Quando dico alle persone che “non sono i loro pensieri” mi guardano un po’ male. C’è chi pensa che stia delirando perché è appassionata di questi argomenti e chi fa “spallucce”.

Chiunque si sia appassionato alla psicologia sa quanto siano importanti “i pensieri”. La crescita personale ci ha fatto un grido di battaglia: “tu sei la qualità dei tuoi pensieri ecc.”.

Cose che sembrano edificanti ma che spesso portano ad un vero e proprio cortocircuito mentale… vediamo come…

Il “front office” della nostra mente

Immagina di entrare in un’azienda molto grande e di iniziare a discutere animatamente con il “front office”, ci litighi e te ne torni a casa e pensi: “ma che azienda del cavolo!”.

Si, in realtà potremmo giudicare l’azienda da come ha formato quegli operatori ma potremmo davvero giudicare la qualità di quell’azienda sulla base di una singola persona?

Sulla base di come agisce quell’operatore? Probabilmente no, si di certo dare una cattiva immagine non è bene, e spesso possiamo inferire qualità da piccoli dettagli, ma non sempre.

Insomma anche gli operatori del “front office” sono esseri umani, hanno giornate buone e giornate cattive come tutti. Giudicare tutto l’operato di quella organizzazione sul comportamento di un singolo individuo è sbagliato.

Eppure lo facciamo continuamente, ogni volta che abbiamo a che fare con il “front office della nostra mente”; che sono i nostri pensieri, quella parte di processi mentali di cui siamo consapevoli.

La relazione con i nostri pensieri

Spesso si sente dire che la qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla qualità dei nostri pensieri: se pensiamo “bene” agiamo bene e viceversa.

In parte è vero ma non del tutto, perché come hai sentito non sempre agiamo sulla base di ciò che ci passa per la testa (e per fortuna). La verità è che non è tanto la qualità del pensiero o la quantità ma “la relazione”.

In altre parole: che tipo di relazione hai con i tuoi pensieri? Sei una di quelle persone che devono avere ben chiare le cose in mente prima di agire? Oppure ti affidi anche alla tua parte più “istintiva”?

“Accendere il cervello prima di parlare” dicono alcuni cartelli simpatici all’interno degli esercizi commerciali. Come per dire: “assicurati che il tuo pensiero sia buono prima di agire”.

Le cose in realtà sono diverse da così, infatti quando ti senti bene, ti senti pronto e preparato, solitamente “non pensi tanto”. O meglio non ti affidi alla “chiarezza dei tuoi pensieri”, ma agisci!

La tigre in quattro metri

Una delle metafore più efficace utilizzata dagli orientali parla di una “tigre” chiusa insieme a te in una stanza, come ti sentiresti? A meno che tu non sia un esperto addestratore credo molto male.

Ma in realtà anche un esperto, vedendo una tigre affamata in poco spazio, credo, non si sentirebbe davvero a proprio agio. Ecco quando non stiamo troppo bene tendiamo a vedere i pensieri in questo modo:

Come una tigre affamata, chiusa insieme a noi, in uno spazio di pochi metri. Quanto cambierebbe questa percezione se la stessa tigre fosse, sempre insieme a te, ma all’interno di una savana sconfinata?

Sapere che è affamata non ti farebbe sentire di certo troppo bene, ma se non è davanti a te e sai che è dispersa da qualche altra parte ecco che forse sarebbe diverso.

La tigre non cambia ma si modifica il rapporto tra di voi, come con la metafora della cascata, altro esempio illuminante usato dagli orientali per dimostrare questo strano “rapporto tra pensieri ed emozioni”.

La cascata

Quando siamo sopraffatti dai nostri pensieri (negativi e a volte anche positivi) è come se fossimo con la testa sotto una pesante cascata d’acqua che ci costringe a restare con il capo chino.

Il semplice riuscire a tirare “via la testa” e fare un passetto indietro ci consente di osservare l’acqua che continua scorrere davanti ai nostri occhi, senza più sentire in terribile peso.

