Se mi segui sui social sai che il titolo di questa puntata non è una sparata e non è un titolo “click bait”, cioè creato per far cliccare le persone.
Ma è il risultato di alcuni recenti studi che hanno cercato di capire quanto influisse tenere gli occhi aperti o chiusi durante il richiamo alla memoria di dettagli visivi.
Non è un solo studio ma si tratta della somma di più ricerche che mettono in relazione “memoria, creatività e occhi” … buon ascolto:
Gli occhi sono lo specchio dell’anima
Se segui psinel sai che ho usato questa frase decine di volte, perché il tema degli “occhi” mi ha sempre affascinato. Forse perché una delle mie passioni più intense del passato è stata l’ipnosi.
E come sanno praticamente tutti l’immagine dell’ipnotista è di una persona che in un qualche modo “ti fissa negli occhi”. Ma non solo, dagli occhi si possono davvero intuire tantissime cose interessanti.
Non solo, qui abbiamo tanto parlato anche di comunicazione non verbale e gli occhi hanno un peso rilevante in tale modalità comunicativa. Gli occhi insomma ci dicono moltissimo sulla nostra psicologia.
E non abbiamo bisogno “dello psicologo” per renderci conto che le cose stanno in questo modo, tutti pensiamo che una persona che non ci guarda negli occhi ha “qualcosa da nascondere”.
Oppure che una persona che non “regge lo sguardo” sia timida e altre inferenze del genere. Pochi però pensano che quando chiudiamo gli occhi lo facciamo per accedere al nostro mondo interiore.
Il “mondo interiore”
Chiunque abbia mai provato a meditare o a fare ipnosi o semplicemente a farsi un bel pisolino avrà notato un fenomeno: quando chiudiamo gli occhi la nostra attività mentale aumenta!
Si hai capito bene, invece di placarsi come s’immagina, l’attività cerebrale ad occhi chiusi si accende. Non che prima fosse spenta ma si accende in modo differente, invece di vedere con gli occhi “vediamo con la mente”.
O meglio “vediamo la mente in azione”, e chi di voi segue i miei percorsi di meditazione lo sa molto bene. Ad occhi chiusi possiamo osservare (imparare a vedere) come si muovono i nostri pensieri.
E’ qualcosa di particolare, difficile da trasmettere a parole ma l’idea che chiudendo gli occhi stiamo dirigendo il nostro sguardo “da fuori a dentro” già spiega molto bene questo fenomeno.
E il nostro caro “mondo interiore” è richissimo, perché è grazie a lui che riusciamo ad interpretare e a co-costruire la realtà che ci circonda. Senza tale “macchina interna” non riusciresti neanche a leggere queste parole.
Un esempio: la lettura
Prendiamo come esempio ciò che stai facendo in questo preciso momento: leggere. Quando leggi fai un lavoro molto impegnativo, vai a recuperare nella tua mente diverse abilità e contenuti e metti tutto assieme.
Per leggere la parola “psicologia” devi innanzi tutto accedere alla tua abilità di lettura, cosa che diamo per scontata ma non ci hai impiegato un sacco di tempo ad acquisirla.
Poi accedi al magazzino delle “parole conosciute” e poi ti chiedi perché sia inserita in questo contesto ecc ecc. Questo è un continuo confronto tra ciò che vedi fuori da te e ciò che sai dentro di te.
Senza le conoscenze “da lettore” queste lettere sarebbero solo tanti scarabocchi neri su di uno sfondo bianco. E invece, grazie alla tua capacità di “interpretarli” assumono tutt’altra valenza.
Cosa succede quando sei davanti ad una lingua sconosciuta? Vai alla ricerca di tutte quelle parole che in un qualche modo assomigliano a ciò che già conosci.
La mente che processa le informazioni
Prima degli studi empirici della psicologia molti erano convinti che il cervello fosse una sorta di “antenna ricevente passiva”. Tornando alla lettura, quando leggi stai incamerando informazioni.
Quindi come se le informazioni arrivassero dall’esterno per depositarsi in una sorta di magazzino. Si di certo si sprecava energia “del magazziniere” ma nulla di più.
Studiare tale facoltà cognitive ci ha portato a scoprire qualcosa di molto semplice: in realtà qualsiasi attività mentale di ricezione di informazioni non è qualcosa di passivo ed unidirezionale.
Le informazioni arrivano dagli occhi e vengono poi elaborate da complessi sistemi. Dagli occhi non arrivano lettere ma segnali elettrochimici che vengono “trasdotti” (questo è il termine tecnico) in significato.
Ma tale significato lo ricavi solo se conosci la lingua che stai leggendo, solo cioè se attivi altre cose dentro di te oltre al magazziniere, come una sorta di squadra deputata alla codifica e decodifica di ciò che entra.
Il consumo di energia
Tale attività biunivoca, che non va solo dalle lettere al cervello ma anche “dal cervello alle lettere”, è ciò che ci consente di comprendere la realtà e di apprendere come comprenderla sempre meglio.
Allo stesso tempo è un continuo utilizzo di energie, anche se non ce ne rendiamo conto. Potremmo accorgercene in tanti modi, uno di questi potrebbe essere utilizzando macchine che vedono cosa succede in “testa”.
Ma non è necessario arrivare a tanto, ti basta prendere un momento della giornata dove ti sembra di avere la mente “abbastanza calma” e poi metterti a meditare.
Se mi segui non ti sorprenderà il fatto che ti chieda di metterti “in meditazione”. Ma se non lo hai mai fatto scoprirai una cosa particolare: la tua mente è continuamente in movimento.
