La psicologia è una materia multidisciplinare che usa diversi termini tecnici per descrivere e definire il proprio ambito di indagine, un vocabolario specifico per aiutare gli addetti ai lavori a comunicare meglio. Insomma come ogni campo di indagine complesso ha il proprio linguaggio, il quale però è spesso foriero di fraintendimenti che possono renderlo davvero poco utile.

Troppa psicologia fa male? Ovviamente questa è una provocazione, tuttavia scoprirai tra queste righe che se “ne parli male potrebbe fare e farti male”…

Il tassista bipolare

Lunedì sera, tornando dalla presentazione del libro a Milano (grazie a tutte le persone che hanno partecipato) ho preso un taxi dalla stazione di Padova a casa. Arriva questo giovanissimo tassista che, con una traffico scarno (erano le 23) inizia a prendere delle strade “particolari”, al che gli dico: “Mi scusi ma che strada sta prendendo?”. Lui: “Quella più veloce”.

Noto dal tono un pizzico di irritazione al che per calmare la situazione gli dico: “Guardi non voglio assolutamente mettere in discussione la sua conoscenza di Padova, ma io vivo qui da 25 anni”. Lui: “No, guardi è che un tizio aveva chiamato da un albergo…” insomma parte con una storiella strana sul fatto che voleva vedere se c’era un suo collega davanti ad un hotel in centro.

Lo punzecchio: “Ah ok, quindi questa non è la strada più veloce?” e lui: “Si si è la più veloce solo che volevo fare quel passaggio”, insomma finiamo a discutere ma senza alzare i toni. Ad un certo punto gli dico che è interessante parlare con lui perché se gli dico “bianco mi dice nero e viceversa”, ti posso assicurare che era proprio qualcosa del genere. “Ah che bella quella piazza, l’hanno rifatta sembra bene”, lui: “no fa davvero schifo”… hai presente?

Alla mia osservazione sul bastian contrario mi dice: “si io sono un po’ bipolare”, al che gli spiego che quella descrizione clinica non c’entra assolutamente niente con il fatto che lui tenda a confutare tutto ciò che gli viene detto. Lui commenta anche questo fino a quando non tiro fuori la carta psicologo: “guardi capisco cosa intende ma le assicuro che essere bipolari non significa ciò che intende, è il mio lavoro”. Al che si è scusato e mi ha portato a casa.

Se mi segui sai che amo parlare con i tassisti, anche perché il loro lavoro è davvero molto particolare. Ti ho raccontato questa storia per mostrarti che il linguaggio psicologico sbagliato è realmente ovunque, la cosa curiosa è che questa puntata è stata registrata il giorno prima del mio viaggio a Milano, dunque senza neanche farlo apposta ho beccato un esempio perfetto, sai perché? Perché ne siamo zeppi ma non lo sappiamo.

Le metafore del tempo

La maggior parte della gente non sa quanto è influenzata dalle “metafore del tempo”, cioè da quelle analogie che usiamo per spiegare le cose che ci accadono. Ma basta fare alcuni riferimenti per rendercene subito conto, almeno a livello intellettivo: quando tutto girava intorno alla religione ogni spiegazione era religiosa. Lo so cosa stai pensando: “Eh una osservazione piuttosto banale”… ma…

Ma in realtà non ci rendiamo conto che anche le scoperte della fisica ci hanno dato “linguaggio” e strumenti di interpretazione. Ad esempio parlare del corpo umano in termini energetici, così come ha fatto Freud, non era una cosa scontata ma derivava dalle scoperte sulla conservazione dell’energia e sui famosi principi della termodinamica.

Così nei nostri tempi usiamo come categorie di pensiero anche la tecnologia: vedere la mente come un computer, vedere i pensieri come “notifiche” ecc. Sono analogie che usiamo anche qui perché ci parlano direttamente, usano concetti a noi familiari e questo ci entra maggiormente in testa. Ora che tu lo sappia o meno la stessa cosa succede con le categorie psicologiche, senza rendercene conto le usiamo per giudicare noi stessi e gli altri.

