Orami è assodato, se cammini per strada e fermi una persona e gli chiedi: “ma secondo te la solitudine fa bene o fa male?” sono pronto a scommettere che il 99% risponderebbe: “fa male”. Molte persone pensano che sia intuitivo, “chi mai vorrebbe restare solo“, eppure alcune nuove ricerche ci dicono qualcosa di diverso e altrettanto interessante…
Una pandemia di solitudine
Quando leggi i giornali di intrattenimento è facile trovare espressioni come quella riportata qui sopra, le quali paragonano un evento atroce (che ormai conosciamo tutti, parlo della “pandemia”) con un altro evento negativo: la solitudine. Ma per fare tale operazione dovremmo per lo meno sapere qual era il senso di tale problema prima e dopo, giusto per fare una sorta di confronto nel tempo.
Insomma la domanda che ci si pone è: “ma siamo davvero più soli di prima“? Dato che oggi possiamo in un secondo contattare i nostri cari a migliaia di chilometri, possiamo attraversare mezza Italia in poche ore (io faccio spesso Padova Roma in 3 ore) e molto altro. Sembra davvero assurdo che oggi si senta più soli di prima. L’unica spiegazione è che tale solitudine non sia fisica ma psichica, cioè una persona che si sente sola anche se attorno ha altre persone, anche “i propri cari”.
Ne abbiamo parlato diverse volte (in questa live trovi un esempio) e oggi ne parlano in molti, le relazioni sono diventate una sorta di nuovo “trucco jedi per biohacker“. E’ tutto vero senza relazioni non saremo persi, se segui Psinel ne senti parlare da molto tempo prima e se sei un mio collega lo sai dagli studi che negli ultimi anni ci hanno bombardato di informazioni su tale tematica. Ma il fatto che ne parlino in molti ha fatto si che sia diventata una sorta di panacea che, a tratti può anche non essere troppo positiva.
Una madre che vede il proprio figlio con pochi amici ed inizia a preoccuparsi, un adulto che si ritrova solo nel weekend e pensa che tutta la sua vita sia un fallimento perché non riesce a creare relazioni. Sono casi reali, cioè il ragazzo che sta sempre solo può denotare dei problemi, l’adulto che fatica a creare relazioni idem, ma tutto sommato è anche possibile che la madre (leggendo troppa psicologia da bancarella) creda che il figlio debba avere cento amici e l’adulto scapolo che, una serata in solitudine sia un segnale negativo.
A fare un pizzico di luce su questa faccenda arriva la ricerca di Luzia Heu la quale si occupa proprio di studiare la solitudine, evidenziando che i dati empirici sulla diffusione di questo disagio non fossero così chiari come venivano propagandati dai media. Inoltre sembra che l’ondata di Covid-19 non abbia portato dei peggioramenti in questo senso. Ma allora la solitudine fa male o fa bene o non fa niente?
Allora come stanno le cose?
Sicuramente il “sentirsi soli” psicologico, cioè quello che avviene anche in mezzo alle altre persone è spesso frutto di un disagio più profondo, il quale può sicuramente essere esacerbato dalle storture del tempo moderno (social, confronto sociale, ecc.) ma molto probabilmente non è la causa principale. Allora gli studi sulla solitudine e la felicità? Ebbene anche quelli mettono in relazione una migliore soddisfazione nella vita quando abbiamo affetti intorno a noi.
Inoltre è importante ricordare che anche nelle problematiche psicologiche e psichiatriche peggiori, avere o meno una rete sociale di supporto solida, fa una differenza importante nel decorso della malattia. In altre parole, se non hai amici e parenti che ti sostengono nei momenti peggiori è più facile che la cosa si risolva con maggiore difficoltà e viceversa.
La cosa interessante dello studio non è tanto affermare che “la solitudine non faccia così male” ma che la enorme attenzione per questo tema (di questi tempi) non è legata ad un vero fenomeno monitorato ma più alla diffusione di notizie mal interpretate. Quando una persona “sola” legge questi titoli o becca qualche contenuto online che recita: “ecco perché la solitudine ti sta uccidendo”, invece di trarne spunto e forza ne trae maggiore sconforto. Perché come si diceva poco fa, non tutte le solitudini derivano da reale solitudine.
