Un recente studio effettuato per la British Columbia ha esaminato oltre 1200 persone stabilendo qualcosa di molto curioso: più tempo libero passiamo online e meno siamo capaci di distinguere le notizie vere da quelle false. Non solo, più è alta l’età è meno è probabile cadere nei tranelli, il tutto è legato ad un fantomatico “senso critico” che alcuni avrebbero più di altri…
Il Senso Critico o Pensiero Critico
Quante volte hai sentito dire che è necessario che gli studenti sviluppino un “pensiero critico“, ecco in America la prendono abbastanza seriamente la faccenda ed hanno dato una specie di definizione: il pensiero critico è la capacità di cambiare idea di fronte alle evidenze, di restare aperti, di porre domande e di non antemporre ciò che conosciamo quando stiamo ricevendo nuove informazioni.
Potrà sembrarti assurdo ma questa definizione è molto lontana da quella che la maggior parte della gente ha in mente quando pensa “in modo critico”. Solitamente da noi questo significa quasi il contrario: significa non farsi fregare dalle facili argomentazioni, essere in un qualche modo sospettosi ma soprattutto significa mantenere ben salde le proprie idee. E invece è il contrario e questo mi ha fatto particolarmente sorridere.
Il sorriso deriva dal fatto che l’atteggiamento descritto è esattamente quello che viene prescritto nelle nostre pratiche di consapevolezza. La gente teme di mettere da parte i propri schemi di conoscenza perché teme proprio di perdere “senso critico”. Devo ammettere che è stata proprio la definizione degli autori a farmi scegliere questa tematica, anche perché ne discutiamo così tanto dal Clickbait che in parte mi ha un po’ annoiato ma mi rendo conto che sia necessario continuare a parlarne.
Anche perché il tema di questi giorni è ormai proprio la capacità di non farsi ingannare. La gente quando sente parlare di capacità di consapevolezza, soprattutto legate al tema del “non giudizio“, crede che a causa di tali esercizi perderà le capacità critiche. Ed invece le cose non stanno così, quando riusciamo a restare aperti di fronte a ciò che vediamo siamo maggiormente capaci di fare appello alle nostre risorse in generale.
Non solo perché siamo più calmi e concentrati ma anche perché lasciamo decantare i concetti prima di saltare alle conclusioni. E questo ci da il tempo di pensare meglio, di far si che quelle cose che stiamo guardando si prendano il loro tempo. Non so se ti è mai capitato di iniziare un libro che tutti i tuoi amici ti hanno consigliato, lo inizi e noti sin da subito che non ti piace e lo metti da parte. Poi un bel giorno, lo riprendi, lo leggi, e scopri che è un libro strepitoso. Ecco succede qualcosa del genere.
Ricerca e questionari
Non tutti sanno che una delle fonti di dati classiche della ricerca psico-sociale (la quale comprende sia la sociologia che la psicologia sociale) sono i questionari, qualcosa che potrebbe apparire come molto semplice e banale. In realtà per la costruzione di un questionario sono stati inventati così tanti trucchi statistici che, se fatto per bene, può avere una validità davvero alta. Non ho controllato i vari coefficienti ma dalle premesse dello studio, condotto su un grande campione con item progettati dalla intelligenza artificiale, immagino sia stato fatto molto bene.
Dunque quando parliamo di questionari è bene tenere a mente che possono essere molto semplici e praticamente inutili per la ricerca (domande scelte a caso, campione scelto a caso) oppure possono avere dietro una valanga di sottigliezze: campionamento speciale, analisi delle domande (item), coefficienti di validità e affidabilità ecc. Insomma in questa ricerca sembra siano presenti tutti gli aspetti più rilevanti della costruzione di una buona batteria di item, senza contare che hanno usato l’intelligenza artificiale per formulare le domande.
Questo significa che ci becca sempre? No, altrimenti sarebbe un oracolo ma significa che nelle condizioni appropriate misura (sufficientemente bene) ciò che si propone di misurare. Lo so che sembra una tautologia ma non la è, cioè io posso fare un questionario che si occupa di misurare l’auto-effcacia ma se faccio le cose male potrei misurare tutt’altro o avere una misura talmente sporca (o spuria) da non farmene niente di tutti i dati raccolti. Questo è mediamente il destino dei questionari poco studiati che si trovano in giro.
Possono volerci anche anni per la formulazione di un buon questionario, per questo poi ci fanno sopra un sacco di ricerche con sparate altisonanti come lo studio che stiamo prendendo in considerazione. Nonostante la serietà per la formulazione di questionari questi hanno un sacco di problemi, non solo perché spesso sono auto-somministrati (cioè li fai da solo) ma anche perché gli stimoli possono avere impatti diversi in base al contesto e molte altre piccole magagne.
Quando vogliamo capire se davvero A causa B non usiamo i questionari ma usiamo un mix di metodologie della ricerca che ora non ti racconto o facciamo “notte”. Di cui il questionario potrebbe essere uno dei primi step, esempio: mi sono accorto che esiste una relazione tra tempo trascorso online e stupidità? Allora cerco di formulare un qualche esperimento che mi aiuti a capire per prima cosa, se è una relazione reale (cioè se le variabili sono realmente correlate e che non sia altro a causare quei dati) e poi cercherò di verificare l’univocità della relazione (cioè se è vero che A causa B ecc.).