E ci basta una semplice infarinatura di questi termini per illuderci di usarli correttamente, proprio come il tassista che ad un certo punto mi dice: “no no ma io sono proprio bipolare, mi arrabbio tantissimo quando uno mi dice quello che devo fare”, in caso non lo sapessi questa descrizione non c’entra quasi nulla con il problema del bipolarismo. Ci sono bipolari che non si arrabbiano neanche nella fase maniacale, quella del nostro amico tassista è una descrizione completamente fuorviante.

Il colpevole, di cui non ho parlato abbastanza nella puntata (e neanche nell’extra) è il linguaggio. Noi siamo abituati a pensare che la lingua sia una cosa stabile, dopotutto è necessario che queste parole che tu stai leggendo significhino ciò che indicano anche tra 30 anni. Se ti scrivo che “sono seduto su una poltrona”, questa frase dovrebbe significare più o meno lo stesso concetto anche tra diversi anni. Ma le cose non stanno propriamente in questo modo.

Il vero colpevole… la lingua

Partiamo da un presupposto che ultimamente mi sentirai ripetere spesso: le “cose” non esistono, tutto ciò che vedi (senti e pensi) è in realtà transitorio, si tratta di un processo. E non sto facendo riferimento solo alle nostre impressioni soggettive, intendo proprio a livello di realtà fisica, tutto è un processo transitorio. Anche gli oggetti che hai intorno, le montagne, i mari e anche il nostro pianeta, che è una sorta di biglia che gira velocissima su se stessa… non è una roba “ferma”… una “cosa”.

Ecco anche la lingua non è una cosa e viene influenzata da moltissime variabili tra le quali, le scoperte scientifiche e culturali. Come puoi immaginare, più una scoperta è sorprendente e più ha probabilità di finire sulla bocca di tutti. Freud e la psicoanalisi sono stati di certo tra le scoperte più rivoluzionarie della nostra epoca, anche se la gente non lo sa assolutamente; mi riferisco a chi non si interessa di queste cose chiaramente.

Come si sente dire spesso gli esseri umani hanno subito 3 rivoluzioni di pensiero: nella prima pensavamo di essere al centro dell’universo ed invece è arrivato Copernico a spiegarci che non era proprio così. Poi abbiamo almeno sperato di essere speciali in quanto esseri umani, ed è arrivato Darwin a dirci che invece siamo animali come tutti gli altri, solo un pizzico più diversi. Ok non siamo al centro dell’universo, non siamo in cima alla catena alimentare, ma almeno abbiamo la ragione, noi pensiamo intenzionalmente.

Arriva il caro Freud a dire… “guarda le cose sono più complesse di così, non è che tu sia proprio padrone in casa tua”. Insomma una bella botta che ha avuto una eco di ampio raggio in ogni aspetto della cultura mondiale e diventa presto oggetto della forma artistica più recente: il cinema, nel quale personaggi come Woody Allen e altri hanno raccontato della psicoanalisi e del rapporto con la psicologia. Insomma sentir dire ad una persona: “cavolo ho avuto un lapsus” non è una cosa così rara.

Conosciamo davvero “quel termine”

Quante persone conosci che pensano di sapere delle cose sulla “Gioconda”? Tutti sappiamo di cosa si tratta, sappiamo dove si trova e sappiamo chi l’ha dipinta. Hai mai visto i video di Roberto Mercadini dove racconta che in realtà tutti pensiamo di sapere cosa sia la Gioconda, ma non ne sappiamo davvero niente?

Roberto ci racconta questi bizzarri paradossi della nostra realtà, non lo fa solo con la Gioconda ma anche con altre cose, come ad esempio “le mele”. Giuro che non sapevo assolutamente niente delle mele anche se pensavo di conoscerle almeno in pare, proprio come si pensa di conoscere la “Gioconda” e ancora di più pensiamo di conoscere l’animo umano… dato che ne abbiamo una esperienza diretta quotidiana.

Questo è uno dei molti paradossi della conoscenza di cui ci siamo occupati molte volte, i quali sono guidati sempre dalla nostra innata e costitutiva pigrizia mentale, che da un lato ci limita e dall’altro ci preserva. Così quando sentiamo un termine psicologico che ci sembra azzeccato per quella persona è facile iniziare a pensare che quella cosa sia una parte del carattere di quell’individuo e non un modo di descrivere un processo.

