo su ciò che noi pensiamo, dobbiamo fare ipotesi e metterle sul banco di lavoro, cioè agire e vedere quale tipo di feedback riceviamo in un circolo virtuoso.
Come vedi bisogna avere i piedi in 2 staffe, dentro e fuori, con la differenza che quando usi la meta-cognizione quella consapevolezza interiore non è una introspezione, un ragionare dentro se stessi, ma è un osservare ed un cogliere.
Credo che questo tassello manchi a tutte le persone che si occupano di consapevolezza a livello scientifico ma senza prendere in considerazione aspetti legati alla meditazione, forse perché oggi troppo di moda.
Gli unicorni
Al di là delle mie precisazioni la Eurich ci racconta che lei con il suo gruppo di ricerca ha fatto molta fatica a scovare persone che avessero il giusto “bilanciamento” tra consapevolezza interiore ed esteriore.
Ed ha chiamato queste persone speciali “unicorni della consapevolezza”. Ora la cosa interessante di tali “unicorni” è legato al fatto che sono diventati tali dopo aver preso delle belle “porte in faccia”.
Si tratta di persone brillanti che da un giorno all’altro hanno dovuto fare i conti con qualcosa che non sapevano. Ad esempio di essere odiati dai loro dipendenti per certi atteggiamenti ecc.
Onestamente ricordo ancora con quanta sorpresa sono rimasto da ragazzino, credo intorno ai 12 anni, quando ho scoperto di essere antipatico ad alcuni miei compagni di scuola.
Ero sempre sorridente, sparavo battute di seguito ecc. ma non mi rendevo conto di stare sulle scatole a molte persone. Lo stesso mi riaccadde in adolescenza e qualcosa devo ammttere iniziò a cambiare da allora.
Come usano i social gli unicorni
Studiando queste persone speciali la ricercatrice era convinta di scoprire che non utilizzassero affatto i terrificanti Social, ed invece (come spero tu abbia già ascoltato) questi unicorni sembrano usare di più i social dei “non unicorni”.
Ma con la grossa differenza che questi li utilizzano per informare, condividere informazioni preziose ed utili per tutti. La Eurich li ha battezzati informers, perché tendono ad informare le persone. Questo è un risicatissimo 20% della popolazione.
Al contrario l’80% invece è stato battezzato con il nome di “meformer” cioè persone che informano gli altri solo di ciò che hanno fatto: sono stati in una bella Città, hanno fatto splendide vacanze, e anche che piatti hanno mangiato.
Come vedi è una distinzione molto semplice che rischia però anche di trarre in inganno. Infatti è quasi impossibile pubblicare solo cose per “gli altri” che non abbiano attinenza con le nostre inclinazioni.
Ad esempio qui parliamo di psicologia, spero di darti contenuti utili (per fortuna ho tante testimonianze) tuttavia è una mia passione da un lato e dall’altro lato è un mio lavoro, ci “guadagno” a scrivere queste parole.
Qui sotto trovi lo Ted Talk di Tasha Eurich…
Aiutare gli altri aiutando se stessi
Forse il modo migliore di vedere i “informer” non è tanto pensare che pubblichino solo cose per gli altri, altrimenti sarebbero una specie di “ufficio stampa” che pubblica solo cose per gli altri.
E’ ovvio che lo facciano sulla base dei propri interessi, e se poi tale divulgazione gli portasse del lavoro? Sarebbero ancora “informer” oppure ricadrebbero nella zona dei “meformer”?
Credo sia difficile rispondere a queste domande, forse la più facile risposta è pensare che se lo spirito è quello di divulgare per aiutare allora non conta che ci sia o meno un ritorno, conta l’intenzione di come si fanno certe cose.
Mi piace ripeterlo: ma se tu riuscissi a raggiungere i tuoi obiettivi seguendo le mie puntate, a risolvere piccoli o grandi problemi con i miei consigli, senza dover venire nel mio studio… io sarei uno psicologo molto felice 🙂
Ed in parte lo sono perché mi arrivano continue testimonianze del bene di tale lavoro. E non mi riferisco solo alle cose gratuite ma anche ai percorsi a pagamento che detto tra noi, costano come una seduta nel mio studio (o nello studio di qualche mio collega navigato).
La sindrome della crocerossina
Se non ti ami non puoi amare davvero gli altri, ecco perché molte persone (compresi i maschietti) tendono a volte a ricadere nella sindrome della crocerossina, cioè aiutare gli altri a costo di consumarsi.
Essere “informer” non significa consumarsi per gli altri ma significa condividere ciò che pensiamo possa fargli bene, perché magari per prima cosa ha fatto bene a noi. Ed ecco che ritorna il mio ego e ti dice che è esattamente ciò che ho fatto con la meditazione.
