Da diverso tempo ti parlo di meditazione e in particolare dei suoi meccanismi di funzionamento perché sono convinto che conoscerla da vicino (de-costruirla) possa essere molto utile sia per chi la pratica e sia per chi non medita ma vuole comprenderne il funzionamento. Oggi torniamo a parlare di esposizione…
Migliorare l’esposizione
Del meccanismo dell’esposizione ci siamo occupati molte volte soprattutto parlando di paure e fobie, abbiamo anche visto di recente che ciò che conduce a cambiamenti duraturi non debba necessariamente durare tanto, dato che è l’effetto “errore di previsione” a garantirlo. Sappiamo che la nostra mente è una macchina predittrice, ed è proprio questa sua peculiarità a consentirle di fare cose pazzesche, come ad esempio leggere queste parole senza il minimo sforzo (almeno spero).
Allo stesso tempo però, tale predizione continua, ci protegge dagli avvenimenti dolorosi che abbiamo sperimentato nel passato. Se mangiando un certo cibo ti sei sentito male è difficile che successivamente tu possa ingerirlo nuovamente senza pensarci, ma forse temendo di stare male lo eviterai. Così come ogni situazione che in passato ti ha fatto male: il cameriere con cui hai litigato e per evitarlo non vai più in quel ristorante; il vicino di casa scorbutico che cerchi di evitare; guidare l’auto dopo un incidente, ecc.
La nostra mente impara delle cose, scopre che c’è una possibilità di soffrire e di conseguenza attua dei meccanismi di difesa, solitamente caratterizzati da due movimenti: evitamento ed iper compensazione. Ma non solo, possono essere molte le tentate soluzioni di evitare quel dolore e noi esseri umani siamo molto creativi nell’inventarcele. Per questo motivo i miei colleghi che usano in modo esplicito l’esposizione (i cognitivisti) cercano spesso di eliminare o ridurre questi meccanismi di difesa.
Se ad esempio ti porti dietro sempre le “goccine” perché temi di stare male, ecco che come prima cosa ti verrà chiesto di lasciarle a casa. Non di non prenderle ma semplicemente di eliminare un appliglio di sicurezza che potrebbe interrompere l’esposizione. Ma cosa fa questa esposizione? Come visto nella puntata sull’errore di predizione, ci conduce proprio a questo: la speranza dei miei colleghi è che la persona si sorprenda. Anche se non ho le gocce in borsa ho affrontato quel colloquio senza problemi.
Cioè di far si di vivere esperienze emozionali correttive. Questo è un metodo molto efficace ed in parte è contenuto in ogni forma di psicoterapia: ad esempio, parlare di un trauma è una forma di esposizione. Scrivere una lettera ad una persona che ci ha fatto soffrire o che non c’è più, è anche questa una forma di esposizione. Insomma esistono molti metodi per applicarla, ma non sempre è facile capire a cosa sia necessario esporsi e soprattutto è difficile capire quali meccanismi di pensiero svolgiamo per evitare.
Evitamento interiore
Ma mentre è facile capire se una persona evita di entrare al ristorante perché ha litigato con il cameriere, non è facile capire quali processi di pensiero ci stanno sotto, quali sono le convinzioni e soprattutto quali sono gli “evitamenti interni”. Cioè quali stati emotivi, pensieri e contenuti mentali cerchiamo di evitare per non sentirci in un certo modo. Per ovviare a questa difficoltà molti miei colleghi fanno lunghe analisi di catene di comportamenti, emozioni e pensieri, cercando di scandagliare il mondo interiore dei pazienti. Come puoi imaginare questa strada è molto lunga e tortuosa.
Le ricerche più moderne ci dicono che a sostenere molti problemi psicologici c’è proprio questa sorta di evitamento interiore (che alcuni chiamano “evitamento esperienziale“), il tentativo di evitare, cancellare, reprimere, compensare, stati d’animo e pensieri. Dunque come fare? Una prima risposta è nata proprio da stati di meditazione che un tempo venivano definiti come “decentramento”, cioè la capacità di non sentirci più al centro delle situazioni ma di fare come una sorta di passo indietro. Una sorta di epoché fenomenologica.