Gli addetti ai lavori conoscono la difficoltà di queste terminologie, ed infatti i più esperti le usano con una certa cognizione di causa, tuttavia può capitare a tutti di usare termini che pensiamo di conoscere ma che in realtà “non conosciamo affatto”. E non si tratta solo del classico “so di non sapere” ma si tratta di una difficoltà che ricade in ogni ambito complesso, quando non ci sei dentro.

Diciamo che questo meccanismo assomiglia al nostro modo di categorizzare la realtà e di conseguenza di costruire pregiudizi su ciò che ci circonda. Pregiudizi che in condizioni di emergenza sono davvero molto utili ma che molto spesso, diventano limitanti: pensare che il mio vicino sia pericoloso mi aiuterà se lo incontro nel buio, ma solo se è davvero pericoloso!

Non si tratta solo di diagnosi

Il mio discorso in realtà è più ampio di quanto lo abbia trattato nella puntata, non si tratta solo di stare attenti alle etichette diagnostiche, ma si tratta di stare attenti al linguaggio psicologico in generale. Per noi “pregiudizio”, una parole che ho appena utilizzato, ha un significato ben preciso che si riferisce a ciò che ti ho accennato poco fa. Lo so che anche in italiano significa “pre-giudizio” ma per noi ha un senso molto ristretto.

Ci sono termini ormai noti nel nostro lessico che per noi hanno significati precisi: proiezione, rimozione, dissonanza, ecc. Ma per la gente invece sono proprio come la “gioconda”, credono di sapere di cosa si tratta e ne parlano apertamente, in questo il danno non è così grave. La cosa assume tratti inquientanti quando utilizziamo quei concetti per analizzare davvero noi stessi e i nostri cari.

Cioè quando usiamo quelle categorie per fare quello che il nostro cervello ama compulsivamente: dare un senso a ciò che ci circonda. Questa è anche una meraviglia della psicologia, tu mi segui anche perché ti mostro i meccanismi di funzionamento della nostra mente, ciò dovrebbe aiutarti a dare “senso” alle cose che vivi e che vedi intorno a te.

Questa attribuzione di significato è sempre presente, quando avviene ci fa sentire meglio, come se avessimo realmente capito tutto ma è (molto spesso) solo una sensazione illusoria. Cioè quando capisci che magari ti comporti in un certo modo perché tuo padre ti diceva certe cose pensi: “Wow ho capito perché faccio queste cose” ma subito dopo ciò che accade è che tale interpretazione non sono non ti aiuta concretamente a stare meglio ma guida la tua percezione.

“Ah ecco perché sono poco paziente, è colpa di mio padre, sono fobico proprio come lui” e da quel momento in poi inizi a vedere tutti i tuoi comportamenti come se fossero attribuibili a quegli eventi e ancora peggio a quelle etichette psicologiche. Oltre alla piacevole sensazione di aver compreso qualcosa di oscuro le etichette psicologiche aiutano anche i non addetti ai lavori… ma male!

Un aiuto erroneo e parole antiche

Se senti dire in una conversazione qualcosa del genere: “Sì ma Luigi è nevrotico” cosa pensi? Forse pensi che sia una persona nervosa, una di quelle che si attiva facilmente per un non nulla, giusto? Oppure al contrario pensi che sia una persona che pensa troppo, che dovrebbe agire maggiormente e non farsi tante paranoie? Oppure pensi che sia una persona molto triste, che fa fatica ad alzarsi dal letto la mattina?

Vedi nessuna di queste descrizioni spiega bene il termine “nevrotico” che oltre ad essere desueto è anche poco chiaro, nonostante ciò viene ancora ampiamente utilizzato. Così come nel nostro gergo sono rimaste parole come “salasso”, per indicare quando ci viene sottratto qualcosa di prezioso, come quando paghiamo tanto qualcosa. Ma tutti sappiamo che il termine appartiene alla medicina e al salasso di sangue che in alcuni contesti viene ancora praticato (ma non come una volta).