Gli schizzi, il suono, il fastidio provocato dallo scorrere dell’acqua permane ma questa volta non sei più costretto a controbilanciare il peso della cascata con i tuoi muscoli, con la tensione ecc.

Ancora una volta non cambia la cascata ma cambia il tuo rapporto con essa. Questi sono 2 esempi classici che mettono in evidenza quanto i nostri pensieri possano diventare “tigri vicine e cascate sulla testa”.

Riuscire a fare quel “passo indietro” o sapere che ci troviamo in una “sconfinata savana” non è facile, soprattutto quando non ci sentiamo troppo in forma. Perché?

Risolvere i problemi con il “pensiero”

Più siamo in una situazione sofferente e più tendiamo a ricercare una soluzione, non c’è nulla di male in questo. Il problema sopraggiunge quando crediamo che pensarci e ripensarci sia l’unico modo per risolverlo.

Mediamente, quando un problema ci affligge la nostra macchina pensante “parte in quarta” e va alla ricerca di ogni tipo di scenario possibile per aiutarci a risolvere la questione.

E’ come se lanciassimo un software che dice “pensaci fino a quando non hai trovato una soluzione”. In molti casi questo processo funziona davvero, ma in molti altri tende ad intercciarsi su se stesso.

Soprattutto quando le problematiche sono di tipo “emotivo”, cioè quando non sono problemi che riguardano aspetti del “reale e del concreto” ma quando riguardano aspetti che fanno già parte del mondo mentale.

Ci annodiamo utilizzando la stessa parte che ha generato il problema. E come diceva Einstein non possiamo risolvere un problema restando al suo stesso livello, dobbiamo fare un saltino e provare da un’altra “angolazione”.

Un simulatore sempre acceso

Per anni ho paragonato questo aspetto “mentale” ad un GPS, una sorta di navigatore sempre acceso che in realtà fa molto di più che indicarti la strada: cerca di prevederla.

Questo ti consente in pochissimi istanti di valutare se la persona che hai di fronte è “pericolosa o meno”, non conta se tale valutazione è reale perché fino ad oggi ci ha concesso di sopravvivere.

Questo significa che ci becca? No, ma significa che a grandi linee funziona bene come simulatore. Il problema arriva quando, in un’epoca milioni di volte più sicura, si attiva un sistema di protezione di 3000 anni fa.

Quando ti dico che siamo in un’epoca più sicura non devi credermi, leggi autori come Harari o come Hans Rosling con il suo capolavoro “Factfulness” per farti un’idea da solo.

Tutto questo è evidente da piccole cose, dal fatto che siamo più sensibili alle emozioni negative espresse dagli altri, agli stimoli “negativi” piuttosto che a quelli positivi. Perché il simulatore ci tiene alla nostra “pelle” non alla nostra “intelligenza”.

Identificarsi con il simulatore

Per fare in modo che questo “simulatore” funzioni al meglio è necessario che ci si possa identificare con esso, in altre parole credergli ciecamente per piccoli periodi di tempo.

Immagina di essere in un luogo sconosciuto e di decidere all’improvviso di voler andare verso “sud ovest” perché ti sembra la scelta migliore. Per affidarti a tale scelta ci devi “credere per qualche istante”.

E’ la famosa “dissonanza cognitiva” che ci riporta alla realtà, cioè al fatto che siamo nel bel mezzo di una simulazione. E che quando scegliamo una opzione c’è sempre una alternativa che non abbiamo intrapreso.

Per salvarci da tale dissonanza dobbiamo affidarci a quella simulazione, perché per capire se quella scelta è giusta o sbagliata dobbiamo necessariamente “prenderla”.

Dobbiamo cioè metterci in cammino e per farlo dobbiamo credere a quella simulazione, dobbiamo identificarci con quella specifica “ipotesi mentale”.

Insomma come vedi il concetto è complesso ma non difficile da afferrare. Iniziare a vedere che siamo più dei nostri pensieri è un ottimo modo non solo per gestirli ma anche per iniziare a capire che “siamo molto di più”.

Alla prossima
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.