Nel tempo i miei colleghi si resero conto che le pratiche di meditazione di consapevolezza che afferivano alla pratica della Vipassana, erano essenzialmente un esercizio continuo di decentramento. Cioè del rendersi conto che i contenuti mentali (pensieri ed emozioni) avevano preso il sopravvento per tornare ad uno stato di presenza. Si, si accorsero che la strategia più efficace non era creare una realtà mentale diversa ma di uscire dal turbinio delle continue predizioni mentali per tornare al presente usando come ancora le sensazioni del corpo.
Inoltre praticare la meditazione consente alle persone di non curarsi su quale contenuto esporsi e neanche per quanto tempo, basta semplicemente seguire la pratica. La quale come probabilmente sai si fonda sul concetto di equanimità, cioè del trattare ogni contenuto mentale alla stessa stregua: se è piacevole bisogna evitare di attaccarcisi se è spiacevole bisogna evitare di evitarlo. Ora il problema di questo raffinato meccanismo è che non scegliamo direttamente su cosa focalizzarci.
Ora io ho una mia teoria, quella dei buchi neri di cui ti ho parlato in questa puntata e magari l’approfondiamo tra poco ma essenzialmente è anche per questo che la pratica meditativa ha effetti molto profondi se prolungata nel tempo. Perché non è un intervento specifico, certo potrebbe diventarlo ma non lo è quasi mai, è un esercizio per allenare la consapevolezza a lasciar andare le predizioni. Ma non seleziona i contenuti mentali per noi, per questo più si medita e più benefici si traggono (questa non è una leggenda ma è comprovato dalle ricerche di neuroimaging).
A cosa esporsi?
Hai mai notato che i pensieri che cerchi di tenere lontano, come debiti, litigi, conflitti di vario genere, tendono ad emergere proprio prima di andare a dormire? E’ anche per questo che la gente spesso dice cose del tipo: “mi sono subito confessato perché io di notte voglio dormire”. Perché effettivamente, come aveva già notato Freud, via via che andiamo verso lo stato di sonno tendiamo ad abbassare le nostre difese consce per lasciare spazio al nostro mondo inconscio. Per questo per Freud il sogno era così importante! (in quanto via maestra per l’inconscio e non solo).
Lo stesso fenomeno avviene quando meditiamo, non si tratta di sonno e neanche di rilassamento ma il fatto di restare nel presente, immobile e con gli occhi chiusi, consente ai nostri pensieri di venire in superficie e solitamente, quelli che lo fanno con più forza sono anche quelli più carichi emotivamente. A furia di meditare si notano proprio questi meccanismi, ti rendi conto che sono sempre un certo tipo di pensieri che tendono ad emergere e sempre un certo tipo di pensieri ad incastrarti ecc.
Infatti la meditazione è spesso un super motivatore a cui stare attenti. Ad esempio, se sei arrabbiato con il tuo capo e vorresti dirgliene quattro ma sai di non poterlo fare apertamente, evita di chiamarlo subito dopo la pratica meditativa. Perché è molto probabile che nei primi secondi e minuti successivi alla pratica tu abbia una voglia matta di dirgli tutto ciò che pensi in faccia, e a volte questa cosa è sconveniente. Ora devi sapere che tali meccanismi sembrano avere anche dei correlati neurologici.
Richard Davidson è stato tra i primi a notare che vi era una sorta di lateralità della corteccia pre-frontale nel descrivere l’avvicinamento o l’evitamento. Ed ha notato che la pratica meditativa tende ad inibire la parte di evitamento e attivare quella di avvicinamento, in altre parole, diventi maggiormente propenso ad andare verso le cose invece che scappare. Ora la domanda che sorge sempre nei miei interventi dal vivo è: “ma scusa ma meditare non significa restare nel presente e non pensare?”.