Per gli addetti ai lavori dire “nevrotico” ha tutt’altro significato rispetto a chi non è nel campo, significa che la persona si trova in un certo versante della psicopatologia ma nessun esperto penserebbe a comportamenti specifici come capita a chi non conosce questi termini. Tuttavia anche i non esperti usano queste parole come aiuti, come modalità per comunicare velocemente impressioni.

Se il tuo capo ti dice che sei nevrotico quella non è una diagnosi e scommetto che lui non ti veda come “una persona che ha un problema”. Tuttavia è possibile che una persona utilizzi quel termine per essere sbrigativo, per fare esattamente ciò che facciamo noi professionisti, cioè per spiegare rapidamente ciò che pensa. Così se il barista sotto casa ti dice che quel tizio seduto là in fondo è “depresso” tu sai più o meno cosa aspettarti da quella persona.

Ma come spero di aver trasmesso questo tentativo di usare un linguaggio tecnico può diventare molto pericoloso, attiva la profezia che si auto- avvera sia in chi osserva quelle persone e sia nelle persone stesse che subiscono l’etichetta. Insomma un vero casino, ciò non significa che non puoi usare questi termini ma significa che se lo fai dovresti approfondirli ed evitare di usarli come descrizioni complete delle persone che ti circondano… e di te stesso.

Un tizio bizzarro

Durante la produzione di questo episodio sono avvenute le prime 2 presentazioni del mio libro “Restare in piedi tra le onde”, la prima avvenuta a Milano e la seconda qui a Padova, dove vivo. Durante la bella presentazione padovana (ringrazio ancora il bravissimo Alessandro De Concini) un simpatico signore, giunto a metà evento, si siede in prima fila ed inizia a fare commenti bizzarri su ciò che stavamo dicendo. Un signore di una certa età, con un atteggiamento singolare e pieno di domande strane.

La cosa interessante è che ad ogni descrizione un po’ particolare aveva già in tasca una diagnosi. Ad un certo punto un ragazzo mi chiede di parlare del fenomeno dell’ambivalenza, cioè quando proviamo due sentimenti contrastanti verso lo stesso oggetto, es: amore odio, interesse disinteresse ecc. Mentre sto raccontando questa cosa il tizio dice: “Ah ma sta parlando della schizofrenia” ed io gli rispondo di no e che tutti abbiamo ambivalenze.

Te la faccio breve, nel giro di 10 minuti ha tirato fuori: la schizofrenia, il bipolarismo e le allucinazioni. Tutto condito con il fatto che al termine dell’intervento mi ha proposto di tenere delle conferenze per una associazione che si occupa di cose molto strane, come “la parapsicologia”. Tornando a casa mi sono detto: ma come faccio a studiare la para-psicologia se non ho capito la “psicologia”?

Lo so sembra una domanda da scettico ma è davvero interessante, perché ci porta ancora una volta a notare che noi siamo attratti dalle cose oscure, misteriose, alle quali non riusciamo a dare un senso compiuto. E se la risposta non è data da anni di ricerca ancora meglio, perché così ognuno ci può proiettare sopra la propria opinione (lo hai notato? Ho usato il termine “proiettare”, probabilmente anche in un contesto non proprio adeguato).

Io sono felice che la psicologia stia diventando realmente POP, tuttavia dobbiamo stare attenti perché con una parola sbagliata in questo contesto possiamo creare etichette e stigmi pericolosi. Non intendo solo nei confronti degli altri ma di noi stessi, iniziare a credere di avere problemi spesso conduce a crearne di veri. La psicologia è talmente potente che deve essere maneggiata con cura, puoi farlo anche tu con accortezza seguendo queste semplici regolette. Fammi sapere cosa ne pensi lasciando un commento e partecipando sui nostri social

A presto
Genna

Ps. Mi sono fermato per non creare un post chilometrico ma lo meriterebbe, ci sono ancora un sacco di temi che non ho sollevato come i famosi TDM o Meccanismi Trans-Diagnostici che stiamo indagando per allontanarci dalle categorie nosografiche. Cose come l’evitamento, il controllo, la iper compensazione ecc. meccanismi e non etichette… ne parleremo ne parleremo…


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.