Prima l’ho provata per anni su me stesso, poi su alcuni pazienti e alla fine ho fatto i miei percorsi che oggi trovi online. Essere troppo “fuori” alla ricerca dei segnali di approvazione o disapprovazione altrui non è consapevolezza.
Ma è decentramento continuo che non ti fa acquisire sicurezza in te stesso. Tu devi essere il tuo riferimento e poi da li partire per poter osservare davvero gli altri. Questo è l’errore delle “crocerossine”.
Che legano i propri stati emotivi agli stati emotivi degli altri, ma non in modo sano ed empatico ma in modo distruttivo, perché non possiamo controllare gli stati interiori della altre persone.
Si, di certo possiamo dare il meglio di noi stessi affinché stiano bene, ma dobbiamo farlo fino al punto in cui stiamo bene anche noi.
Il Bodhisattva
Nelle tradizioni meditative c’è un personaggio “mitologico” che racchiude quanto detto sino ad ora ed è il bodhisattva che significa: “essere illuminazione” e sono quei praticanti che raggiungono la famosa “realizzazione”.
Quando la raggiungi potresti benissimo pensare di restare in meditazione per tutto il resto della tua vita, chi te lo fa fare di rimetterti in mezzo alle brutture del mondo?
Come puoi immaginare le cose non vanno così, infatti se uno si chiude nella grotta non sta facendo davvero del bene (questa tra l’altro è una distinzione bellissima del Buddismo rispetto a pratiche simili) e la persona che si realizza sente di voler aiutare anche gli altri.
Ed è qui che nasce il Bodisattva che gira di villaggio in villaggio con lo scopo di dimostrare alle altre persone che esiste una realizzazione (perché lui ne è la prova vivente) e che tale lavoro non si conclude con tale illuminazione.
Ma al contrario inizia in quel momento, quanto si rende conto che tale stato può aiutarlo ad aiutare gli altri. Quindi per prima cosa aiuta se stesso sino a quel punto e solo dopo può davvero aiutare gli altri!
Piccoli gesti
Tranquillo non hai bisogno di analizzare il tuo istinto da crocerossino, se lo hai sai benissimo di cosa sto parlando, non è una cosa piacevole. Tuttavia non devi neanche diventare un “illuminato” per migliorare in questo senso.
Ti basta iniziare a notare cosa pubblichi sui tuoi social ed incominciare ad inserire cose “per gli altri”, che abbiano come scopo la loro crescita personale, come ad esempio “condividere le puntate di Psinel” 😉
O perché no, creare il tuo podcast in cui condividere ciò che pensi possa fare bene al prossimo. Ti avviso non è facile farlo a lungo ed è per questo che tali comportamenti oggi vengono ripagati e bene.
Ripensa all’esempio dell’idraulico e del ferramenta che ho fatto in puntata, è davvero così, più dai e più ricevi in termini di informazione utile. Se come l’idraulico temi che non ti chiamino più se condividi “i trucchi del mestiere” allora significa che il tuo mestiere non è una vera professione.
Perché se uno può apprenderla guardando un video o ascoltando un podcast allora la manovra in questione si può apprender in 1000 modi differenti.
Divulgare la psicologia
Se mi conosci da tempo sai che questa è anche una mia battaglia personale: infatti non solo molti miei colleghi sono reticenti a parlare dei “segreti” ma c’è anche un articolo del nostro codice deontologico che lo disciplina (art. 21).
E’ un articolo che per fortuna è stato leggermente modificato ma ha ancora dei pregiudizi di un altro tempo. Perché per prima cosa esistono tanti tipi di psicologi e non siamo tutti clinici, per cui perché non dovrei parlare degli studi della psicologia: sociale, ambientale, finanziaria, ecc?
L’articolo nasce per evitare che i colleghi raccontino magari ad uno psicopatico in carcere come è bene rispondere ai test proiettivi (hai presente le famose macchie di Rorschach?).
Si ci sono stati rari casi in passato di psicopatici davvero bravi che hanno imparato sui manuali come rispondere agli psicologi e sono stati beccati solo perché hanno compiuto atrocità terrificanti.
Però è come dire che non bisogna insegnare le arti marziali perché qualche “male intenzionato” potrebbe usarle in modo cattivo. In realtà ti basta entrare in una qualsiasi libreria/biblioteca ben fornita per trovare tutto.
La psicologia è per me una scienza, e come tutte le scienze è PUBBLICA, chiunque può accedervi. Questo non significa che tutti riescano ad interpretare quelle cose ma tutti possiamo leggerle e farci un’idea.
E’ un argomento oceanico che continueremo nel nostro Qde 😉
A presto
Genna
Ps. Svolgendo le ricerche per la puntata di oggi ho scoperto questo paper che sembra essere la ricerca originale da cui nascono i termini “informer e meformer”.