E’ importante invece continuare a parlare della estrema importanza delle relazioni umane e del fatto che tutta la nostra vita è fatta di questo tessuto. Cioè di uscire da quella bolla dell’uomo che fa tutto da se, riuscendo a trovare una sorta di equilibrio dinamico, che come ti raccontavo per me si può riassumere in una frase da biscotto della fortuna: Se ami stare da solo allora dovrai allenarti a stare in compagnia, se non puoi fare a meno di stare sempre in compagnia allora dovrai allenarti a stare un po’ da solo.
Dunque equilibrio e non estremismo, come ci piace tanto oggi. Dato che le informazioni estreme restano con più probabilità in memoria, attirano maggiormente l’attenzione e ci appaiono come più concrete, ecco che è facile oggi imbattersi in informazioni estremizzate semplicemente per attirare click e visualizzazioni. Ne parliamo approfonditamente la prossima settimana con una puntata dedicata al Clickbait.
La forza delle relazioni
Come abbiamo visto qui su Psinel nel corso degli anni (spero di riuscire a trovare tutte le puntate) noi cresciamo, costruiamo e traiamo soddisfazione dalle interazioni intorno a noi. Succede fin da subito, dalla prima relazione importante con i nostri caregiver e poi si espande a tutta la società intorno a noi. Ma noi siamo talmente sociali che la presenza o meno di una persona intorno può modificare il nostro modo di parlare, di camminare, di comportarci in generale e provare emozioni.
Le persone intorno a noi co-regolano il proprio budget energetico. Lo so sembra una supercazzola ma ti assicuro che le cose stanno così, se entri in un ascensore con uno sconosciuto, le tue azioni e tuoi comportamenti saranno co-regolati dalla persona che sta con te, anche se non vi parlate. Se questa persona iniziasse ad urlare, magari perché gli è entrato un insetto nella camicia, anche tu inizieresti ad allarmarti e forse, una volta compreso l’avvenimento, aiuteresti quello sconosciuto.
Non lo facciamo perché siamo gentili e pacioccosi, lo facciamo per massimizzare le nostre probabilità di sopravvivenza. E tutto nasce prima con i genitori, per poi spostarsi verso gli altri bambini ecc. ed è per questo che non avere relazioni (significative di supporto) in tenera età può portare a gravi problemi da adulti. Diciamo da sempre che il nostro cervello e in generale il nostro corpo è sorretto da alcune semplici regole, la prima è quella funzionalista, cioè il fatto che i nostri comportamenti hanno a che fare con gli aspetti dell’evoluzione della nostra specie.
Ed un’altra è quella che dice che se non usiamo una qualche funzione del nostro organismo tendiamo a perderla o ad indebolirla così tanto da renderla poco utile. “Se non lo usi lo perdi” nasce dalle osservazioni di fisiologi di secoli fa, ma oggi sappiamo che questa cosa vale tantissimo anche per il nostro cervello e per tutte le sue più complesse funzioni. E una delle più rilevanti e dispendiose è di certo la capacità di interagire efficacemente con le persone intorno a noi, conosciute o meno.
Interagire con il prossimo non ci fa bene solo perché possiamo trarne una “rete sociale“, avere relazioni di amicizia e sentimentali ma anche perché siamo costruiti per farlo, tuttavia si tratta di qualcosa di tremendamente dispendioso a livello energetico. Si tratta di una delle sfide più rilevanti della nostra vita, se infatti ti chiedessi di pensare a 3 eventi molto belli e 3 eventi molto brutti della tua esistenza, scommetto che il 90% di questi (se non il totale) avrebbe a che fare con una o più relazioni.
Il pensiero razionale
Quando oggi sentiamo parlare di “solitudine” facciamo riferimento ad uno stato mentale più che ad uno stato fisico, nel senso che realmente siamo più connessi che mai. Alcuni detrattori tecnologici affermano che la tecnologia sia proprio la causa di questa esplosione ma le cose, secondo me, sono più sottili di così. Come sappiamo il nostro cervello è maggiormente attratto dalle notizie negative, non solo le tiene anche di più in memoria, quindi se leggo su un social “la gente è sempre più sola” mi resterà piantato nella testa.