Correlazioni e psicologia scientifica
Ora la smetto con tutti questi termini da ricercatore ma mi servivano per farti vedere da vicino questo aspetto: ora sappiamo che sembra esserci una relazione tra tempo libero trascorso online e fregabilità, sappiamo anche che sono i più giovani a farsi fregare con maggiore facilità. Mi sembra strano che i ricercatori non abbiano pensato (ma forse lo hanno fatto tra le righe): “cosa pesa di più l’età o il tempo trascorso online?” perchè le due cose, ad occhio, sembrano correlate.
Insomma qui quando parlano di giovani indicano, sotto i 44 anni e quando parlando di adulti intendono sopra i 45 anni. Mi sembra un bel punto di incontro per determinare che chi è sotto i 44 anni navighi anche di più in rete? Cioè si dovrebbe verificare, nel campione più giovane se effettivamente tende ad andare maggiormente online nei confronti di quello più vecchio. Non solo, si sarebbero potuti prendere in esame i soggetti estremi, quelli che passano più tempo online e sono molto giovani o molto anziani e confrontarli tra di loro.
Ok ora la smetto con i tecnicismi ma serve per farti capire che le cose non sono così semplici come appaiono, soprattutto a chi non conosce questi meccanismi. Chi studia Psicologia si spara minimo 2 esami di statistica per capire questi temi, io ad esempio ne ho fatti 4 (su 25) alla faccia di chi pensa che in questo ambito non si studino cose serie 😉 Se in più ci metti dentro 4 esami di biologia e neuroscienze, gli esami legati alle “hard-science” diventano quasi la metà.
Fino a qualche anno fa quando si parlava in pubblico di correlazioni la gente rideva, anche tra gli accademici, quasi a dire: “e pensate che questi numeri statistici possano davvero descrivere la enorme complessità del comportamento umano?” e poi è arrivato il web che ci ha fatto capire in modo definitivo che la risposta è sempre stata “si” e lasciatemi dire una parolaccia: “fottutamente si”. Se hai ascoltato la nostra puntata sulla psicografia probabilmente saprai il perché.
Hai preste tutto lo scandalo di Cambridge Analytica? Cioè del fatto che alcune aziende riuscivano ad influenzare l’opinione pubblica prima delle elezioni in modo davvero significativo? Ecco tutta quella roba deriva da dati statistici sulle persone che navigano in rete. Anche la semplice pubblicità che ti raggiunge online ogni giorno si fonda su parametri statistici del genere, quando sotto poi ci mettiamo algoritmi e potenza di calcolo ecco che quelle semplici “correlazioni” possono diventare molto più serie e anche spaventose.
La tecnologia ci rivela
Che la tecnologia ci riveli non è una novità, dopotutto parlare di rapporto tra uomo e tecnologia NON è proprio come parlare del rapporto tra uomo e natura. Perché l’essere umano è tecnologico per definizione, la nostra specie si è evoluta grazie alla tecnica e alla sua evoluzione, senza la tecnica ci saremmo estinti migliaia di anni fa. Lo stesso linguaggio è tecnica, i vestiti che indossi sono tecnica, le regole di comportamento scritte e non scritte, sono “tecnica”.
Sono temi che affrontiamo da anni, da molto prima che l’intelligenza artificiale diventasse argomento da prima pagina. Perché in realtà chi bazzica in questo modo sapeva che l’AI sarebbe arrivata a questi livelli, sapeva che l’AI è in grado di generare dati mai visti in precedenza (dato che li genera quasi in autonomia) e sapeva che l’AI non è altro che un modellamento molto preciso di come funziona davvero il nostro cervello. Dunque non c’è da stupirsi se osservando un nostro “cervello” capiamo meglio come funziona il nostro.
Nella LIVE della scorsa settimana abbiamo parlato di simulazioni e di come queste siano da sempre tra noi solo che negli ultimi tempi abbiamo capito che possono allenarci in tante cose. Esistono simulatori di volo che, dopo averli usati per un tot di tempo (con un istruttore), consentono alle persone di volare in tutta sicurezza su velivoli veri e senza neanche un minuto di volo reale.
Esistono simulatori di come cambia il clima in una città se spostiamo un palazzo, una piazza, ecc. Le neuroscienze computazionali ricreano il nostro cervello e usano farmaci e fanno operazioni su modelli matematici prima di farli sul soggetto in carne e ossa. E il nostro cervello indovina cosa fa tutto il santo giorno? Simula la realtà che ha intorno a se e costruisce strumenti che riescano a fare altrettanto e meglio, come le tecnologie digitali, il non plus ultra della simulazione.
Insomma ci sarebbe molto altro da dire, fammi sapere cosa ne pensi. Ora scappo perché ho un matrimonio importante (se mi segui sui social lo saprai)… facciamo gli auguri ad ADC Alessandro e Alessia…
A presto
Genna