La risposta è NO, la meditazione di consapevolezza non significa escludere dalla coscienza qualcosa ma accorgersi che qualcosa vi sta transitando e metterla “DA PARTE”. E’ questa la cosa più difficile da comprendere, non solo nella meditazione ma in generale nella psicologia: “Dottore non voglio più provare paura di andare in auto, voglio eliminare per sempre quella sensazione”, l’unico modo per farlo è accettare di avere paura, accogliere il fatto che possa accadere e smetterla di farci illusioni sul fatto di poter controllare i nostri stati interiori.
Lo so che può sembrare assurdo ma se ci pensi la gente che vuole superare le paure si dimentica che per farlo deve imparare a conviverci (almeno per un po’), questo vale per qualsiasi tipo di emozione e stato mentale. Pensare che esista una tecnica segreta che non mi fa più sentire insicuro è il modo migliore per diventare sempre meno sicuro! La meditazione risolve tutti questi problemi, perché è essenzialmente la capacità di “restare con”.
Restare con…
La tecnica segreta per riuscire a gestire tutti i nostri stati interni” può essere riassunta in questa frase: restare con… il che non implica l’andare a cercare qualcosa, non implica neanche pensare attivamente a qualcosa. Ma implica accorgersi che un contenuto ci ha rapiti e tornare nel presente alla nostra pratica, senza cercare di calmarsi, sentirsi in un certo modo specifico o aspettarci che quel contenuto non ritorni a rapirci ancora e ancora… e di conseguenza noi ce ne accorgeremo e ancora e ancora, con molta gentilezza, torneremo al presente. Tutto qui? Si!
Si, è davvero tutto qui il meccanismo ma per quanto sia semplice (ed è davvero semplice) ciò non significa che sia facile. Torniamo un istante a questa importantissima distinzione: semplice significa che non è arzigogolato, che è di immediata comprensione perché non vi sono pieghe. Mentre facile significa che la cosa non richiede sforzo perché, solitamente, è già stata ripetuta molte molte volte (o perché è davvero senza sforzo). Correre, alzare pesi, mangiare correttamente, sono tutte cose molto semplici ma non facili!
Tutti sappiamo cosa fare per restare in forma, le cose sono semplici: esercizio e deficit calorico, nessun vero segreto nascosto, ma è molto difficile farlo. La stessa cosa vale per la meditazione e sotto sotto sospetto che valga per ogni cosa davvero importante nella nostra vita. “Restare con…” non significa torturarsi o cercare di essere forti e duri ad ogni costo ma significa evitare di pensare che quel contenuto svanirà non appena torneremo nel presente.
Sarebbe come sperare che dopo qualche mese di palestra non ci faranno più male i muscoli, che dopo qualche anno di studi sarà sempre più facile leggere e apprendere ecc. Certo, via via che ti alleni diventi sempre più forte ma se vuoi continuare ad esserlo dovrai gradualmente alzare l’asticella, lo stesso vale per lo studio ecc. No, qui non devi alzare l’asticella ma ti renderai conto di farlo spontaneamente, cioè che a furia di imparare a restare con… sarai in grado di “restare con” cose anche molto forti.
Concludo con la mia esperienza di “restare con”, la più forte e significativa della mia vita. Se hai visto e ascoltato la mia trilogia sulla morte sai che un paio di anni fa è scomparsa prematuramente mia mamma. La mattina della sua morte, è mancata verso le 3 del mattino, dopo averle tenuto la mano e averla vista esalare letteralmente gli ultimi respiri, la prima cosa che ho fatto al mattino è stato meditare e “restare con” quella tristezza che solo chi ha perso un genitore può immaginare.
Come sempre nel video che uscirà martedì approfondirò e cercherò di sintetizzare ancora meglio questi concetti. Il tema è sempre lo stesso, de-costruire la meditazione, può rivelarci tantissimo su come funzioniamo e migliorare qualsiasi nostra pratica di realizzazione personale. Fammi sapere se ti sono state utili queste puntate.
A presto
Genna