Viceversa, se dovessi leggere il contrario (cosa abbastanza poco probabile dato che la gente scrive cose che sa possano avere una qualche cassa di risonanza) non avrei di certo lo stesso effetto. Non voglio difendere la tecnologia a tutti i costi ma neanche cadere ancora una volta nella trappola del bias dell’età dell’oro perché sono convinto che la nostra società, seppur non in modo lineare, stia continuando a crescere e ad evolvere. Non è un pensiero ottimistico a tutti costi ma è un pensiero razionale che ognuno di noi dovrebbe coltivare con maggiore forza.
Quando in psicologia e nel senso comune si parla di razionalità, si pensa subito all’opposto cioè agli aspetti emotivi ma le cose non stanno così. Quando si parla oggi di razionalità o elogio ad essa si intende il fatto di cercare di ragionare per termini di conoscenze fattuali, di schemi di pensiero assodati perché sappiamo offrire un terreno di comprensione comune. Come ad esempio il metodo scientifico, l’analisi dei dati, la comprensione dei bias, ecc.
Pensare con maggiore razionalità significa quindi cercare di evitare tutte le trappole del pensiero a cui siamo naturalmente sottoposti. Ho addirittura sentito dire che farlo è una sorta di “deviazione dalla natura”, ma non è vero, tutta la nostra evoluzione è legata alla capacità di usare nuovi strumenti concettuali che ci hanno traghettato nel futuro. E’ abbastanza lampante quando si studia la storia del pensiero umano, cioè la filosofia prima e la psicologia poi.
Un altro esempio è legato alla regolazione delle emozioni, per poterlo fare in modo efficace non dobbiamo diventare “più emotivi” e neanche più “razionali” ma dobbiamo usare schemi che sono emersi dalla ricerca. Si, perché naturalmente noi siamo immersi in una seria enorme di stereotipi sulla regolazione emotiva, anche se non lo sappiamo.
La regolazione emotiva
Ad esempio siamo convinti che la rabbia vada sfogata, che sia sbagliato piangere, che sia errato mostrare agli altri certi nostri stati d’animo e sia sempre necessario consolare chi ci sta accanto. Giusto per dirne qualcuno, se segui il mio lavoro sai che ho dedicato decenni della mia vita allo studio delle emozioni. Ebbene c’è un modo razionale per farlo, cioè seguendo la ricerca la quale non ci dice che dobbiamo essere “razionali” ma che dobbiamo imparare a vivere a fondo ciò che sentiamo.
Ecco, quando parlo di razionalità (ripeto perché è importante) non faccio riferimento al contrario della emotività, ma faccio riferimento a sfruttare le conoscenze che la ricerca ci ha donato in questi anni. Sapendo che siamo tutti affetti da bias, che siamo tutti refrattari a vivere certe esperienze e siamo inclini a risparmiare energia mentale. Quindi è un modo di pensare e comportarsi che tiene conto delle conoscenze che abbiamo su noi stessi.
La regolazione emotiva è uno dei capi saldi per riuscire vivere al meglio questo stato di “solitudine” ed è sulle spalle di ognuno di noi. Cioè ognuno ha la responsabilità di saper auto-regolare le proprie emozioni, questo rende il mondo un posto migliore, invece puntare solo il dito verso cause esterne (la tecnologia, i giovani d’oggi, ecc.) non fa altro che farci lamentare e perdere responsabilità. Ciò significa che non vi siano cause esterne? No!
Ma come ci ha raccontato William James quasi 200 anni fa, se non ci assumiamo le nostre responsabilità (come mindset) allora perdiamo la sensazione di avere un effetto sulla realtà, perdiamo “agentività” e questo può avere ripercussioni negative su tutto. Quindi, aiutiamoci e aiutiamo chi si sente solo ma partiamo da noi, partiamo dalla nostra regolazione emotiva, ricordiamo che ci co-regoliamo: meglio stiamo noi e più è probabile che staranno meglio le persone intorno a noi.
Lo so sono concetti semplici già sentiti ma molte volte tendiamo a dimenticarli, soprattutto quando leggiamo o vediamo un contenuto che per l’ennesima volta ripete stereotipi negativi per attirare l’attenzione. Insomma… forse non siamo così soli come pensiamo ma continuando a ripeterlo lo diventeremo davvero!
A presto
Genna