No, non è la pratica della meditazione che fa partire “i pensieri”, quelli ci sono sempre li sotto solo che non te ne accorgi. E chiudere gli occhi, in un certo modo, ti aiuta a notare questo mondo attivo “semi-silente”.
Limiti cognitivi
Così studiano i nostri limiti cognitivi abbiamo scoperto che la nostra “mente” ha determinati paletti che cerca di ovviare con diverse modalità, proprio come fa il tuo computer.
Cercando di distribuire le energie in modo utile. Se mentre leggi queste parole ci sono dei suoni di sottofondo tu stai usando le tue energie attentive in due diverse direzioni:
Da un lato stai leggendo ed elaborando questi segni grafici (cosa già di per se molto complessa) dall’altro lato stai usando un po’ di energia per escludere i suoni esterni.
Ed eccoci arrivati al “bandolo della matassa” degli studi presentati oggi. Secondo i ricercatori chiudere semplicemente gli occhi consentirebbe un enorme risparmio energetico.
Dicono che bene il 30% della tua attività mentale è attualmente presa da ciò che vedi. E mentre leggi è normale! Ma se ti chiedessi di ripetere il teorema di Pitagora, la prima cosa che dovresti fare è smettere di leggere.
Il multitasking
Scommetto che se sei arrivato fino a qui con la lettura avrai sicuramente pensato anche tu al famoso fenomeno del “multitastking”, perché è un po’ questa l’ipotesi dei ricercatori:
La memoria e la creatività aumentano quando teniamo gli occhi chiusi, perché stiamo evitando un “multitasking interiore”. Limitando le risorse prese dalla “visione” aumentiamo la potenza di calcolo di altre funzioni.
Tutto questo risuona perfettamente con l’idea di “memoria e richiamo”. Se devi richiamare alla mente delle informazioni meno disturbi ci sono e meglio è.
Ma possiamo dire la stessa cosa per la creatività? La risposta sembra essere affermativa, anche la creatività (soprattutto quando intenzionale) richiede uno sforzo cognitivo.
Anche se le idee sembrano “apparire dal nulla” in realtà hanno un periodo di “gestazione” (incubazione) che serve per elaborare l’informazione. Ma non sempre sono processi simili, quando chiudiamo gli occhi qualcosa cambia.
La “rete della creatività”
La prima volta ho sentito parlare della DNM o default Mode Network ho intuito subito che si trattava di una scoperta di rilievo. Qui puoi trovare uno dei primissimi articoli dove ne parlo approfonditamente.
La DMN è una rete di neuroni che si attiva quando siamo “a riposo”, quando concediamo alla nostra mente di vagare. Presto farò degli approfondimenti per gli appassionati di stati modificati di coscienza.
Quando chiudiamo gli occhi aumentiamo o diminuiamo il nostro “vagare mentale”? In teoria li chiudiamo proprio per concentrarci ma in pratica chiudere gli occhi ne aumenta l’attività.
E oggi sappiamo che le idee creative sembrano estremamente connesse con l’attività di tale reti di neuroni. Tanto che quando uscirono i primi studi mi convinsi immediatamente che era qualcosa di simile all’inconscio ericksoniano.
Esistono molti modi di vedere “l’inconscio” uno di questi ci arriva da Milton Erickson il quale era convinto che li dentro ci fossero tutte le nostre risorse e che tale magazzino avesse una sorta di “intelligenza creativa autonoma”.
Qui trovi un altro post del passato che parla dell’incrocio tra DMN, Erickson e le libere associazioni di Freud.
Milton Erickson e la creatività
Milton Erickson (se non sai chi è guarda il video che metto qui sotto) è stato di certo uno dei primi fautori del vedere il processo terapeutico in senso creativo. La teoria di base è molto semplice:
Tu hai un inconscio, questo sa molte più cose di quante pensi di conoscerne, lascia che sia lui a trovare risposte creative ai tuoi problemi. Affidati a questa parte di te che sa riunire i pezzi della tua realtà interiore.
Ma in realtà chi si è interessato di creatività l’ha sempre vista come qualcosa che arriva da un “inconscio”, per quanto un tempo fosse mistico. Nella Grecia antica c’erano le Muse, le divinità che ispiravano gli artisti.
Nella storia di come Erickson è arrivato ai suoi metodi terapeutici, è evidente una sempre maggiore semplificazione dei processi di induzione della trance ipnotica.
Come quando racconta che inizialmente scriveva pagine e pagine di induzioni per poi passare via via a sempre meno pagine, giungendo ad una singola facciata di verbalizzazione (il testo che spesso si prepara per l’induzione dell’ipnosi formale da leggere al paziente).
Oggi sappiamo che l’ipnosi ericksoniana è nota anche per riuscire ad ottenere risultati eccellenti in stati di “trance leggera”. Come dico nel video qui sopra la suggestione non è indice di validità dell’ipnosi.
In altre parole non conta quanto la persona “entra in trance”, ma conta che lo faccia. E se fosse necessario solo chiudere gli occhi? Cioè escludere quel 30% di utilizzo delle nostre risorse cognitive?
E’ questa la domanda bizzarra che ha guidato la produzione della puntata di oggi. Mi scuso con tutte le persone che sono atterrate qui per caso e che si stanno chiedendo cosa c’entri tutto questo con lo studio in esame.
C’entra, perché qui cerchiamo di trarre cose utili da applicare dalla ricerca. E non solo, anche dalla mia esperienza clinica. Cercando di trovare cose semplici da indicare alle persone, come ad esempio:
Chiudere gli occhi per accedere a migliori ricordi visivi o per generare nuove idee creative. Fammi sapere cosa ne pensi…
A presto
Genna